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  La cosiddetta "Ave Maria" di GOUNOD

 

 

 

Nel giorno del 200° genetliaco (17 giugno 1818) del compositore francese

CHARLES GOUNOD

come non ricordare la sua mitica (e, in ambito cattolico in Italia, tanto vituperata quanto regolarmente eseguita nelle messe nuziali), cosiddetta

AVE MARIA !



"Cosiddetta" in quanto la melodia originale - creata, com'è noto, dall'autore nel 1852 utilizzando il bachiano Preludio in do maggiore BWV 846 - fu composta per violino, pianoforte e harmonium... non per voce!

 

 
 

 

 

  LA LITURGIA DEL GIORNO: letture, preghiere, calendario Romano, tempi liturgici, etc.

  La Mantovana - registrazioni audio/video originali di musica per organo

Welcome to my YouTube channel; I am a videomaker in love with early music, especially written for organ. Every Friday (and occasionally during the week), I upload a new video played by world renowned organists or by musicians I admire. I hope you will like my videos.

 

  La messa senza il rock' n' roll [sulle «armi di distruzione di messa»] di Michele Smargiassi (da «la Repubblica» del 16-6-2011)

Se a Dio Padre piace il rock,

ha scordato hic-haec-hoc?

Se gli piace pure il pop,

a null'altro mettan stop!

    Alleluja, allelù,

    gloria su e pace giù!

    Oh, this music is the best,

    ite, ite, missa est!

(Melchisede U. Groppieri)

 

La messa senza il rock' n' roll

 

di Michele Smargiassi

 

È ora di mettere al bando le «armi di distruzione di messa».

Nella Chiesa italiana, spesso divisa, c'è un argomento che mette d'accordo tutti, un po' più scandalizzati i tradizionalisti, un po' più ironici i progressisti: le canzoncine devote che si ascoltano ogni domenica in tutte le parrocchie della penisola tra l'introibo e il missa est sono quasi sempre desolanti, banali, lagnose o bizzarre, talora ridicole e a volte perfino sbadatamente eretiche. Tanto che nessuno giurerebbe che lo strepitoso rap che la regista Alice Rohrwacher, appena acclamata a Cannes, fa cantare ai catecumeni nel suo film Corpo celeste («Mi sintonizzo con Dio / è la frequenza giusta / mi sintonizzo proprio io / e lo faccio apposta») sia del tutto inventato, e non magari ascoltato veramente in qualche oratorio di periferia.

 

Non si può dire che gli allarmi non siano risuonati, è il caso di dire, molto in alto.

Già venticinque anni fa l'allora cardinale Ratzinger fu spietato con la playlist degli altari: «Una Chiesa che si riducaa fare solo della musica "corrente" cade nell'inetto e diviene essa stessa inetta». Oggi, da pontefice amante della musica, insiste sul concetto in un libro, Lodate Dio con arte, applaudito dal maestro Riccardo Muti, anche lui esasperato da «quelle quattro strimpellate di chitarre su testi inutili e insulsi che si ascoltano nelle chiese, un vero insulto».

 

La questione sta diventando spinosa, anzi esplosiva, perché da anni è sullo stile delle celebrazioni che si gioca l'aspra contesa tra conciliaristi e restauratori, con i secondi al facile attacco di quella «eresia dell'informe», come la definisce lo scrittore tedesco Martin Mosebach, che corrode la liturgia a colpi di «canti sguaiati».

 

«A che serve avere belle chiese se la musica è penosa?», insorse dieci anni fa l'allora presidente del Pontificio istituto di musica sacra, il catalano Valentino Miserachs Grau.

 

La Chiesa francese ha risolto la questione da tempo, con piglio gallicano, stilando una lista rigorosa e vincolante di canti ammessi, una sorta di canatur, versione canora dell'imprimatur.

 

Invece in Italia, sede del cattolicesimo ma anche patria del bel canto, l'anarchia del parrocchia' n' roll sembra ingovernabile. Ogni diocesi dovrebbe possedere un Ufficio di musica sacra tenuto a vigilare sulla serietà del sacro pop, ma di fatto quel che finisce per risuonare tra banchi e navate è quasi sempre frutto della creatività improvvisata di qualche catechista munito di iPod, o di certi sacerdoti chitarristi.

 

La scena, un po' dovunque, dev' essere quella frettolosa e distratta descritta dal bolognese don Riccardo Pane nel suo sconsolato pamphlet Liturgia creativa: «Prima della messa mi piomba immancabilmente in sacrestia qualcuno a chiedere: "Don, che cosa cantiamo?", e il mio ritornello è inesorabilmente "vatti a leggere le antifone e vedi se trovi un canto che ci azzecca"». Il risultato è nelle orecchie di tutti.

 

Reperibile a vagonate anche sui canali di YouTube, pure in versioni medley e remix. Motivetti che non ci azzeccano proprio, incongruità (Signore scende la sera cantato alla messa delle 11 di mattina), cascami di musica di consumo, simil-Ramazzotti e para-Baglioni, esotismi world music con bonghi e maracas (come il cantatissimo Osanna-eh «africano») che sconcertano le vecchiette, azzardi stilistici estremi (c'è un Gloria hip-hop), perfino cover da grandi successi (allucinata la parafrasi del Pater sull'aria di The Sound of Silence di Simon).

 

La ribellione è nell'aria, un gruppo Facebook frequentato da sacerdoti ha stilato perfino la classifica dei canti più disastrosi: ha vinto con 374 nomination l'Alleluja delle lampadine, ribattezzato così perché di solito è accompagnato da gesti delle mani che sembrano mimare il lavoro di un elettricista.

 

L'arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra ha spuntato personalmente a matita rossa dai libretti parrocchiali i canti «che non devono più esserci», come Alleluja la nostra festa, visto che, semmai, la messa è la festa del Signore.

 

Da più parti s'invocano il ripristino d'autorità del Gregoriano e la disciplina monostrumentale dell'organo a canne, o almeno dell'armonium.

 

Sotto queste pressioni, un paio d' anni fa la Conferenza episcopale chiese al suo consulente don Antonio Parisi, esperto di musica sacra e compositore, di mettere ordine nello sconcertante frastuono. Povero don Antonio, si trovò di fronte un oceano di quindicimila canti, canzoni e canzoncine estratti da quarantacinque anni di raccolte nazionali e locali. E c'era di tutto. Delle musiche abbiamo detto, ma i testi, i testi ancora peggio. Pieni di parole tronche, da poesiola delle elementari («Il nostro mal / sappi perdonar...»), banali, inappropriate, di orrori grammaticali («Te nel centro del mio cuor»), di espressioni rubatea qualche spot televisivo di banche («Tutto ruota intorno a Te»), quando non sono zeppi di ingenuità (definire Maria «l'irraggiungibile» non è incoraggiante per la partecipazione al rosario) e di veri e propri strafalcioni teologici, commessi sicuramente in buona fede, magari per far quadrare un verso: cantare «Tu che sei nell'universo» solo perché «nell'alto dei Cieli» non ci stava, più che riecheggiare una canzone di Mia Martini significa circoscrivere Dio dentro la sua Creazione, e non va proprio bene.

 

Un compito immane, defatigante, sconsolante, da cui don Parisi riuscì meritoriamente a far scaturire un Repertorio nazionale di canti per la liturgia che ne seleziona 384 decenti e adeguati, ma che ancora non fa testo: «Non si può procedere per imposizioni», spiega, «bisogna formare, formare persone nelle diocesi, nelle parrocchie, far studiare musica ai presbiteri, agli animatori, ai catechisti, il canto liturgico non è un optional, è un segno sacro». Giusto non voler guastare l'entusiasmo degli animatori parrocchiali, volonterosi e incolpevoli.

 

Ma il punto è questo, che i canti durante la messa non sono un "accompagnamento", non sono gli "stacchetti" fra un responsorio e una lettura: fanno parte della liturgia, sono cosa sacra come le parole dell'Elevazione.

 

Come è possibile che la stessa Chiesa che ripristina la messa in latino chiuda un occhio di fronte alla colonna sonora da X-Factor di quella in italiano?

 

I conservatori hanno una spiegazione storica: la profanazione canora cominciò con «la deflagrazione nucleare» chiamata "Messa Beat". Chi la ricorda? Anno 1965, Concilio appena terminato, fibrillazione del rinnovamento, il maestro Marcello Giombini accantonò le colonne sonore degli spaghettiwestern e, ispirato, scrisse una messa musicale «per i giovani». Davvero una bomba atomica. Trasmissioni Rai, concerti, tournée internazionali, benedizione del gesuita padre Arrupe, 45 giri pubblicati dall'etichetta discografica delle Edizioni Paoline.

 

Il torrente non si fermò più, proliferarono i «complessi» da scantinato di canonica, alcune band divennero famose, Angel and the Brains, The Bumpers, per non dire delle due formazioni parallele dei Focolarini, Gen Verde e Gen Rosso, le cui audiocassette infestano ancora gli oratori.

 

Ma fu così che la Chiesa non perse l'onda del Sessantotto. E non fu affatto una sciagura, assicura monsignor Vincenzo De Gregorio, responsabile per la liturgia musicale della Cei: «Prima le messe erano o tutte recitate o tutte cantate, ma cantate solo dal coro, solo da ascoltare. La Messa Beat fu una sana apertura, ed era di qualità, il guaio come sempre sono gli epigoni. Anzi, il guaio è la cultura musicale inesistente degli italiani. In questo Paese ormai si canta solo a messa».

 

I tradizionalisti sbagliano. Dare la colpa al Concilio è troppo facile, anche la Chiesa guardinga dell'Ottocento ebbe parecchi problemi con le hit parade da altar maggiore. Sentite come nel 1884 la Sacra congregazione dei riti elencò con disgusto quel che rimbombava tra le navate: «Polcke, valzer, mazurche, minuetti, rondò, scottisch, varsoviennes, quadriglie, galop, controdanze, e pezzi profani come inni nazionali, canzoni popolari, erotiche o buffe, romanze...».

 

Il difetto della Chiesa postconciliare semmai fu trovarsi musicalmente impreparata alla sua stessa rivoluzione liturgica. Con l'abbandono del latino, la Cei predispose il nuovo messale in italiano, ma trascurò il rinnovamento del repertorio canoro. A disposizione c'erano solo un po' di litanie antiquate, Mira il tuo popolo, T'adoriam ostia divina. «Ai parroci non restò che prendere le canzonette del gruppo rock che faceva le prove in oratorio, o quelle dell'ultimo campeggio scout, e portarle sull' altare», sospira monsignor De Gregorio. Risultato: un'infantilizzazione drastica dei contenuti, degli stili, dei testi.

 

Eppure ci sono, nel grande mondo ecclesiale, talenti da utilizzare, compositori di qualità. Don Parisi li cita con rispetto: don Marco Frisina, compositore apprezzato anche negli Usa, don Pierangelo Sequeri, autore del diffusissimo Symbolum 77, il gesuita Eugenio Costa, il camilliano Giovanni Maria Rossi, il salesiano Domenico Machetta...

 

«Vedo il bicchiere mezzo pieno: sono passati solo cinquant'anni dalla riforma conciliare, è presto per tirare delle conclusioni». La Cei sta pensando di commissionare a loro un nuovo repertorio, finalmente di qualità. Nell'attesa, quando rintocca la campana della messa, viene ancora il sospetto che le parrocchie d'Italia, come patrono della musica, non invochino santa Cecilia, ma Sanremo.

 

[articolo pubblicato su «la Repubblica» il 16 giugno 2011, pagine 47-48]

 

 

  La Messa Solenne di Giuseppe Verdi

 

 

La Messa Solenne o Messa di Gloria di Giuseppe Verdi appartiene al gruppo di composizioni giovanili identificate nel fondo musicale della Biblioteca della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e Monte di Credito su Pegno di Busseto a cura di Dino Rizzo. Il ritrovamento consente di illuminare la zona d’ombra della formazione musicale del Maestro bussetano e il rapporto con la musica liturgica.

Accolto a “bottega” da Ferdinando Provesi nel 1825, all’età di dodici anni Verdi aiuta il suo insegnante nello svolgimento dell’attività di maestro di cappella e organista della Collegiata di San Bartolomeo di Busseto. L’attività di copista gli permette di conoscere la teoria musicale, la tecnica ed estensione degli strumenti e delle voci oltre ad indagare l’organizzazione del discorso musicale. Il completamento e il riadattamento per nuovi organici vocali-strumentali delle partiture abbozzate da Provesi consentono a Verdi di esercitarsi nella “composizione ideale”.

Nel 1829, terminato l’apprendistato, Verdi possiede il mestiere. Dall’analisi dei brani collocabili in questo periodo, un Laudate pueri per soli, coro e orchestra, due Tantum ergo rispettivamente per Basso e Tenore, e un Qui tollis per tenore con clarinetto concertante, si può constatare che Provesi ha impresso in Verdi i modi del melodramma rossiniano, se pur con eleganti sfumature melodiche ed orchestrali caratteristiche di Haydn e Mozart.

I documenti dell’epoca ci informano come il clero abbia ostacolato l’esecuzione di queste musiche all’interno dei riti religiosi, perché “teatrali, lascive, guerresche”, perché prive di “sano contrappunto”, ma soprattutto per l’assenza del “gusto Filosofico”. In esse, infatti, il testo latino non è indagato nel suo significato sacro ed è trascurata qualsiasi relazione tra la parola e la musica.

Vincenzo Lavigna, maestro al cembalo al Teatro alla Scala di Milano e professore di solfeggio al Conservatorio di Milano, apre il secondo periodo di formazione musicale del giovane Verdi, collocabile fra il 1832 e il 1835. Le lezioni di Lavigna e la frequentazione del teatro milanese annullano in Verdi l’ambizione per la carriera di maestro di cappella. Tornato a Busseto, i nuovi brani liturgici, scritti per soddisfare le richieste pressanti dei filarmonici, mostrano la convivenza fra il precedente linguaggio musicale e i progressi milanesi. Un esempio lo offre la Messa solenne anche se l’assenza dei manoscritti del Qui sedes ad dexteram Patris e del Quoniam tu solus sanctus non permette un ascolto completo. I due Kyrie, il Gloria in excelsis Deo e il Cum sancto Spiritu, appartengono alla prima stesura avvenuta nel giugno 1833.

Approfittando di una pausa bussetana durante il primo anno di studi con Lavigna, Provesi e Barezzi obbligarono Verdi a scrivere una Messa per il 24 agosto, festa di San Bartolomeo patrono di Busseto. Esecuzione accantonata causa la morte di Provesi sopraggiunta il 23 luglio e all’assenza di Verdi, tornato a Milano. Ancora una volta Verdi utilizza un fascicolo abbozzato dal suo vecchio insegnante. In occasione della prima esecuzione, avvenuta il 15 settembre 1835, Verdi ne compie la revisione. Oltre ad alleggerire l’orchestrazione, sostituisce i brani del Christe e del Qui tollis per coro a quattro voci, con brani di propria composizione che esigono la presenza di solisti. Sorprende l’impiego del soprano nel Qui tollis: è la prima esecuzione femminile documentata avvenuta nelle chiese bussetane.

L’ascolto ininterrotto della Messa permette di avvertire il passaggio dall’influenza dello stile rossiniano dei brani appartenenti alla prima stesura, all’influenza dello stile belliniano della revisione - nel Christe, nell’introduzione dell’oboe, è riconoscibile un ricordo della prima battuta di Casta diva - oltre ad evidenziare una maggiore varietà armonica. Nel Christe il nuovo stile è identificabile nella modulazione presente nella seconda delle tre parti, mentre nel Qui tollis è riscontrabile nella modulazione della seconda entrata del coro.

[...] la Messa Solenne fu ripresa la seconda domenica dell’ottobre 1837 in una trasferta della Filarmonica Bussetana nella parrocchiale di Croce Santo Spirito, comune di Castelvetro Piacentino. Esecuzione recensita dalla «Gazzetta privilegiata di Milano» il giorno 25 dello stesso mese: «Sulle dieci e mezzo di quel giorno da tutti i buoni benedetti con eletta musica del Sig. Giuseppe Verdi da Busseto, fu celebrata la Messa solenne. E dissi eletta musica, quale cioè a sacra cerimonia conveniva; perché in essa erano le armonie sì bene accomodate alla significazione de’ sacri concetti che ti destavano nell’animo i sentimenti più vivi della pietà e della Religione. La quale cosa diciamo a tutta lode del Sig. Verdi, che noi pensiamo discostarsi del vero colore (ed è vaghezza ai non pochi anche egregi maestri) che nelle sacre funzioni introducono musicali concetti, propri solo a ricreare gli spiriti, come s’usa ai Teatri».

Movimenti

1. Kyrie: Kyrie eleison (Coro)
2. Kyrie: Christe eleison ( 2 Tenori)
3. Kyrie: Kyrie eleison (Coro)
4. Gloria: Gloria in excelsis (Coro)
5. Gloria: Qui tollis peccata mundi (Soprano, Coro)

6. Gloria: Cum Sancto Spiritu (Coro)

 

 
 

  La musica organistica di Annibale Padovano e di Vincenzo Pellegrini

 

 

Italian organ music from the 16th-century on a 16th-century Italian organ: a unique compilation on record. 

The composer we know as Annibale Padovano (1527-1575) was named after his native city of Padua, but in 1552 he became organist at St Mark’s Venice while the Dutch composer Adrian Willaert was master of music there. Padovano probably joined Willaert’s group of pupils, and he would have encountered the likes of Andrea Gabrieli and Cipriano de Rore. Nonetheless, his reputation rests on the slender book of organ music published in 1604, which reveals him as a master contrapuntalist of his age in the Ricercars, and no less innovative or inventive in his use of the Toccata form, clearly Venetian in spirit yet individual in expression. 

Vincenzo Pellegrini was born in Pesaro around 1562. Following his studies at the seminary, he became a canon regular of the cathedral in 1589 and appears to have been a popular teacher as well as a composer of church music. His work for organ likely dates from the end of his life, when he had become a canon in Milan Cathedral where there was a stronger tradition of instrumental composition. The Canzoni that have come down to us betray an evident debt to the French chanson tradition: simpler in form than Pellegrini, their melodic freshness and charm offers more than ample compensation in works such as ‘La Serpentina’ which has become a popular work of the period in its own right. 

This is Luca Scandali’s sixth album for Brilliant Classics, after imaginative collections of repertoire such as ‘Balli, battaglie e canzoni’ (BC95384) and 17th-century Italian organ music by Galuppi (BC95140) and Pasquini (BC94347). For this album he has contributed a valuable booklet essay and selected the historically significant organ in the Basilica of Santa Barbara in Mantova, which is tuned to the mean-tone temperament used in the era of Padovano and Pellegrini. 

This collection of Toccatas, Ricercars and Canzones by Annibale Padovano and Vincenzo Pellegrini comprises examples of all the main forms of Italian organ music of the Renaissance, the Golden Age in which keyboard music flourished and huge leaps of development were made. 
Padovano was an organist at the famous San Marco in Venice, while Pellegrini was Maestro di Cappella at the Milan Cathedral, both composers made valuable contributions to the development of the keyboard style, in which imitative elements and a healthy dose of ornamentation and virtuosity found their place. 
Played on the 1565 historic organ of Graziadio Antegnati organ in the Basilica of Santa Barbara in Mantua, Italy. Luca Scandali is one of the foremost organists of Italy, artist and scholar, who already made several successful recordings for Brilliant Classics, a.o. by Galuppi, of which Fanfare Classical Magazine wrote: “the performance themselves are superb. Organist Luca Scandali understand this repertoire perfectly and renders it with grace, vitality and imaginative use of varying registrations, all captured in clear, warm recorded sound”. 
Luca Scandali also wrote the extensive, scholarly liner notes in the booklet, which also contains all the specifications and photo of the organ.


 

 

  La musica per organo di Sperindio BERTOLDO e di Cesare BORGO in una edizione discografica "Brilliant Classics" registrata da Manuel TOMADIN

 

 

 

Bertoldo & Borgo: Complete Organ Music

 

Composer Cesare Borgo, Sperindio Bertoldo

Artist Manuel TOMADIN organ - https://www.organieorganisti.it/utenti/manuel-tomadin 

Format 1 CD "Brilliant Classics"

Cat. number 95874

Release October 2020

 

Tra i generi più apprezzati oggi, che vanta virtuosismi da Bach a Prokofiev, la toccata per tastiera apparve per la prima volta in stampa nel 1591, all'interno di questa raccolta di opere di Sperindio Bertoldo. Purtroppo la collezione apparve solo postuma, poiché Bertoldo morì intorno al 1570, all'età di circa 40 anni, al culmine di una carriera illustre, anche se movimentata. Era diventato organista della Cattedrale di Padova poco più che ventenne, ma nel 1567 fu sospeso per insubordinazione. Avendo evidentemente mostrato contrizione appropriata, fu reintegrato e rimase in carica fino alla sua morte, avendo in quella fase pubblicato solo libri di madrigali.

 

Eppure le sue opere per organo sono altrettanto degne di rinascita, anticipando la florida brillantezza e gli effetti spaziali dei maestri veneziani come il Gabrielis. Un altro volume pubblicato nel 1591 era dedicato a Canzoni francese: versioni strumentali di canzoni francesi di Crecquillon, Janequin e Clemens non Papa e queste sono riccamente decorate con imitazioni e ornamenti come una cappella laterale di una chiesa rococò.

 

Poco più nota è la scarsa produzione di Cesare Borgo, che nacque e morì a Milano e vi lavorò come frate organista, salendo a diventare organista per lo strumento di nuova costruzione del Duomo di Milano. Pubblicata a Venezia nel 1599, questa raccolta di canzoni è anche declinata con armonie alla moda in stile francese sebbene dati i titoli delle canzoni italiane in volgare le cui origini sono ormai per lo più perdute. L'attrazione della canzone di Borgo risiede nelle loro esplorazioni spesso gentili e riflessive del materiale melodico all'interno di una robusta struttura ABA. Vengono suonate in questa nuova registrazione sull'organo installato da Vincenzo Colombi nel 1523 presso la Chiesa del Santissimo Corpo di Cristo a Valvasone in provincia di Pordenone. Specifiche e fotografie complete sono stampate nel libretto insieme a un'introduzione di Manuel Tomadin a queste rarità della prima musica d'organo italiana.

 

Lode per la discografia Brilliant Classics di Manuel Tomadin:

 

'Tomadin si esibisce con la stessa grazia su tutti e tre gli strumenti… Il fraseggio è preciso e convincente, e Tomadin ha un'abilità positiva nel rendere interessanti e ascoltabili le linee più semplici e i temi lirici. Avrà reso un servizio straordinario al mondo della musica in questa registrazione. "Fanfare (Alberti, 95161)

 

'Elegante e ben registrato ... Consigliato.'

Fanfara (Das Husumer Orgelbuch, 95328)

 

'Come sempre in questi CD brillanti, i compositori meno noti sono trattati con serietà e ricevono performance accademiche e ben studiate da artisti impressionanti la cui tecnica è impeccabile e la cui capacità di dare vita a capolavori minori è accattivante.' Early Music Review (Lübeck, 95453)

 

Questa nuova registrazione riunisce la musica d'organo di due compositori italiani del Rinascimento, Sperindio Bertoldo (1530-1570) e Cesare Borgo (1560-1623), maestri musicisti attivi come organisti di resp. il Duomo di Padova e il Duomo di Milano.

Le due partiture per organo contengono forme tipiche della musica rinascimentale per strumenti a tastiera come la toccata, il ricercar e la canzona.

Suonato su un bellissimo organo storico costruito da Vincenzo Colombi nel 1533, situato nella Chiesa del SS. Corpo di Cristo a Valvasone, Italia, le cui specifiche sono incluse nel libretto.

L'organista Manuel Tomadin è uno dei più importanti organisti italiani di oggi, uno studioso e un musicista appassionato, con una discografia impressionante al suo nome: Husumer Organ Book, Alberti Complete Keyboard Works e altri maestri d'organo della Germania settentrionale.

 

 

Track list

 

Disk 1

• 1 Sperindio Bertoldo: Tocata seconda di Sperindio Bertoldo

 

• 2 Sperindio Bertoldo: Canzon francese

 

• 3 Sperindio Bertoldo: Hor vienza vien

 

• 4 Sperindio Bertoldo: Ricercar del sesto tuono

 

• 5 Sperindio Bertoldo: Petit fleur

 

• 6  Sperindio Bertoldo: Ricercar del primo tuono

 

• 7Sperindio Bertoldo: Un gai berger

 

• 8  Sperindio Bertoldo: Ricercar del terzo tuono

 

• 9Sperindio Bertoldo: Tocata prima di Sperindio Bertoldo

 

• 10 Sperindio Bertoldo: Frais e gagliard

 

• 11 Cesare Borgo: Canzon L’Albergona

 

• 12 Cesare Borgo: Canzon L’Arnona

 

• 13 Cesare Borgo: Canzon La Baialupa

 

• 14 Cesare Borgo: Canzon La Breda

 

• 15 Cesare Borgo: Canzon La Castelnovata

 

• 16 Cesare Borgo: Canzon La Cipola

 

• 17 Cesare Borgo: Canzon La Colombana

 

• 18 Cesare Borgo: Canzon La Forera

 

• 19 Cesare Borgo: Canzon La Gabutia

 

• 20 Cesare Borgo: Canzon La Parolina

 

• 21 Cesare Borgo: Canzon La Scarabella

 

• 22 Cesare Borgo: Canzon La Lucina

 

 

 

  La prassi musicale cosiddetta "alternatim"

 

La funzione didattico-rappresentativa dell’organo si manifesta nella prassi dell’alternanza o alternatim. Il primo documento musicale ad oggi noto attestante questa pratica si trova nel Codice di Faenza redatto attorno all'anno 1400. Ma una precedente, illustre testimonianza si può ricavare dal IX Canto del Purgatorio dantesco:

 

Io mi rivolsi attento al primo tuono,

e Te Deum Laudamus mi parea

udire in voce mista al dolce suono.

Tale imagine a punto mi rendea

ciò ch'io udiva, qual prender si suole

quando a cantar con organi si stea,

ch'or sì, or no s'intendon le parole.

(Purgatorio Canto IX, vv. 139-145)

 

Il presente riferimento da parte di Dante non solo indica un'origine medievale di questa prassi, ma anche una sua già considerevole diffusione alla fine del XIII secolo. Era questo il modo di eseguire in canto e musica quasi tutti i testi dell’ordinario della messa (Kyrie, Gloria, raramente il Credo, Sanctus, Agnus Dei), il cantico del Magnificat e alcuni inni. I versetti di ciascuno di questi testi venivano affidati alternativamente al coro che li cantava in gregoriano e all’organo che, quindi, si sostituiva al testo letto. Ad esempio, nel Kyrie, le complessive nove invocazioni (3 volte Kyrie eleison, 3 volte Christe eleison e 3 volte Kyrie eleison) venivano eseguite le dispari dal coro e le pari dall’organo. Oppure, per il Magnificat, il coro cantava il primo versetto (“Magnificat anima mea Dominum”) e l’organo rispondeva con il secondo (corrispondente alle parole “Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo”); a sua volta il coro rientrava sul terzo versetto (“Quia respexit”) etc.

 

I brani organistici, essendo sostitutivi di alcuni versetti del testo, venivano analogamente definiti versetti. Questa prassi si è mantenuta fino al Concilio Vaticano II ed ha, tra l’altro, determinato una fiorentissima letteratura di versetti d’organo, dal Rinascimento fino a tutto l’Ottocento. E’ evidente la distanza enorme che intercorre tra la pratica antica (ma non troppo) dell’alternatim e le abitudini odierne: le norme attuali esprimono la preoccupazione di una comprensibilità assembleare dei testi (di qui l’uso della lingua italiana e la pronuncia integrale, letta o cantata), mentre nella liturgia preconciliare, appunto, vigeva la lingua latina e, addirittura, brani fondamentali come il Gloria, il Magnificat, il Sanctus, ecc. venivano letteralmente dimezzati, essendo una metà sostituita da brani d’organo.

 

Questa prassi – apparentemente illogica e assurda – in realtà non voleva costituire un ostacolo alla diffusione e alla comprensione generale di quei testi. E’ evidente che ben altri erano gli ideali che sostenevano quella prassi; ideali che, forse, con l’andare del tempo e dei secoli, si sono via via consumati ma che dovevano essere ben presenti nei primi momenti, ossia il tardo Medioevo, quando la pratica dell’alternanza venne introdotta nell’uso liturgico. E qui ritorniamo a quella funzione rappresentativa dell’organo che evidentemente era ritenuta superiore addirittura alla pronuncia diretta del testo sacro: se l’organo era legittimato a sostituirsi alla Parola, era perché l’organo rappresentava la musica celeste, ossia il canto cosmico sprigionato dall’universo intero in lode di Dio. E l’alternanza tra coro e organo nella liturgia della Chiesa Militante rappresentava l’alternanza tra i cori degli angeli e l’harmonia mundi della Chiesa Trionfante. [per leggere l'articolo completo, cliccare il collegamento internet qui sotto riportato]

 

 

  LA SANTA SEDE

  La tendenza a trasformare le chiese in un set televisivo (di A. Parisi)

 

Alcuni video di vari balletti inseriti all’interno della celebrazione della messa, da un po’ di tempo circolano su youtube. Vengono preparati e guidati da giovani sacerdoti che credono in questo modo di rendere più viva e partecipata la celebrazione. L’impressione che se ne ricava è di uno squallore unico al limite della sconvenienza. A volte ci si spinge oltre facendo ballare, si fa per dire, anche anziani, per lo più donne, giustificando tutto come partecipazione attiva.

Vorrei chiarire e ribadire alcuni concetti.

Noi non siamo i padroni del rito; esso ci viene consegnato dalla Chiesa; non lo possiamo né cambiare né stravolgere con aggiunte, postille o eliminazioni varie. Il rito è stato ampiamente aggiornato e adattato ai nostri tempi con la Riforma Liturgica del Vaticano II; pertanto sta a noi renderlo vivo e parlante senza sconvolgerlo. Siamo noi fedeli che dobbiamo entrare nel rito e farlo nostro; indossarlo come un abito su misura.

Un’altra precisazione: dopo più di 50 anni di Riforma non riusciamo ancora a capire il vero senso e significato di partecipazione piena, attiva, consapevole, così come ci è stata raccomandata dalla Riforma Liturgica. Partecipazione attiva si intende quella interiore ed esteriore; l’ascolto, il silenzio, e poi la preghiera, sono le dimensioni della partecipazione vera. Poi essa diventa parola, canto, gesti e movimenti: ma realtà tutte già presenti nel rito. Non occorre inventarsi altri segni o gesti o balletti vari perché ci sia partecipazione vera.

Altro argomento: i giovani. Si cerca di interessarli sposando i loro balli, le loro canzoni, i loro modi di comunicare. Va bene, ma facciamolo negli oratori se proprio non abbiamo altri metodi educativi e di coinvolgimento attivo. Vogliamo interrogarci sul serio una buona volta?. Cosa cercano i giovani venendo in chiesa? Cosa offriamo noi educatori per accrescere la loro fede e la loro vita cristiana? Forse che dopo quel balletto (L’esercito del Cristo) avete fatto un passo in avanti verso la comprensione della vita cristiana.

Ancora un’altra riflessione: da qualche anno vedo sempre più le nostre chiese trasformate in luoghi dove si chiacchera senza alcun ritegno; mancanza di rispetto nel modo di vestirsi (che problema serio sta diventando la celebrazione dei matrimoni) e di comportarsi. C’è una tendenza a voler trasformare le nostre chiese in un set televisivo o cinematografico: luci, microfoni, telecamere, arredi vari, fiori, abiti: tutto è concesso, tutto è permesso.

Urge una campagna per imparare di nuovo un galateo liturgico-musicale all’interno delle nostre chiese.

Ma, la buona fede dei giovani dove la mettiamo, perché siamo contrari? Dirà qualcuno. Ma buona fede non significa indurre i ragazzi a pensare che in chiesa possiamo fare di tutto. Buona fede non vuol dire inserire balli e musiche di dubbio gusto, solo per attirare i giovani. Forse che non trovano di meglio e di più appropriato nelle loro discoteche e sale da ballo?

E che dire di canzonette che accompagnano a volte i balli e tante volte anche vengono inserite all’interno dei vari riti? Dove è “la differenza cristiana” (leggetevi il bel libro di E. Bianchi) nel modo di parlare, nel modo di comportarsi, nel modo di cantare, nel modo di essere cristiani? Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo.

Gesti, movimenti, canti, segni: il rito già prevede questi mezzi, utilizziamoli al meglio senza ricercare altre novità banali e insignificanti; forse la nostra preghiera liturgica diventerà più vera, profonda e intensa.

don Antonio Parisi su «Vita Pastorale» (febbraio 2018)

 

 

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