da s_buogo » 25/03/2021, 18:52
Buongiorno, intervengo sull’argomento con qualche considerazione forse un po' troppo tecnica che spero non risulti poco opportuna in questa sede. Si tratta di tentare di inquadrare il problema su una base il più possibile oggettiva, seppur facendo le debite approssimazioni. Questo al solo scopo di affiancare le considerazioni soggettive fatte finora senza affatto sminuirle, ma anzi avvalorandole.
I punti di partenza sono due, uno fisico e uno percettivo. Il primo riguarda il fatto che il suono si propaga come un’onda a una velocità a una data velocità (in aria circa 340 metri al secondo); il secondo si può riassumere nel fatto che l’orecchio umano ha un tempo caratteristico di ritardo, tra lo stimolo e la percezione uditiva consapevole, dell’ordine di un decimo di secondo. Combinati insieme, questi due fatti danno ad esempio il ben noto fenomeno secondo il quale percepiamo come ben distinta l’eco di un suono di breve durata da noi prodotto e riflesso da una parete che ci sta di fronte solo se la parete si trova grossomodo a più di una quindicina di metri da noi. Se è più vicina, il ritardo con cui ci arriva l’eco – che è pur sempre presente – è tale che non riusciamo più a distinguere due suoni ma uno soltanto di durata allungata. In altri termini, valutare ritardi temporali tra suoni diversi è possibile in prima approssimazione a patto che tali suoni si collochino in uno spazio sonoro sufficientemente esteso: come già detto, per un percorso di andata e ritorno parliamo di distanze da una quindicina di metri in su. Chiamiamola ‘distanza critica’.
Quest’ultima condizione è certamente frequente nelle chiese dove suoniamo, ma può verificarsi in misura maggiore o minore, e in senso unidirezionale o bidirezionale. Spiego meglio, elencando tre casi possibili dal più semplice a quello più complesso in base alla collocazione reciproca di strumento, organista e assemblea.
Caso 1. Poniamo che l’organista suoni uno strumento di dimensioni contenute o – dispiace per lui – uno strumento elettronico, e che lo strumento sia in prossimità dell’assemblea (qui e nel seguito intendo come posizione dell’assemblea una sorta di suo ‘baricentro’, concetto abbastanza impreciso in quanto l’assemblea è una entità distribuita nello spazio in maniera complessa, ma sufficiente a chiarire il concetto). Questo è il caso meno problematico: all’esecutore arriveranno il suono dello strumento e le voci dell’assemblea con un ritardo trascurabile dato che questi suoni provengono da distanze inferiori a quella critica. Nessun problema quindi ad andare a tempo.
Caso 2. L’organista suona su una consolle di un organo a trasmissione elettrica: la consolle è vicino all’assemblea (nel senso spiegato sopra) e il corpo sonoro – o i corpi sonori, se più di uno – sono più distanti del doppio della distanza critica. Analizziamo la successione dei fenomeni all’avvio di un canto assembleare accompagnato: a) l’organista abbassa i tasti del primo accordo; b) il suono parte subito dal corpo sonoro e raggiunge circa allo stesso tempo esecutore e assemblea dopo un ritardo percepibile; c) entrambi reagiscono rispettivamente attivando la loro scansione ritmica mentale del canto, il primo in modo consapevole e la seconda forse inconsapevolmente ma sostanzialmente in modo sincrono; d) a questo punto è unicamente responsabilità dell’organista compensare il ritardo fisso anticipando l’esecuzione rispetto al suono percepito: tale artificio, una volta messo in atto, si dovrà mantenere invariato per tutta la durata del canto e anzi in ogni occasione, fintantoché non varia la posizione della consolle. In pratica in questa condizione l’organista, una volta appresa la quantità di anticipo da apportare all’esecuzione, non dovrà far altro che mantenerla fissa in qualsiasi evenienza. Si tratta di un puro fatto di tecnica esecutiva: con la dovuta pratica, questo compito può essere alla portata di tutti. Si noti che in questo caso il percorso del suono è unidirezionale, quindi la minima distanza a cui si manifesta la percezione di un ritardo è il doppio della distanza critica, ovvero oltre una trentina di metri.
Caso 3. L’organista suona uno strumento meccanico posto in cantoria, con quest’ultima a distanza maggiore di quella critica dall’assemblea – com’è quasi sempre il caso. Qui la successione degli eventi di cui sopra si complica perché il percorso del suono è bidirezionale: a) l’organista abbassa i tasti dello strumento e ne percepisce subito il suono; b) l’assemblea percepisce questo suono con un certo ritardo dato dal tempo di propagazione del suono e solo allora inizia il canto; c) le voci dell’assemblea ritornano all’organista seguendo il percorso inverso, quindi con ritardo doppio; d) solo allora l’organista ha percezione che l’assemblea ha iniziato il canto, e può iniziare a concordare la sua scansione ritmica con quella dell’assemblea. A differenza del caso precedente, in questo caso all’inizio del canto il suono dell’organo percepito dall’organista precede il canto dell’assemblea: il ritardo delle voci percepito dall’organista non è però dovuto a scarsa perizia dell’assemblea, ma al doppio percorso di andata e ritorno del suono. Per il fatto che esiste una differenza tra i ritardi percepiti da organista e assemblea, il primo dovrà stavolta regolare la sua esecuzione non come nel caso precedente, in cui si compensa il ritardo del solo suono dell’organo anticipando l’esecuzione per adattarlo al tempo dell’assemblea, ma invece accettando e mantenendo invariato un certo ritardo tra il suono dell’organo e le voci dell’assemblea. Purtroppo l’organista dal suo punto di ascolto non può avere esperienza diretta di quanto anticipare l’accompagnamento, perché la simultaneità tra voci e accompagnamento deve aver luogo in prossimità dell’assemblea, non in cantoria. L’organista non può che ‘intuire’ di quanto anticipare l’accompagnamento e seguire la sua scansione ritmica con regolarità, non potendo mai riuscire ad annullare il ritardo: tutt’al più egli può tendere ad anticipare l’accompagnamento di una opportuna quantità che non deriva dalla sua percezione del momento ma dalla sua personale esperienza di quella particolare chiesa in quelle particolari condizioni. Se durante il canto l’organista tentasse di anticipare l’esecuzione per compensare interamente il ritardo dell’assemblea da lui percepito rispetto all’organo – cosa di per sé impossibile data la distanza reciproca – l’assemblea si troverebbe esposta a un suono stavolta in anticipo rispetto al proprio tempo. A fronte di tale correzione eccessiva l’assemblea si disorienta e facilmente cade nell’imprecisione ritmica, che ha come effetto una ulteriore complicazione per l’organista il quale deve continuamente riadattare il suo anticipare le voci. Come si vede questo caso è decisamente più complesso degli altri due, e richiede non solo esperienza da parte dell’organista, ma anche un’assemblea ‘matura’ in grado di ‘autoadattarsi’ a inevitabili instabilità nell’accompagnamento, specie all’inizio dei canti.
Accenno a un ulteriore elemento che può aggiungere complessità, e che trattare rigorosamente richiederebbe altro spazio qui non giustificato: si tratta della riverberazione dell’ambiente. Quanto più è riverberante la chiesa – cosa dipendente da diversi fattori quali dimensioni, forma, materiali, presenza di persone, arredi – tanto più la ‘massa sonora’ del suono – in termini tecnici il suo inviluppo – si sposta in avanti nel tempo. Detto in termini più semplici, in un ambiente altamente riverberante i suoni possono essere percepiti con un ritardo aggiuntivo rispetto a quello reale dato dalla sola propagazione in linea diretta. Questo complica i fenomeni dei casi sopra descritti, fino a rendere la situazione davvero difficile da trattare.
In ultimo, non è da sottovalutare l’effetto dell’approssimazione fatta all’inizio dell’esistenza di un ‘baricentro’ dell’assemblea. In chiese di dimensioni grandi rispetto alla distanza critica l’idea di cantare tutti rigorosamente a tempo è soggettiva, non oggettiva: l’andare a tempo potrà valere per una persona in un dato punto ma non per un altra che si trova a distanza. Quello che vale complessivamente è una sorta di ‘media’, per cui alcune persone avranno percezioni migliori di altre sull’andare a tempo. La perfezione, insomma, è illusoria: ma forse è meglio così.
Saluti,
Silvano Buogo – S. Girolamo della Carità, Roma