«Scusi: è Lei il pianista?», ovvero “La soppressione della figura dell'organista titolare nelle chiese italiane del dopoguerra”

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«Scusi: è Lei il pianista?»,
ovvero
“La soppressione della figura dell'organista titolare nelle chiese italiane del dopoguerra”

 

di Paolo Bottini

 
 

 

INTRODUZIONE

 

Questo testo è stato scritto in occasione della partecipazione dell'autore come relatore al convegno “L'organo a canne nella liturgia” promosso dalla Associazione Italiana Organari in collaborazione con Associazione Italiana Organisti di Chiesa presso la fiera “Koinè” a Vicenza il 14 marzo 2011: esso è la sintesi della medesima conferenza tenuta dall'autore stesso a Lugano il 12 maggio 2011 nell'ambito delle “Conversazioni musicali in Mansarda” promosse dal Conservatorio della Svizzera Italiana in collaborazione con ATO – Associazione Ticinese degli Organisti.

 

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SUNTO

 

Oggi spesso gli organisti (sia diplomati che dilettanti) che prestano regolare servizio liturgico amano definirsi “titolari” dell'organo che hanno a disposizione per accompagnare le messe festive: in realtà si tratta di indebita appropriazione di un titolo che oggi la Chiesa in pratica non riconosce più come un tempo, perché mai come oggi in Italia la figura dell'organista di chiesa è sottovalutata e in tanti casi addirittura sopportata o osteggiata a motivo della non indifferente questione della remunerazione, da una parte, ma soprattutto per l'indifferenza verso una musica di vera qualità a vantaggio della liturgia. Si riscontrano difficoltà ricorrenti nei rapporti di collaborazione tra musicisti e clero, perché da entrambe le parti non è chiaro quali siano reciproci diritti e doveri. Occorre lavorare tutti umilmente, organisti e clero affinché venga ufficialmente riconosciuta la figura liturgico-pastorale dell'organista e di pari passo si effettui una migliore intesa tra Chiesa e Stato sulla tutela e fruizione degli organi storici (sono tantissimi quelli che rivestono interesse storico artistico, essendo 'antichi' più di 70 anni), che non sono solamente manufatti d'arte, ma possono continuare, come da secoli, a svolgere un ruolo fondamentale nel culto divino, a patto che siano suonati da competenti sia in musica che in liturgia.

 

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Non ci si attenda da questo mio contributo un mero excursus storico riguardo in che modo e in quante chiese in Italia negli scorsi decenni sia stata soppiantata la figura dell'«organista titolare», desidero invece offrire qualche piccolo spunto utile alla riflessione e, soprattutto, ad una auspicabile azione di vera riforma di cui avrebbe bisogno il mondo della musica liturgica oggi in Italia.

 

Parto subito esponendo una situazione esemplare che negli ultimi tempi non è infrequente.

 

Poniamo che un parroco appena insediatosi, noncurante dell'utilizzo esclusivo che in quella parrocchia si faceva dell'organo per ultracentenaria tradizione, decida di favorire l'introito di chitarristi liturgici a scapito, in parte o del tutto, dell'organista: questo parroco giustifica tale scelta mediante motivazioni di carattere non liturgico ma eminentemente pastorale, ovvero sceglie di far suonare le chitarre perché strumenti musicali più agili e 'giovani', senza nemmeno porsi la domanda se anche il suo bravo organista non sia proprio in grado di accompagnare all'organo qualsiasi canto del repertorio cosiddetto giovanile.

 

Questo avvicendamento non accadrebbe se la figura dell'organista “titolare” fosse tenuta in considerazione come un vero e proprio ministero di fatto e non un semplice servizio volontario alla stregua di quello che offre il lettore liturgico improvvisato oppure l'uomo pensionato che mesce bibite al bar dell'oratorio. Oggi invece noi organisti, pur senza alcuna esplicita nomina, ci auto-definiamo portatori di un “titolo” che è tacitamente accettato nella misura in cui nessuno insorge contro l'indebita appropriazione che ne facciamo.

 

Non ho paragonato a caso l'organista al lettore: il primo, che non può essere investito di ordinazione ministeriale, è di solito in effetti ritenuto meno indispensabile del secondo; in altre parole se è necessario che qualcuno a messa proclami la Parola di Dio, non è invece strettamente richiesto che qualcuno suoni uno strumento musicale. Nonostante ciò nemmeno il lettore della domenica in genere viene istituito ministerialmente, ma neppure ritenuto degno di ricevere quanto meno un mandato ufficiale come quello che viene dato, ad esempio, ai catechisti.

 

Dunque gli organisti non svolgono un servizio ecclesiale di natura veramente necessaria, dato che non è grazie ad essi che si attua il fondamentale assunto conciliare che «il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» (Sacrosanctum Concilium 112). Si badi bene però: secondo i Padri Conciliari è il canto sacro, non la musica strumentale, ad essere parte integrante del culto, altrimenti perché accanto a «canto sacro» avrebbero specificato «unito alle parole». Dunque l'organo non è indispensabile, il canto (sembrerebbe) invece sì!

 

Infatti c'è un dettaglio che spesso sfugge: il canto è considerato «parte necessaria ed integrante» non di ogni azione liturgica indistintamente, bensì – attenzione – della «liturgia solenne»: ma ogni azione di culto a Dio non è comunque sempre solenne? Oppure ci sono diversi gradi di solennità?

 

In realtà è il canto a dare particolare solennità a qualsiasi azione liturgica, la quale, appunto «riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto […]» (Sacrosanctum Concilium 113).

 

Conclusione: nemmeno il canto nella liturgia è obbligatorio.

 

Insomma: l'organista non è indispensabile, il canto liturgico non è obbligatorio... a questo punto io potrei terminare qui il mio discorso! Invece non credo ci siano luoghi di culto in Italia ove nella messa domenicale non si cantino quanto meno le parti dell'Ordinario, e pure penso sia poco consistente la percentuale di parrocchie del tutto sprovviste di suonatori.

 

Ma i nostri parroci sanno valorizzare questo servizio? A me pare che il servizio liturgico-musicale dell'organista sia tanto gradito quanto sottinteso e scontato!

 

Infatti, se fino al 4 dicembre 1963, data della promulgazione della riforma liturgica, la figura dell'organista era guardata con una certa considerazione, da allora ad oggi una serie di cause concomitanti ha fatto sì che all'organista di chiesa si riservi la minima attenzione rispetto ad altri incarichi ecclesiali.

 

Tra queste cause possiamo citare l'effettiva diminuzione degli interventi suonati richiesti dal culto riformato, che forse in non pochi casi avrà causato un certa insofferenza, sicuramente invece col tempo ciò ha determinato lo spostamento d'interesse più verso il concerto (infatti oggi abbiamo un proliferare sovrabbondante di esibizioni concertistiche a fronte di una povertà estrema del servizio musicale nella liturgia): in proposito desidero citare le parole del parroco di Novale di Valdagno don Alvidio Bisognin (pure diplomato in Direzione di Coro) in occasione di un convegno, tenutosi il 19 giugno 2010 a Cornedo Vicentino, dal provocatorio titolo "C'è ancora spazio per l'organo a canne nella liturgia cattolica?". Diceva don Alvidio: «La liturgia rinnovata dal Concilio non offre spazio agli organisti. Allora questi puntano al concerto quasi disperatamente. Ma chi va più ai concerti d'organo? Così lo strumento ideale per la liturgia viene mortificato nella sua ideale funzione».


 

Vedete che ne abbiamo di sacerdoti sensibili alla nostra buona causa, anzi dico che non dobbiamo continuare ad incolpare il clero se oggi permane una grave crisi liturgico-musicale perché, a mio parere, buona parte della colpa è invece da individuarsi in certa supponenza di noi organisti che cadiamo spesso nella tentazione di usare l'organo a messa come nel concerto, dimenticando di sana pianta le più elementari norme liturgiche e, dal punto di vista musicale, anche quell'arte che ci introdurrebbe invece di diritto per il portale maggiore nella liturgia: parlo dell'arte dell'improvvisazione, vera ed unica esegesi musicale del culto.

 

Altra causa dell'affievolirsi della qualità del canto e della musica nella liturgia negli ultimi cinquant'anni è stata anche l'abolizione nelle parrocchie di quel democratico e ben regolato organo di partecipazione dei fedeli laici che era la “fabbriceria”, oggi sostituito dal consiglio pastorale parrocchiale che, secondo il Diritto Canonico, a giudizio del Vescovo può anche non essere costituito.

 

Se è auspicabile che siano sempre più le parrocchie ove sia ritenuta di fondamentale importanza la figura di un bravo organista, bisogna che qualcuno certifichi le competenze dell'organista. E quali sono oggi le esigenze della Chiesa cattolica italiana in materia di musica e di canto sacro?

 

Ancora nel 1963 il maestro Giancarlo Parodi, presidente della Associazione Italiana Organisti di Chiesa dal 2007 al 2011, concorreva nella basilica di S. Maria Assunta in Gallarate per il posto di organista titolare bandito per regolare concorso, che poi vinse; per contro quarant'anni dopo nella Cattedrale di Cremona, per la morte del titolare monsignor Dante Caifa, veniva nominato organista per diretta chiamata, senza alcun concorso pubblico, l'organista Fausto Caporali: due esempi per dire il fatto che l'attività di organista di chiesa, non essendo più considerata un lavoro, non richiede che per svolgere questo servizio si bandisca un concorso, dato che per suonare l'organo nel culto cattolico in Italia sembra non sia richiesta dai vescovi alcuna specifica preparazione né musicale né liturgica se non, quanto meno ovviamente, saper accompagnare quei pochi canti che fanno parte del repertorio comune più abusato.

 

Sentite invece cosa era richiesto al piemontese Federico Caudana, una volta vinto nel 1907 il severo concorso per l'assegnazione del posto di organista titolare del duomo di Cremona: obbligo di suonare tutte le domeniche e feste religiose dell'anno, nonché in tutti i giorni dell'anno al mattino tranne il lunedì, nei vespri delle vigilie delle funzioni pontificali, nelle epoche delle quarantore ed accompagnare il canto del Pange lingua nelle terze domeniche d'ogni mese. Inoltre gli si chiedeva di suonare «in ogni altra funzione ordinaria e straordinaria di qualsiasi nome e natura, secondo le consuetudini vigenti nella cattedrale, ed anche nelle funzioni improvvise dietro ordine della Fabbriceria o del Maestro di Cappella». Gli era fatto obbligo pure «di [accordare] l'organo almeno una volta al mese, e sempre e subito quando occorresse».

 

Vedete quanta scrupolosità nel richiedere precisi servizi e compiti all'organista... proprio come ai tempi degli antichi re d'Israele era costituita una vera e propria schiera di leviti-musici preposti al costante servizio musicale nel tempio. Nel capitolo 25 del Primo libro delle Cronache, infatti, si parla del reclutamento, da parte del re Davide, di 288 cantori-musicisti professionisti, «esperti nel canto del Signore, tutti maestri» (1 Cronache 25,7), per il regolare servizio musicale nel Tempio; inoltre, dal quinto capitolo del Secondo libro delle Cronache si evince che era grazie alla musica e al canto dei membri della tribù di Levi che la gloria del Signore si manifestava in maniera speciale sulla terra (2 Cronache 5, 13-14).

 

Questi due passi biblici suscitarono l'attenzione nientemeno che di Johann Sebastian Bach il quale, sulla sua Bibbia, così li ha chiosati: «Con una musica devota, Dio è sempre presente con la sua Grazia», intendendo per «devota» una musica che, mediante la sua ricercatezza artistica, fattasi essa stessa culto, compenetrasse intimamente il culto stesso.

 

Tornando a Caudana, dobbiamo considerare come dal 1907 – anno dell'inizio del suo «lavoro» di organista – in Italia la società, la politica e la cultura hanno subìto radicali mutamenti a causa dei quali la Chiesa, persi certi benefici materiali che scaturivano dagli uffici ecclesiali, ha dovuto non molti anni fa escogitare l'Otto per Mille per la sussistenza del clero e per il sostegno alle attività di culto e caritative.

 

Ma già nel maggio 1915, con l'entrata in guerra dell'Italia, il povero Caudana, mandato al fronte in Trentino, si trovava costretto a supplicare la Fabbriceria del duomo di Cremona affinché sospendesse la deliberazione di diminuirgli lo stipendio a motivo della sua effettiva assenza dal servizio che comportava per la Fabbriceria l'ulteriore esborso di un corrispettivo per un supplente. E si noti che già all'epoca lo stipendio dell'organista di un'importante cattedrale come quella di Cremona, lire 1.800 l'anno, non permetteva di poter mantenere famiglia con due figli, e le cose in seguito non migliorarono di certo, dato che nel 1953 Caudana scriveva a Luigi Picchi: «sono spiacentissimo che la Fabbriceria del duomo di Como ti abbia fatto un torto simile; quello di ridurre lo stipendio, invece di aumentarlo. Non mi meraviglio però, perché anch'io mi trovo in quelle condizioni: quando le Fabbricerie erano amministrate dai secolari e non dai preti, le cose andavano assai meglio […]». E pensate che Picchi era organista del duomo di Como, anch'egli «titolare» per concorso, dal 1928. Non ho ancora avuto modo di appurare per quale motivo il povero Picchi subì tale ingiustizia, ma nei primi anni Cinquanta questo poteva essere avvisaglia di un declino che ha portato a considerare la figura dell'organista non più una professione ma un semplice servizio volontario che molti danno per scontato debba svolgersi gratuitamente.

 

A proposito della gratuità, sentite cosa raccomandava la Sacra Congregazione dei Riti pochi mesi prima dell'indizione del Concilio Vaticano II: «È desiderabile e bisogna far opera di persuasione affinché gli organisti, maestri di coro, cantori, artisti di musica e tutti quelli che sono addetti al servizio della Chiesa, diano la loro opera per amore di Dio senza alcuno stipendio», precisando tuttavia «che se non vogliono dare gratuitamente la loro opera, la giustizia cristiana e la carità richiedono che i superiori ecclesiastici stabiliscano per loro una giusta mercede secondo le varie e legittime consuetudini, tenute presenti anche le prescrizioni delle leggi civili» (n. 101 della Istruzione “De Musica Sacra et Sacra Liturgia” promulgata dalla Sacra Congregazione dei Riti il 3 settembre 1958).

 

Dunque, secondo cristiana giustizia e carità, quale potrebbe essere oggi la giusta mercede per un organista professionista?!

 

Tra l'altro abbiamo dalla nostra parte il Codice di Diritto Canonico che afferma che «I laici, designati in modo permanente o temporaneo ad un particolare servizio della Chiesa, […] hanno diritto ad una onesta rimunerazione adeguata alla loro condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia […]» (CJC 231, § 2).

 

E notate che nel Codice di Diritto Canonico non è citato il ruolo eminentemente liturgico dell'organista, bensì quello del lettore e dell'accolito perché sono ministeri istituiti che possono essere assunti anche dai laici, ma che non possono avere effetti economici e civilistici, avendo valore esclusivamente liturgico. Il fatto dunque che non sia citato il servizio del musicista nel diritto canonico, conferma ulteriormente che esso, per la sua natura, ha caratteristiche specifiche non assimilabili a quelle del lettore e dell'accolito, ministeri questi che possono essere conferiti senza tuttavia che tale conferimento attribuisca «loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa» (CJC 230, § 1).

 

Ma nonostante abbiamo appurato che la presenza dell'organista non è essenziale per l'annuncio del Vangelo, è noto a pochi, credo, che nel 2001 la Conferenza Episcopale Italiana ha finalmente riconosciuto il diritto alla remunerazione dei musicisti di chiesa: lo ha fatto in occasione di una lettera circolare inviata ai direttori dei conservatori affinché prendessero in considerazione la possibilità di istituire appositi corsi curricolari di “organo per la liturgia” in quanto: «la Chiesa Italiana si accinge a regolamentare [corsivo nell'originale] tempi, modalità ed impegni reciproci, relativi al rapporto tra Enti Ecclesiastici e operatori musicali (organisti) con un rapporto di collaborazione [grassetto nell'originale] che riconosca adeguatamente le professionalità, la preparazione specifica ed il compenso economico».

 

In realtà, se è vero nel frattempo che in diversi conservatori sono stati istituiti tali corsi (Bari, Vicenza, Novara, Castelfranco Veneto, Bologna), non mi risulta invece che i vescovi italiani abbiano ancora messo mano alla regolamentazione dei rapporti di collaborazione con gli organisti.

 

Dunque per quale motivo un giovane dovrebbe conseguire una laurea di primo livello in organo per la liturgia se nella diocesi, in cui si trova quel conservatorio, l'Ordinario Diocesano non ha individuato almeno una sede in cui la figura di un organista «titolare» sia palesemente gradita, richiesta e, soprattutto, remunerata secondo le vigenti normative fiscali?

 

Eppure oggi, nel contesto del culto cattolico, l'organista potrebbe assumere un ruolo di primaria importanza, essendo in grado di esaltare in musica ciò che il rito di volta in volta esprime. Ancora troppo spesso invece il ruolo dell'organista è relegato ad una presenza talmente opzionale – o addirittura sopportata – che egli decide comunque di rimanere al suo posto o per fede e abnegazione totali, oppure solamente perché gli resta la incontrastata consolazione di tastare ogni domenica un pregevole strumento, che gli valga la possibilità di auto-fregiarsi dell'appellativo di «titolare del prestigioso organo della chiesa di...», meglio se supportato dalla possibilità di promuovere uno o più concerti che gli fruttino magari la possibilità di scambio artistico con altri colleghi.

 

Facciamoci invece questa domanda: io organista continuerei a svolgere regolare servizio se fossi «titolare» dello storico elettrofono “GEM” del 1991 (!) e il mio ruolo venisse declassato grazie all'avvento di un drappello di adolescenti chitarristi assieme – eventualmente e nella peggiore delle ipotesi – alla drastica diminuzione o addirittura alla soppressione della mia remunerazione?

 

Si sa che dal punto di vista lavorativo noi organisti non abbiamo alcuna tutela e infatti raramente accade che un parroco proponga all'organista una minima forma di accordo scritto, ancora più di rado succede che un organista venga remunerato secondo le vigenti norme fiscali: ciò perché, in ogni caso, per una parrocchia è molto più agevole passare brevi manu all'organista qualsivoglia compenso piuttosto che richiedergli la fattura o addirittura assumerlo con qualche forma di contratto di lavoro. Altra domanda: stante la diffusa situazione del pagamento in nero nelle parrocchie italiane, noi organisti saremmo disposti ad emettere regolare fattura per sole quattro messe al mese (spesso infatti l'impegno domenicale e festivo si limiti all'accompagnamento musicale di una sola messa)?

 

La questione economica, in fin dei conti, sarebbe affrontata con spontanea serenità se per primi i vescovi diocesani offrissero finalmente ai loro organisti di cattedrale un riconoscimento ufficiale del ruolo pastorale e professionale; e poi che affidassero loro la responsabilità della retta custodia della macchina-organo, bisognosa com'è di essere regolarmente mantenuta in efficienza.

 

Anche perché la maggior parte delle chiese italiane è dotata di un organo e dato che un'ampia parte di essi è soggetta pure alla tutela governativa (rivestendo il carattere di beni di rilevanza storico-artistica), bisognerà trovare anche una rinnovata intesa tra Stato e Chiesa affinché la tutela degli organi come opere d'arte proceda parallela alla formazione di musicisti professionisti di volta in volta opportunamente remunerati. Poi, siccome non in ognuna delle circa 28.000 parrocchie italiane si potrà avere un organista diplomato in conservatorio, bisognerebbe che la Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.) stabilisca minimi requisiti di competenza liturgico-musicale al di sotto dei quali sia ecclesialmente indegno assumere il ruolo di responsabile della musica e del canto in una chiesa.

 

In definitiva: è giunto il tempo che la C.E.I. istituisca la figura liturgico-pastorale dell'«organista titolare» attribuendole particolari requisiti secondo quelle che sono le esigenze cultuali e pastorali delle parrocchie, perché è proprio l'organista che in Italia potrebbe a mio parere vivacemente concorrere a «ridare spessore culturale all'annuncio del Vangelo», come diceva nel 2005 il segretario generale della C.E.I. (oggi arcivescovo di Firenze) Giuseppe Betori.

 

Se la Chiesa cattolica italiana vorrà approfittare di questa grande latente ricchezza culturale e spirituale che le si prospetta davanti, non potrà negare il giusto compenso ai propri servitori che ne volessero usufruire, salva restando la possibilità del servizio gratuito; se invece la pastorale della musica e del canto continuerà ad essere considerata attività opzionale nella comune vita cristiana, allora non dovremo stupirci se le Autorità ecclesiastiche procrastineranno sine die l'affronto della questione.

 

Io voglio credere invece che, mediante la collaborazione cordiale tra tutti gli organisti d'ogni ordine e grado e i parroci, un giorno non lontano potremo confortarci del fatto che mai più ci capiterà che, scesi dalla cantoria o chiusa la serrandina della consolle dell'organo dopo una messa nuziale, ci si accosti il padre della sposa, il quale, allungandoci quasi furtivamente l'agognata “mancia” per la prestazione, ci domandi ingenuamente: «Scusi, è Lei il pianista?...».

 

- Vicenza, 14 marzo 2011, convegno L'organo a canne nella liturgia promosso da “Associazione Italiana Organari” in collaborazione con “Associazione Italiana Organisti di Chiesa”

 

 

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Sezione: 
Autore: 
Paolo Bottini
Qualifica autore: 
organita titolare in Croce S. Spirito