L’organista animatore del coro e dell’assemblea

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L’organista animatore del coro e dell’assemblea

 

di Giacomo Mezzalira

 

Relazione dettata il

15 marzo 2003

in occasione della

III. Giornata diocesana per organisti

promossa dal Servizio per la Pastorale Liturgica dell'arcidiocesi di Milano

 

 

SOMMARIO:

 

Un esperienza concreta. Un incontro. La partenza.

Volontà e iniziativa.

Servizio fedele, gestione gelosa e possessiva del re degli strumenti.

Competenza e spirito di servizio.

La considerazione di un ruolo. Lo spazio attuale per l’organista.

Il trattamento economico.

Capacità, professionalità, studio, aggiornamento.

Lo sguardo e l’attenzione dei responsabili.

Una parentesi per capire l’oggetto di alcune incomprensioni tra le parti:

la qualità delle musiche e dei testi.

Un’altra esperienza concreta. Una finestra sull’Europa.

Un corso di improvvisazione organistica. Ideali e obbiettivi.

Le possibilità per svolgere bene il servizio di organista senza aspettare le riforme. L’organista e l’assemblea. L’organista ed il coro. La vera riforma nasce da un positivo atteggiamento personale nei confronti della realtà. La musica è il mezzo per incontrare Colui che dà la risposta al nostro desiderio totale di bellezza, di verità. Arte invisibile verso l’Invisibile.

Riflessioni personali.

 

*

 

Un esperienza concreta. Un incontro. La Partenza

 

Non aspettatevi da questa relazione un’abbondanza di termini tecnici. Quanto esporrò è il frutto di un esperienza vissuta nella fatica e nella bellezza. Portare a casa qualche suggerimento per migliorare la nostra attività sarà il solito presuntuoso obbiettivo di una giornata con tanto di relazione di un addetto ai lavori. Sono stato anch’io dall’altra parte come uditore e so cosa si prova. Io cercherò di comunicarvi qualcosa partendo da ricordi concreti. Lo stile usato, forse non verrà incontro ai palati raffinati, oppure potrà sorprendere per una eccessiva schiettezza. Molte delle cose che ho imparato però sono arrivate da messaggi di questo tipo e spero vivamente che anche voi possiate dire altrettanto della mia relazione.

Avevo deciso di iniziare in un certo modo ma il canto che abbiamo eseguito all’inizio, (Nell’acqua che distrugge e fa rinascere di Sergio Marcianò) mi ha fatto ritornare davanti agli occhi una scena che merita di essere raccontata.

Più di quindici anni fa a Varese (non ero ancora direttore della Corale della Basilica) mi fu chiesto di tenere per una domenica le prove del coretto dei bambini poiché mancava la responsabile. Il canto da insegnare era proprio quello che abbiamo cantato noi adesso. I piccoli cantori non l’avevano preso con entusiasmo e la prova procedeva stancamente: i bambini avevano a disposizione solo il testo. Ad un certo punto ho interrotto l’esecuzione ed ho chiesto loro se si erano accorti della particolarità di questo canto. Le facce erano un po’ perdute. Allora ho proseguito dicendo loro che il compositore aveva messo all’interno un significato prezioso per fare in modo che musica e testo potessero andare d’accordo e sostenersi a vicenda. Ho chiesto ai bambini di mettere il dito indice per aria e di seguire il percorso (su e giù) della melodia. Così facendo si sono accorti che la prima frase (Nell’acqua che distrugge e fa rinascere) andava verso l’alto perché il concetto del “rinascere” è un segno positivo e grande. La melodia è ripartita e il dito dei bambini è salito ancora per seguire la seconda frase (per la potenza dello Spirito di Dio). Ma sempre lo stesso dito ha cambiato decisamente direzione e si è portato verso il basso perché è arrivata la terza frase (siam sepolti con Cristo nella morte), per risalire decisamente con la frase successiva (per risorgere con Lui e proclamare al mondo). Non occorrono altre spiegazioni. Il testo e la musica concludono ed il dito dei bambini seguendo la melodia sottolinea decisamente il resto: “Ci hai donato la Tua vita ci hai chiamato alla Tua luce, o Padre annunciamo per sempre il Tuo amore”. È finita la spiegazione, e ora chiedo ai bambini di eseguirlo pensando a tutto quello che è stato detto, e aggiungo che non bisogna pensare sempre che difficile è uguale a brutto. Difficile è solo difficile e serve solo il nostro impegno e la nostra attenzione. Il canto ora viene eseguito bene e i bambini vengono congedati. A casa porteranno il ricordo di quest’ultima esperienza. La fatica e l’apparente difficoltà avevano tenuto nascosto un piccolo tesoro, bisognava soltanto scavare.

 

Ora c’è il vero inizio della relazione: ed è un altro ricordo.

 

Chiesa Parrocchiale di un piccolo paese del varesotto vicino alla Svizzera. È la sera del Sabato Santo di un anno compreso tra il 1963 ed il 1967. La chiesa è colma di fedeli. Il celebrante è il parroco e accanto a lui a concelebrare c’è il giovane coadiutore arrivato da pochi anni. Tutto è pronto per l’annuncio della Risurrezione. La Corale è disposta sulla cantoria dell’organo in fondo alla chiesa. Tutti sono presenti e attenti, manca… “l’organista”. Il maestro del quale un po’ tutti hanno soggezione, quella volta non arriva. L’annuncio “Cristo è risorto” viene dato, ma l’organo tace e con esso anche la Corale. Suonano le campane, ma il re degli strumenti se ne sta silenzioso. I cantori si guardano, pensano ai mesi di prove che sono serviti per preparare quella solenne celebrazione e osservano il loro direttore impietrito dal dispiacere.

In verità non era la prima volta che quell’organista si trovava al centro di situazioni del genere. Era bravo, veramente bravo, ma era necessario pregarlo più volte per venire a provare e suonare. Era bravissimo ed era purtroppo “l’unico” di quel piccolo paese.

Forse il più dispiaciuto quella sera fu il giovane coadiutore, uomo mite e accomodante, buon musicista cresciuto in Seminario alla scuola di Don Luciano Migliavacca .

Ebbene, quella sera, “quel pezzo di pane” di sacerdote abituato alla liturgia ordinata , con tanta bella musica, promise a sé stesso che mai più si sarebbe verificato un fatto come quello. A giudicare dalla rivoluzione che riuscì a combinare in seguito, più che una promessa fu un autentico e solenne giuramento.

Quella sera, i protagonisti della sua rivoluzione “dormivano”, perché erano ancora piccoli per partecipare alle celebrazioni che si protraevano fino a tardi. Alcuni di loro infatti avevano appena iniziato le scuole elementari e altri erano ancora all’Asilo

Il giovane prete da quella sera si rimboccò le maniche e incominciò a fare scuola di musica. Per cominciare fondò il piccolo coro; poi, utilizzando un vecchio e dignitoso pianoforte diede anche lezioni di solfeggio e pianoforte a diversi bambini. Uno di questi bambini venne letteralmente prelevato durante una partita di calcio in un pomeriggio d’estate. Il bambino protestò tantissimo, ma il sacerdote “non mollò la presa” e lo condusse per una buia scala a chiocciola sull’organo a canne rimasto silenzioso durante quel famoso Sabato Santo. Una volta giunti gli insegnò a suonare un canto (Loda il Signore: solo con la mano destra) e … quel bambino da quel giorno “non scese più”: il calcio aveva perso un ruvido terzino destro.

Nel giro di pochi anni ogni S. Messa della Parrocchia ebbe il suo piccolo organista (cinque Messe – cinque organisti e altri ne sarebbero arrivati ancora). Il “don” aveva un metodo musicale semplice, efficace e geniale per far suonare subito.

Gli anni passavano , il piccolo coro e gli organisti crescevano ed era giunta l’ora di dare un’altra scossa: l’iscrizione ad una vera e propria scuola di musica. Il bambino “prelevato forzatamente dal campo di calcio” frequentava ora la seconda media ed il sacerdote lo condusse al Liceo Musicale di Varese. Riuscì a farlo iscrivere, nonostante l’anno scolastico fosse già iniziato. Dopo di lui altri ragazzi si iscrissero e scoprirono la bellezza di altri strumenti musicali oltre all’organo ed il pianoforte.

I frutti maturi di quei propositi rivoluzionari del Sabato Santo si ebbero agli inizi degli anni ’80 quando, i ragazzi che quel sacerdote aveva indirizzato alla musica, cominciarono a diplomarsi al Conservatorio e ad esercitare la professione affascinante e rischiosa (soprattutto in Italia) di musicista. Qualcuno pur non diplomandosi, restò nell’ambiente e cominciò a suonare nella Banda Musicale del paese o a cantare in Cori famosi e affermati. Quei ragazzi cresciuti insieme in quell’oratorio sono tuttora molto amici e quando si ritrovano non possono che ringraziare il Signore per aver benedetto la loro vita attraverso l’incontro con questo sacerdote. Io in particolare, che nella vicenda sopra narrata sono il “bambino prelevato forzatamente dal campo di calcio”, devo buona parte della mia felicità a quest’uomo. Con un brivido ogni tanto ripenso a quel pomeriggio d’estate e a quella mano che non mi ha lasciato e mi ha condotto verso il mio destino. Col passare degli anni sorrido (per la verità mi arrabbio anche), ascoltando le perentorie affermazioni della cultura dominante circa i concetti di libertà. Penso infatti che se mi fossi divincolato avrei registrato “la vittoria” di un pomeriggio e cioè la mia affermazione, ma probabilmente anche “la sconfitta e l’inquietudine” di una intera vita. Sono salito invece sul treno giusto e sono partito in orario. Da quel giorno, sono successi tanti altri fatti che mi hanno condotto fino a qui (meglio sarebbe chiamarli “coincidenze” visto che ho appena parlato di treno). Ho detto “da quel giorno” ma pensandoci bene, la causa di tutto potrebbe essere individuata in quel Sabato Santo “simbolicamente” senza organista. Anche quella sera però tutto sarebbe risultato vano se non fosse stato presente un sacerdote dall’animo sensibile e musicale. E allora? E allora bisognerebbe andare sempre più indietro, alla chiamata, alla vocazione di questo sacerdote che gli ha consentito di essere presente quella sera e di prendere quella decisione che poi… Neanche questo sarebbe sufficiente però perché bisognerebbe pensare alla famiglia e alla comunità che ha fatto sbocciare questa vocazione. Vengono le vertigini? No, se si è distratti e si evita di “fare indagini”; sì, se invece si riconosce che siamo circondati dal mistero, da Qualcuno che mette di fronte a noi abbastanza elementi per credere e lascia anche tante altre cose per non credere. Concludo questa testimonianza ricordando ancora i personaggi della vicenda che ho narrato. Quel “giovane prete” di allora, adesso ha 68 anni, si chiama don Sandro Longoni e fa il parroco in un paese della Brianza. Il direttore di coro impietrito senza l’organista era mio padre. Tutti i ragazzi che si sono diplomati nei Conservatori hanno lasciato il piccolo paese (ora un po’ più grande) che si chiama Cantello e fanno i musicisti.

 

Ho voluto iniziare così. Questa è una storia vera che nasce in un ambiente piccolo e conduce le persone protagoniste verso ciò per il quale sono state chiamate. Siamo in Italia e il fatto che si sia verificata una situazione così felice in un determinato periodo lo si deve a un’iniziativa personale, senza appoggiarsi a quelle che vengono comunemente chiamate istituzioni. Non ci sono programmi ministeriali che impongano… (ahi, ahi, attenzione! Violazione delle libertà personali, rispetto delle scelte, assecondare le esigenze, non vorrei che per una eccessiva determinazione… «sai il bambino potrebbe risentirne…»). Mi correggo allora, non ci sono programmi ministeriali che stabiliscano fin dalla più tenera età, il salutare contatto con l’esperienza musicale che apre il cuore e la mente ad una sensibilità diversa, ad uno sguardo a 360 gradi. Qualcuno afferma a questo proposito che una maggiore diffusione dell’educazione musicale risolverebbe anche i problemi di ordine pubblico. Perché no? La statistica ci può dare ragione. Dopo tutto nella cronaca nera non trovano molto spazio violinisti, flautisti e organisti. I programmi ministeriali in Italia per il momento non sono soddisfacenti e ci ritroviamo a sospirare guardando l’Europa musicalmente evoluta. Coraggio, in attesa dell’Europa affidiamoci all’iniziativa dei singoli (eroi, pionieri, giovani sacerdoti).

Nelle nostre parrocchie però, con il calo delle vocazioni, è già tanto trovare il coadiutore, figuriamoci il coadiutore che conosce la musica e che si mette a insegnare ai più piccoli.

Che piccolo angolo di paradiso musicale, ho potuto sperimentare da piccolo!!

 

Dall’esperienza narrata si possono ricavare degli insegnamenti.

1. Volontà e iniziativa. Una persona, (in questo caso un giovane sacerdote) ha vissuto profondamente l’esperienza del bello: il coro, la musica liturgica in seminario, la polifonia, il contatto con il carisma di don Luciano Migliavacca, e desidera comunicarla ad altri. Soffre nel vedere che i capricci di una persona musicale e preparata (l’unico bravo organista del paese) finiscono con l’affossare i rapporti ed il lavoro faticoso di coro e assemblea: non è autentico servizio. Per cambiare la situazione bisogna rovesciare tutta una mentalità. È necessario un grande sforzo di volontà, un grande spirito di iniziativa per seguire un ideale, il tutto sostenuto da un cammino di fede, che impedisca che sentimenti tutt’altro che negativi come l’ambizione a far sempre meglio, prevalgano e diventino alla fine le uniche ragioni di un’appartenenza. L’importante è non chiedere che i risultati si rivelino immediatamente. Occorre seminare ed aspettare. L’importante dunque non è presentare il conto alla realtà chiedendo di vedere subito la rivoluzione, il cambiamento di mentalità ecc. L’importante è una presenza significativa che testimoni attraverso l’amore alle piccole realtà, l’Amore più grande che viene incontro al nostro destino.

2. Servizio fedele, gestione gelosa e possessiva del re degli strumenti L’organo sarà pure il re degli strumenti, ma che fatica avere alla corte di questo re, dei servitori fedeli che non creano problemi! Dico così perché conosco tante situazioni. Facciamo un giro di ricognizione intorno a questo mondo. A differenza del pianoforte che con tutte le dimensioni oggi può essere collocato in ogni casa, l’organo a canne se ne sta nel tempio e attende che qualcuno si innamori e gli giuri fedeltà. Se questo accade ci sarà poi il rischio che, per trenta, quarant’anni lo stesso organista possa mantenere il possesso esclusivo dello strumento (per forza: 1.000 - 5.000 – 8.000 abitanti, un solo organo a canne, e speriamo che funzioni…!). Troppo spesso, per quel che riguarda l’organo, uno strumento corrisponde ad un musicista. Parlo delle piccole realtà parrocchiali che non possono permettersi il lusso dell’organista a pagamento. Finita la gestione del bravo organista (per vari motivi, oltre naturalmente all’inevitabile coinvolgimento dello stesso nella liturgia celeste), si può verificare il vuoto generazionale. La gelosa relazione con l’affascinante macchina da suoni non consente il ricambio, e l’interesse intorno al prezioso strumento che corre così il rischio di essere abbandonato, e di non rendere come prima (quanti strumenti dimenticati anche per questo motivo e cioè: dopo il maestro X e il maestro Y non c’è stato più nessuno perché l’organo era inavvicinabile; ora l’organo tace da un bel po’ e non è più affidabile, un bel problema il mantenimento di un bene così prezioso ma inutilizzato; 90.000.000 di vecchie lire per un restauro conservativo e poi ti manca l’organista, il Lyons Club ti regala un prezioso organo del 700 napoletano ma poi… chi lo suona?). In questo clima un po’ ingessato, è normale che prendano il sopravvento le chitarre, senza dubbio più facili da maneggiare, da spostare . Ne ho contate ben sette che suonavano insieme durante una messa in una parrocchia, e l’accordatura vi assicuro, forniva gli stessi risultati di un organo in cattive condizioni; questi ragazzi però erano fedeli al loro impegno: si trovavano, provavano e maturavano un amicizia. Anche da questo penso sia possibile trarre un insegnamento: presenza, perseveranza, sacrificio, comunione fraterna.

 

3. Competenza e spirito di servizio. Il problema dell’unico organista che per quarant’anni presta servizio non sarebbe tale se non ci fossero anche altri particolari. L’organista non deve ritenersi come già detto in precedenza una prima donna o una star capricciosa che dall’alto della sua preparazione più o meno sostenuta da titoli o diplomi, fa il bello ed il cattivo tempo. Dico questo perché l’errore di sciacquarsi la bocca, di lamentarsi, di scrivere lettere piuttosto decise, l’ho commesso anch’io. Dopo queste esperienze ho capito che la vera rivoluzione si fa nella fedeltà al proprio servizio, senza porre ultimatum, nel rimanere nonostante questo o quello, nel fare il passo avanti verso un compromesso che consenta alla comunità cristiana di crescere, di restare unita. Gli alibi degli organisti che lasciano questa o quella parrocchia non sono diversi da quelli di tante persone: “impossibile andare d’accordo con quel prete”, “mi hanno rotto le scatole con i loro canti”, “li ho piantati così adesso se hanno bisogno verranno loro a cercarmi”. È appena trascorsa la settimana per l’unità dei cristiani: non vorrei essere offensivo ma di fronte a quello che succede soltanto intorno alla musica verrebbe la tentazione di istituire la settimana per l’unità dei cattolici. Vediamo qualche insoddisfazione frequente degli organisti eccelsi e qualche compromesso per uscire dalla noia: non piace il canto o l’accompagnamento che si trova sul Cantemus Domino. «Scusa, vuoi mettere Franck, Mendelssohn e Bach sono su un altro pianeta». Che possibilità ci sono per l’organista? Se è capace di rifare l’accompagnamento prenda carta, penna e computer e si diverta a cambiarlo (anche cinque versioni, pensa un po’, uno per ogni strofa; come in Francia, Germania, Austria); se non è capace lo faccia fare a qualche amico. Se il solista al microfono non tiene il tempo e sbaglia le note, l’organista si dia da fare a fornire registrazioni (a settembre ad esempio si registrano i canti per l’Avvento ed il Natale). Se l’organo ha le ance da accordare si dia da fare a seguire qualche volta l’organaro per imparare a mettere a posto questo o quell’inconveniente. La parrocchia risparmierà e lui… avrà in mano anche un mestiere.

 

4. La considerazione di un ruolo. Lo spazio attuale per l’organista.

Le discussioni e i mugugni non mancano mai, e sempre ci accompagneranno: riguardano la qualità delle musiche, lo spazio concesso all’esecuzione di brani del repertorio organistico durante le celebrazioni liturgiche, il ruolo del coro parrocchiale, il tempo per provare in chiesa dribblando l’aspirapolvere del sacrestano o l’attività del confessionale. Si deve aggiungere poi, che il più delle volte l’organista, nella media delle realtà attuali, è un volontario. Io abito in una città e in una provincia che non hanno scuole con classi di organo ; è una crisi che dura da tanto tempo e da quel che sento anche il Conservatorio di Milano è in crisi, visto che, andato in pensione il maestro Giancarlo Parodi, ha deciso di chiudere la sua classe di organo e di non rimpiazzare il docente. Quindi in molti casi, chi siede all’organo in parrocchia è un pianista che non sempre usa i pedali, e non sempre conosce le possibilità delle combinazioni dei registri.. A ciò si aggiunge che, non potendo esercitare a tempo pieno la professione di musicista, trova difficoltà a studiare e ad aggiornarsi. Questo rischio lo corrono anche i diplomati che considerano i loro titoli di Conservatorio come dei punti di arrivo, dei comodi divani sui quali godersi un meritato riposo dopo dieci anni di fatiche. Per tutti si impone lo studio e la preparazione continua. Per gli organisti – pianisti l’adeguamento con un po’ di sofferenza, sulla pedaliera e sui registri: il suono cambia (e come se cambia!); ma cambia anche la soddisfazione di chi suona. Per gli organisti – organisti occorre invece , una salutare discesa dal piedistallo per capire fino in fondo le esigenze e le finalità del servizio liturgico.

 

5. Il trattamento economico. Capacità, professionalità, studio, aggiornamento. “Tocchiamo ora il tasto” del trattamento economico. Chi aspira a vivere di musica deve necessariamente fare i conti con il vile denaro. Il compenso regolare è giusto, e non è contrario alla carità cristiana e all’apostolato, ma dovrebbe essere pari alla qualità e alla quantità del lavoro svolto; il quale lavoro non deve consistere in un corretto e brillante abbassamento dei tasti e dei pedali. Serve qualcosa di più.

Sulla quantità del servizio da svolgere i parroci se ne intendono. Non così si può dire della qualità. Una volta stabilito che ci sono i fondi per remunerare un musicista, chi dice al Parroco che la persona è affidabile? Chi consiglia il Parroco sulla scelta? Questa persona è preparata per il servizio liturgico? È in grado di prendere in mano l’attività musicale della Parrocchia nella sua globalità? Non è meglio un contratto chiaro e firmato che eviti scioperi e manifestazioni? A che serve avere l’organista giusto se poi questo durante le feste prende il volo e va in vacanza? Come è possibile notare, è meglio disporre di più organisti in parrocchia: alternanza tra servizio e riposo, emulazione, un po’ di sana competizione (tutto concorre a tenere alto il livello). Compenso regolare vuol dire servizio regolare, di qualità, unito alla gestione delle attività collaterali: preparazione dei solisti e degli animatori della liturgia. Come già detto, un bel passo in avanti potrebbe essere quello di registrare i canti nuovi, purificati da errori e pasticci, insegnare ai solisti a leggere minimamente i valori, insegnare loro a dirigere il 2/4 , il 6/8. A proposito: gli organisti mediamente sono in grado di dare gli attacchi e di dirigere un assemblea? Sanno educare ad una corretta emissione vocale, impostando la respirazione? Sono in grado essi stessi di andare al microfono per intonare i canti?

La figura dell’organista deve necessariamente abbracciare tutte queste attività, senza considerarle come un di meno, un abbassarsi o uno “sporcarsi” le mani. Non è possibile passare tanto tempo a lamentarsi di chi ha in mano queste responsabilità (laici e preti) e non fare niente per cambiare la situazione. Occorre essere preparati e preparati globalmente, non più degli “abbassatori” di tasti ma anche degli animatori, dei cantori, con una voce minimamente gradevole ed educata, dei conoscitori delle esigenze liturgiche (tempi, periodi, Sacre Scritture). Con un servizio di qualità i risultati arriveranno. L’impressione, quando si parla tra organisti, è che prevalgano le pretese ed i diritti nei confronti dei parroci o dei responsabili. Questo accade perché il percorso didattico per giungere al diploma di organo non tocca molti degli argomenti che sarebbero di fondamentale importanza per il servizio liturgico. Le incomprensioni tra chi opera nella pastorale e chi è musicista nascono da qui: ci si guarda da sponde opposte, con esigenze diverse e non ci si capisce.

 

6. Lo sguardo e l’attenzione dei responsabili.

Intendiamoci, da parte di chi conduce l’attività pastorale è necessario venire incontro alle giuste aspettative dei musicisti. C’è una dignità da tenere in considerazione. La professione del musicista va riconosciuta in tutti i modi mentre l’organista deve guadagnarsi sul campo rispetto e fiducia. I limiti e gli errori di costruzione formale, armonica e di adeguamento del testo presenti in alcune pagine sono facilmente individuabili dai musicisti. Occorrerebbe fidarsi di più e dialogare. Costringere un organista a suonare certe pagine, equivale molte volte a costringere un letterato a scrivere scuola con la q. Per contro il musicista non può pretendere che i contenuti didattici e artistici che lui ha assimilato in tanti anni di studio, vengano automaticamente capiti da tutti. Non serve lamentarsi per l’ignoranza. Bisogna attuare iniziative volte a promuovere e diffondere la profondità ed il valore della grande musica: guide all’ascolto, spiegazioni durante le prove. Le parti dovrebbero fare un po’ di passi per avvicinarsi. Qualche esempio: prendiamo in considerazione le musiche con tante sincopi, soprattutto irregolari, quelle introdotte all’inizio degli anni 70 da Battisti, Baglioni, Cocciante. Sull’organo queste musiche con tante sincopi non possono essere rese adeguatamente. L’organo che accompagna di solito non arpeggia e gli accordi spostati rispetto agli ictus delle battute creano imbarazzanti ondeggiamenti ritmici con conseguenti aggiustamenti e correzioni sul campo. Le musiche di questo tipo, sostenute dall’organo, vengono inevitabilmente cambiate dal buon senso popolare e si diffondono piene di errori come dei virus. Un esempio per l’altra parte: sull’organo suonano molto bene altre musiche ma i testi qualche volta sono oggettivamente superati, anche se teologicamente ineccepibili; oppure la melodia è talmente ricercata che non viene capita dalle anime semplici. Parlare per capirsi, parlare per venirsi incontro. Per tutti ora qualche domanda: assecondare i gusti di questo o quel gruppo (perché altrimenti se ne vanno e finiscono sulle brutte strade) senza essere propositivi di un cammino di un certo spessore anche se faticoso, conduce veramente a dei risultati? È giusto far tacere le Corali perché limitano la partecipazione e poi far cantare un gruppo di giovani con sette chitarre, con impervie musiche sincopate, che portano al silenzio degli adulti? È giusto gestire una Corale e impossessarsi di tutta la celebrazione liturgica senza tenere conto del repertorio dei canti dell’assemblea?

Una parentesi per capire l’oggetto di alcune incomprensioni tra le parti: la qualità delle musiche e dei testi.

Apriamo una parentesi per capire uno degli oggetti della discussione tra le parti.

La necessità di rendere i testi dei canti liturgici più vicini al linguaggio e alle esigenze attuali ha prodotto dei risultati non sempre apprezzabili. La conseguenza dell’assecondare i gusti, del venire incontro, ha fatto perdere a mio giudizio l’identità del canto sacro. Vediamo un esempio concreto scelto tra i tanti disponibili. «Non so cosa voglio raggiungere, non so quali stelle raccogliere però ho una gioia da vivere, dai, dammi la mano cammina con me. Io credo in un mondo fantastico che unisce il sorriso degli uomini, non dirmi che è un sogno impossibile, se ascolti il tuo cuore allora saprai».

Cercherò ora di commentare e di dare un giudizio personale su queste righe.

La scelta fatta in questo canto dallo scrittore – compositore è piuttosto chiara: prevalgono i tenui colori del sentimentalismo tanto cari per esempio alle correnti New Age (stelle da raccogliere) e inoltre non ci sono i riferimenti specifici all’esperienza cristiana. Dopo l’affermazione iniziale che è una generica confessione di disagio e “malessere”, c’è un richiamo a una sorta di fratellanza universale e la strofa termina con un invito molto simile al titolo di un romanzo che ha dato successo ad una scrittrice italiana.

Il testo evita di nominare concetti e realtà dell’esperienza cristiana. Naturalmente questa operazione rende il canto privo di una identità e per questo motivo collocabile un po’ dappertutto. Siamo sicuri che non sia una canzone d’amore all’italiana?

Quale testo dunque contribuisce a dare oggi una identità al canto liturgico cristiano? Personalmente sono vicino a tutti i testi con i contenuti chiari dell’esperienza cristiana, che non obbligano i fedeli a grandi sforzi mnemonici o a improbabili scioglilingua e che consentono alle masse numerose di andare a tempo. Qualcuno ha cercato una propria strada ; pensiamo a Pierangelo Sequeri con i suoi Symbolum o Gianfranco Poma che ha fatto iniziare molti dei suoi testi con il Tu. (Tu quando verrai, Tu fonte viva, Tu nella notte triste, Tu sai quanto strada). I testi ideali dovrebbero servire fedelmente la musica ed essere disposti correttamente facendo coincidere il periodo letterario con il periodo musicale, l’accento della parola e della frase con l’accento musicale. Pensiamo ad esempio a tutti gli Alleluia che terminano con l’accento sulla a (celebri il finale del rit. di Ti esalto Dio mio Re e l’Alleluia di Taizè). In agguato sempre nell’Alleluia di Taizè c’è un’altra grossolanità, laddove si canta Allelu senza completare la parola (alcune assemblee arrivano a cantare Allelui). Saltando da un canto all’altro prendiamo in considerazione il “gettonato” Quando busserò. In questo canto l’errore sta proprio all’inizio: la parola “busserò” infatti, per effetto dell’inesatta collocazione sugli accenti musicali diventa bùssero. Come si può notare i musicisti addetti ai lavori hanno le loro ragioni nel contestare certi tipi di canti. Da dove nasce questa approssimazione nella composizione dei canti? Principalmente dal fatto che teologi, liturgisti e musicisti non si mettono d’accordo e non collaborano tra di loro. I musicisti aspettano i testi per musicarli e pensano a una assemblea che può cantare ogni difficoltà mentre i non musicisti producono senza alcun controllo ogni genere di canto. Oggi basterebbe semplicemente far controllare le musiche ai musicisti e i testi ai teologi e ai liturgisti. Ecco invece i canti con i testi “superati”, le musiche difficili, i testi “poco sacri”, le musiche superficiali. Chi patisce questa situazione di instabilità sono i fedeli delle comunità parrocchiali che si sono anch’essi divisi in cori, assemblee giovanili, gruppi di “adulti nostalgici” e così via (naturalmente parrocchia che vai libretto dei canti che trovi…). Molto raro trovare oggi un’assemblea della messa domenicale che canta convinta “dalla prima all’ultima panca”. Un po’ tutti vogliono dire la loro. Qualcuno afferma che ciò dipende anche dal nostro temperamento italico-mediterraneo poco incline all’obbedienza, all’ordine e invece più portato a protestare e a polemizzare o nella peggiore delle ipotesi a rinchiudersi nella pigrizia e nell’apatia.

Ne consegue che, ottenuto magari il canto ideale con un bellissimo testo ed una bellissima musica, ci dovremmo confrontare inevitabilmente con la ridotta volontà di partecipazione delle nostre assemblee che in tutti questi anni non sono state allenate ed educate ad essere coinvolte nella loro globalità.

 

 

Un’altra esperienza concreta. Una finestra sull’Europa. Un corso di improvvisazione organistica. Ideali e obbiettivi.

 

Torno ora a proporre un esperienza vissuta. Al termine trarrò qualche conclusione circa i compiti dell’organista con l’assemblea e con il coro.

 

Ottobre 2000 – Arcore – Corso di improvvisazione organistica tenuto dal M.° Wolfgang Seifen (Germania). È il terzo anno consecutivo che ritorno. Le lezioni si tengono sull’organo Lanzini Dell’Orto. Il docente sta facendo alcuni esempi (ovviamente tutti rigorosamente improvvisati) sull’importanza del contrappunto nella pratica organistica. Una melodia di un corale viene eseguita come cantus firmus ora dalla mano destra mentre il pedale esegue il contrappunto fiorito con ottavi e sedicesimi, ora dalla sinistra mentre il contrappunto questa volta lo fa la voce dell’organista (quasi Swingle Singers), ora dal pedale, con le mani a intrecciare formule e progressioni, e poi dulcis in fundo anche la voce dell’organista esegue la melodia mentre mani e piedi sono impegnati nelle impervie formule contrappuntistiche. Il M.° Seifen mentre suona parla a noi e presenta le varie possibilità per sostenere la melodia. Improvvisa l’accompagnamento del Credo della Missa De Angelis . Suona e parla, (le mani pare che appartengano ad un’altra persona) e dice che all’incarnatus est riesce a sovrapporre la melodia della Salve Regina. Così avviene. Guardo gli altri allievi (siamo in quattro) e scorgo nei loro occhi quel senso di smarrimento che accompagna la nostra inadeguatezza di fronte ad un mondo musicale per il momento (che ottimismo) irraggiungibile. Le lezioni si susseguono e viene il turno dell’esposizione della fuga. Il M.° Seifen si fa prendere la mano: apre il Cantemus Domino, prende un tema e incomincia la fuga in stile Felix Mendelssohn ma va oltre l’esposizione e si addentra in divertimenti, stretti, aggravamenti, temi rovesciati per un totale di circa 6 minuti di fuga a 4 voci con pedale, interamente improvvisata e commentata in diretta dallo stesso Seifen. Ci accorgiamo che sta finendo perché i temi ravvicinati sono collocati su un poderoso pedale di dominante (rigorosamente con le ance di 16 piedi). Come si fa ora a salire sulla panca del bellissimo Lanzini –Dell’Orto. Chi l’ha detto che sopra la panca l’organista campa? Ci sentiamo delle capre. Tocca a noi, ma vorremmo sparire; le frasi in questi casi sono le solite: dai inizia tu, no maestro io aspetterei ancora un po’, (sottovoce) chi me l’ha fatto fare di venire qui a rimediare queste figure? Qualcuno più smaliziato fa il nome del collega da mandare allo sbaraglio.

Il M.° Seifen però è un signore e conosce bene la realtà italiana. Sa che nei conservatori italiani tutte quelle cose relative all’improvvisazione non si insegnano, sa che gli organi a canne italiani non sono tutti affidabili, sa che la professione di musicista da chiesa in Italia non è considerata come in Germania e così via. E che cosa fa? Quello che professionalmente e umanamente bisogna fare: si rimbocca le maniche e fa lezione a quattro musicisti che in forza del diploma di organo, di composizione, di pianoforte ottenuti dopo lunghi anni di studio presso i Conservatori italiani si ritenevano degli arrivati o comunque delle persone da tenere in considerazione. Battuta dopo battuta il lavoro di costruzione dei periodi musicali comincia a dare qualche frutto. Qualcosa si muove e l’entusiasmo per aver assaporato le gioie dei piccoli traguardi fa passare in secondo piano la stanchezza e quel senso di pesantezza alle meningi.

Viene la sera e, come per le passate edizioni, dato che sono l’unico che si ferma a dormire ad Arcore, l’organizzatrice Silvia Perego mi chiede di accompagnare il docente in pizzeria per tenergli compagnia. Sono momenti distesi e che personalmente ricordo con grande piacere perché il dialogo con questi maestri apre letteralmente la finestra su un mondo a me molto caro: la musica sacra ed il servizio liturgico negli altri Paesi. Seifen dice che è organista titolare della Basilica-Santuario Mariano di Kevelaer; guadagna più di avvocati, dottori e commercialisti; abita in una villa, ha l’organo a canne in casa; tiene lezioni all’università; mediamente deve suonare cinque messe al giorno e sette alla domenica (non è molto presente in famiglia); ogni tanto si prende dei permessi per andare in giro per il mondo (Stati Uniti compresi) per tenere concerti. Ad ogni messa lui improvvisa; ogni domenica ai vesperi le improvvisazioni sono più lunghe e vengono sempre registrate. Apre la valigetta 24 ore e mi fa vedere quattro diversi CD tutti registrati dal vivo: glieli compro tutti e quattro. Mi racconta che in Germania i diplomi di musica per esercitare la professione di musicista al servizio della liturgia sono divisi in tre gradi e lui ovviamente ha frequentato e superato quello più importante, che consente di esercitare il mestiere nelle grandi cattedrali, basiliche, santuari. Ha dovuto sostenere oltre agli esami di improvvisazione, anche quelli di teologia, Sacra Scrittura, canto gregoriano e molte altre cose. Arriva il piatto che il M.° Seifen ha ordinato e lui si fa il segno della croce, china la testa e si raccoglie in preghiera. Sono spiazzato, devo dire che non mi aspettavo questo. Con tutti i preti che ho accompagnato in pizzeria non era mai successo. E invece questo organista tedesco, incurante degli sguardi (potenzialmente cattolici) dei clienti della pizzeria se ne sta lì a pregare.

 

 

Le possibilità per svolgere bene il servizio di organista senza aspettare le riforme. La vera riforma nasce da un positivo atteggiamento personale nei confronti della realtà. La musica è il mezzo per incontrare Colui che dà la risposta al nostro desiderio totale di bellezza, di verità. Arte invisibile verso l’Invisibile.

 

Se guardiamo alle esperienze europee nascono in noi diversi sentimenti più o meno giustificati. Si parla di situazioni privilegiate, di volontà di chi sta al vertice. Ecco qualche frase o luogo comune che conoscete bene: “ho sbagliato a nascere in Italia”, “vuoi mettere gli organi francesi”, “se fossi organista in Germania riuscirei a mantenere la famiglia vivendo sempre a contatto con la musica”, “negli altri paesi la diffusione della cultura musicale non crea i problemi di certe musiche”, “tutti se ne intendono di musica”, “tutti sanno cantare a prima vista perché fin dalla scuola materna si nutrono di musica”, “ti rendi conto che l’Italia è la terza potenza mondiale per la musica pop e rock?” e così via.

È umano arrivare a queste considerazioni e accompagnarle con gesti eloquenti e sconsolati del capo come per dire no, qui non è possibile, qui non si può attuare alcuna riforma. Non nascondo che l’ho pensato e lo penso anch’io molte volte. Ma questa è la nostra realtà e se non ci diamo da fare per ricreare le condizioni ottimali e felici che abbiamo sperimentato faremo la figura di quelli che dalla torre d’avorio guardano inorriditi verso una maggioranza che non riesce ad alzare la testa verso il nostro sentire. Penso che aspettare le riforme che mettano in ordine la realtà non sia la strada da percorrere. Occorre cambiare il metro quadrato che ci sta intorno. Questo metro quadrato non riguarda però ancora una volta l’atteggiamento degli altri che deve necessariamente cambiare perché noi abbiamo capito tutto e loro sono gli ignoranti. Dobbiamo proporre e lavorare.

Ora che mancano le classi di organo, è necessario fare uno sforzo per rifondarle. Le scuole di organo devono necessariamente diventare una priorità. Occorre individuare persone, mezzi, strumenti e spazi per impedire che si crei il vuoto, non più temporaneo, ma totale.

 

Qualche esempio, anche se non sono tutte rose e fiori. Da tre anni dirigo anche il coro dei bambini della Basilica di S Vittore a Varese. Questo coro ha la funzione di proporre i nuovi canti, di sostenere l’impegno canoro dell’assemblea. Ho un ricordo molto nitido. Una mattina d’inverno faceva molto freddo, il cielo era coperto, c’era buio, ma in Basilica al calduccio il coretto “scaldava” la sua voce: insomma si stava bene. La messa (rigorosamente con il Cantemus Domino) è filata via liscia e dopo ci sono state le prove nella saletta della Parrocchia; abbiamo ripassato i canti per il concertino di Natale; abbiamo imparato i canoni; abbiamo imparato a cantare a prima vista (con il testo di Nicola Conci) partendo da sol-mi e poi allargando fino a do-re-mi-sol-la. Alla fine ho aperto e smontato un po’ il pianoforte per spiegare come era fatto e di già che c’ero canticchiando sulle corde ho spiegato le vibrazioni simpatiche facendo i paralleli con le loro amicizie e simpatie e spiegando anche che tutto questo non era stato inventato da alcun uomo, perché non si trova su alcun enciclopedia l’inventore della musica: queste vibrazioni ci sono sempre state. Spiego che la musica diversamente dalle altre arti deve essere sempre riportata in vita, nasce dal silenzio e ritorna nel silenzio; che la nostra responsabilità è grande, perché se non siamo attenti o se siamo assenti il bello di quest’arte non si rivela. Non c’è che dire, una mattinata ideale nella quale sono riuscito a fare anche catechesi.

Non sempre è così, qualche volta i bambini arrivano in ritardo o non arrivano perché sono all’uscita degli scout. In questi casi mi ricordo di quello che succedeva con il piccolo coretto del mio prete degli anni 60/70. “Don Sandro andiamo a casa siamo solo in tre”. “No – rispondeva lui – se non facciamo la prova, chi non è venuto è autorizzato a dire che questa realtà non c’è e che quindi aveva ragione a non essere presente”. E così faccio io. Si canta in tre o quattro, si cerca di fare le cose ancora meglio e si porta pazienza.

Un giorno ho dato la possibilità a due classi delle elementari (c’era anche mio figlio) di visitare l’organo Mascioni della Basilica di Varese. Con le loro maestre si sono seduti attorno alla consolle. Ho chiesto loro di fare tutti insieme un grande respiro. Poi ho detto:” Adesso fate silenzio, perché tra poco questo nobile signore farà anche lui un grande respiro e riempirà i suoi polmoni”. Ho acceso il motore e così ho cominciato a spiegare il mantice, l’aria. Poi ho fatto alcuni esempi adatti ai bambini per spiegare i registri, la tecnica del pedale, il fortissimo, qualche effetto curioso, due mani su due tastiere diverse, perché no …il Coucou di Claude Daquin, l’inizio della Toccata di Widor. Che silenzio e che concentrazione quel mattino! Quante domande, che voglia di mettere le mani su quel prodigio, che fatica per le maestre portarli via!

Oltre la trasformazione enarmonica dell’accordo di settima diminuita, oltre gli accordi di sesta eccedente italiana, francese, svizzera e tedesca; oltre l’hemiolia, bisogna dare a chi ci incontra qualcosa in più. I bambini ad esempio hanno bisogno di affiancare alla tecnica anche una visione precisa di un adulto che è presente, al di là della musica. Un’ora per suonare la Messa e poi via. Chi si incontra? Quali sono i risultati di una presenza così da “toccata e fuga”? I risultati in una comunità si ottengono con una familiarità e non con l’intervento di un tecnico, quasi fosse un idraulico che viene a riparare il rubinetto.

Un adeguato lavoro di preparazione a casa può consentire di migliorare l’attività in chiesa (come già detto le registrazioni per i sacerdoti, i solisti).

Altro aspetto da non sottovalutare è l’impegno su tutti i fronti. Molte volte “la partita” viene giocata su una messa, la messa grande, la messa dei ragazzi, la messa della comunità parrocchiale. Non dimentichiamo le altre messe. Si possono contattare gli adulti e gli anziani che partecipano regolarmente alle altre messe (con la scusa di correre dietro sempre ai giovani ci si dimentica di questa realtà; l’ho sperimentato sulla mia pelle: ero giovane, tutti si occupavano dei miei problemi delle mie esigenze, ero il futuro dell’umanità, tutti mi facevano spazio poi ad un certo punto…). Che bel traguardo formare un coro di adulti e anziani, con una collocazione precisa in chiesa, con lo scopo di sostenere il canto. La fedeltà a questo impegno potrà portare a traguardi inaspettati sia dal punto di vista musicale che umano.

Da due anni scrivo sul Bollettino Parrocchiale, (La Basilica) alcuni articoli che riguardano la musica; in questi articoli arrivo anche a spiegare il simbolismo teologico dei numeri nelle opere di Bach. Vi garantisco che anche questa iniziativa porta a dei risultati insperati sul piano della formazione e della consapevolezza. Qualcuno ti ringrazia, qualcuno ti dice che non immaginava.

Apriamo un altro fronte: cosa succede se mancano i solisti o (nel mio caso a Varese) il sacerdote animatore della liturgia? Semplice, bisogna sostituirli. E per sostituirli si deve andare al microfono per insegnare i canti e per dirigere l’assemblea. L’organista, ma più correttamente bisognerebbe parlare di una figura di musicista a 360 gradi, deve essere in grado di svolgere questo compito senza sentirsi declassato a poco più del sacrestano (mi perdonino i sacrestani). Il riconoscimento futuro (naturalmente anche economico) dell’opera del musicista da chiesa dovrà passare attraverso la possibilità di utilizzare questa figura come un vero e proprio collaboratore della parrocchia (animatore liturgico, catechista, organaro, organizzatore delle riunioni, segretario e perché no, anche sacrestano… naturalmente di un certo livello).

Per quel che concerne la figura dell’organista che accompagna il coro o la Corale Parrocchiale occorre specificare che il livello di preparazione richiesto non ammette sconti; diversamente i risultati non potranno che essere scadenti e deludenti. Mi spiego: accompagnare un brano a quattro voci vuol dire eseguire le quattro voci o quanto richiesto dal compositore (pedale compreso). Arrangiare, togliere, semplificare sono verbi che conducono ad effetti annacquati per quel riguarda l’accompagnamento di un coro. Il compito dell’organista che accompagna è un compito di responsabilità che implica studio, dedizione e tanto lavoro, ad esempio sulla tecnica del pedale. Togliere il pedale, vuol dire togliere sostegno al coro e togliere gli armonici al riverbero delle nostre chiese. Perdonatemi ma è un po’ come trovare la pasta fredda senza condimento; tutti gli spaghetti attaccati tra loro. L’organista deve respirare col coro (anche materialmente, sul gesto del direttore), niente code alla fine, niente partenze anticipate, niente rallentamenti perché non si sa bene la parte; l’organista deve studiare il riverbero della chiesa perché talvolta è necessario anticipare il coro o staccare di più senza legare; l’organista deve registrarsi e ascoltarsi; l’organista deve nutrire stima e rispetto verso il direttore; non deve contestarlo di fronte a tutti: se proprio ci sono delle incomprensioni deve chiarire ogni aspetto importante delle esecuzioni e delle impostazioni delle prove lontano dalle orecchie dei cantori. Anche qui l’unità risulta essere una valida testimonianza per far crescere cristianamente e umanamente una realtà che di solito finisce per far diventare la musica, il bel canto, il mottetto difficile e di grande effetto, la divisa, il consiglio, le elezioni del consiglio, la gita, il curriculum gonfiato, il concerto in questa o quella chiesa, una serie di idoli a cui aggrapparsi e sacrificarsi per colmare un vuoto di motivazioni. L’organista deve aiutare il coro a far crescere la stima verso il direttore e, come il direttore, deve venire sempre preparato ad ogni appuntamento perché le realtà corali amatoriali hanno già i loro problemi e non è il caso di aggiungerne altri. L’organista deve conoscere i registri, i colori, gli impasti, le combinazioni. Su 40 registri, non è possibile usarne solo 5 o 6. Deve essere in grado di insegnare le parti alle voci per aiutare il collega direttore a snellire le prove. Deve essere curioso da 1 a 90 anni (senza porre limiti alla Divina Provvidenza) e quindi non considerarsi un arrivato. Deve ascoltare le registrazioni dei CD; deve andare ai concerti e rubare un po’ il mestiere (non è un peccato copiare atteggiamenti e soluzioni; è un peccato pensare di aver fatto sempre tutto bene e arroccarsi in una presuntuosa autosufficienza rinunciando ai confronti per migliorarsi sempre di più, è un peccato arrabbiarsi di fronte alla sottolineatura dei limiti). In uno spirito di amicizia l’organista deve comunque saper dire al direttore se si sono manifestati degli errori o se qualcosa non va tra il coro (rapporti tesi, battibecchi, malumori , prevalenza di alcune voci generose, squilibri tra le sezioni). Considerando l’istintiva tendenza dei musicisti a invidiarsi o ad ignorarsi, è da valutare come un grande gesto di amicizia avere dei colleghi che ti dicono ad esempio “guarda che i tenori sono calanti” oppure “vedi un po’ di pagare quel soprano o quel basso perché stiano zitti”. Se stai a cuore ad una persona questa ti aiuta: lascia perdere se l’osservazione ti brucia.

E allora perché non invitare qualcuno che è più avanti per tenere una serata di prove un po’ diversa dal solito. Vocalizzi, respirazione, un facile mottetto da imparare, qualche consiglio e qualche fotocopia di nuovi mottetti per allargare il repertorio, una veloce guida all’ascolto di un brano classico, pop, rock, jazz (naturalmente spiegando il valore contenuto). Quanto bene si potrebbe fare se si imparasse ad ascoltare di più e a restare sempre sui banchi di scuola. Lo dico per me e per voi.

 

 

Riflessioni personali

Termino parlando un po’ di me. Vivo quotidianamente il mio rapporto con la musica sperimentando il compromesso. Tra scuole, Corale e Coretto e lezioni varie ho calcolato che sono 35 ore di insegnamento. Servono per mantenere una simpatica, vivace e impegnativa famiglia. Riuscire a trovare il tempo per studiare, scrivere, aggiornarmi è una bella impresa. Ci sono i letti da fare e i pranzi da preparare. Il compromesso sul tempo l’ho trovato rinunciando a qualche ora di sonno durante la notte. Ogni tanto però bisogna recuperare. Se ce la fate questo è un buon consiglio: dormite un po’ di meno. Attualmente, come tanti miei colleghi direttori delle Corali Parrocchiali sono preoccupato perché il numero dei componenti del mio coro si sta assottigliando. Gli anziani non vengono rimpiazzati, e i giovani che potevano entrare hanno pensato bene di fare un altro coro con tutt’altro repertorio. Gli anziani non hanno come amici i ventenni e i diciottenni e così non li possono invitare alle prove. Il centro della città si svuota. Banche e uffici crescono come funghi. I parrocchiani impegnati sono gli stessi e fanno il boia e l’impiccato in tutte le commissioni: non ditemi che non conoscete questa situazione. La trentina di persone rimaste proviene dalla provincia (qualcuno deve fare 45 minuti di macchina per arrivare alle prove). Solo due cantori ultrasessantenni ed il sottoscritto fanno parte della Parrocchia. Per evitare lo stress di due uscite settimanali, faccio provare al martedì le sezioni maschili e al giovedì quelle femminili. Le prove con tutte le voci sono quelle immediatamente precedenti le festività. Anche questo è un compromesso, perché non è gradevole avere il coro completo a disposizione solo per alcuni momenti.

Pensando poi a ciò che mi rendeva sempre felice, ho capito che questo stava nelle origini della mia chiamata. Sono cresciuto con il canto sacro e grazie al canto sacro, alla liturgia e al re degli strumenti ho trovato la mia felicità. Insegnare per tante ore è sfiancante ma se conservi lo spazio per lo studio, se ti dai sempre dei compiti da svolgere, dei brani da imparare, degli obbiettivi da raggiungere allora il peso del lavoro a volte molto ripetitivo e con scarsità di risultati ti sembrerà più leggero. Nel 2000 con la mia Corale mi sono dato un obbiettivo grande: una messa di Schubert con l’orchestra da eseguirsi durante il Te Deum di fine anno; da maggio a dicembre a studiare e a trascrivere i brani della liturgia per l’orchestra. Un mio corista parrucchiere (negozio chic ) ha raccolto tra i suoi clienti quanto bastava per pagare gli orchestrali. E così domenica 31 dicembre 2000, S. Messa con Te Deum di ringraziamento; la Basilica di Varese stracolma, faceva pensare a Salisburgo.

Sono arrivate per me anche le occasioni per mettere sulla carta le idee musicali. I salmi per ogni celebrazione, le antifone, i mottetti mancanti per sottolineare le festività. Ed infine i brani organistici sulle melodie del Cantemus Domino delle edizioni Rugginenti, che, tra le altre cose, mi hanno permesso di approfondire il contagioso entusiasmo di Gian Nicola Vessia e Marco Rossi.

Sul leggio dell’organo elettronico in casa tengo un foglio con i compiti. ( non scandalizzatevi, anche questo è un compromesso per poter studiare). Mi scrivo i brani da ripassare e da imparare (Bruhns, Hanff, Radeck, Lubeck, e poi Bach, Mendelssohn, Franck, Lemmens). Anche questo funziona. Provatelo anche voi, immaginando di presentare sempre a qualcuno i risultati dei vostri studi. Poi trovate il tempo di stare in chiesa a suonare anche se c’è inserito il registro dell’aspirapolvere di 16 piedi e la Voce Umana petulante delle donne delle pulizie.

Chiedo scusa a San Paolo ma adesso è giunto il momento di lanciare l’appello finale. Mi rivolgo agli organisti e ai Parroci : “Voi organisti state sottomessi ai Vostri Parroci”. “Voi parroci amate i vostri organisti e non inaspritevi con essi!”

Sia chiaro che quella che vi ho presentato è un esperienza che ha le stesse difficoltà che voi tutti incontrate. Sarebbe bello per me poter ascoltare le vostre esperienze.

Se mi chiedo in nome di cosa ho fatto e faccio tutto questo non posso nascondere che c’è una componente sentimentale, di appagamento fisico: penso che un po’ tutti possiate dire lo stesso. La mia storia con la musica è iniziata con un disegno che doveva realizzarsi per portarmi alla felicità. Attraverso una persona, un incontro, io sono giunto fin qui e a mia volta (guardando a qualche mio allievo che è volato avanti) ho fatto in modo che qualche altra persona potesse incontrare la felicità nella musica. Da giovane, grazie al servizio liturgico, sono andato in chiesa anche quando c’era un po’ di stanchezza. Essere fedele ai miei impegni mi ha aiutato ad essere fedele (con gli inevitabili limiti) a Cristo nella Sua Chiesa. Lavorare, litigare, sudare, dubitare, deprimersi, esaltarsi per dare testimonianza di una grandezza che ci avvolge e che dà un significato alla nostra vita continua ad essere affascinante come quel pomeriggio d’estate di tanti anni fa sulla balconata dell’organo della mia parrocchia. A questa sorgente guardo sempre, quando l’italica fatica di fare musica prende il sopravvento. Spero che tutto questo continui.

 

Giacomo Mezzalira

 

* * *

 

Arcidiocesi di Milano

Servizio per la Pastorale Liturgica

PIAMS

Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra

SALM

Scuola per Animatori Liturgico Musicali

 



III. GIORNATA DIOCESANA 
per 
ORGANISTI 


 

Milano, 15 marzo 2003



 

presso

Sala Convegni 
Curia Arcivescovile di Milano


Parrocchia Angeli Custodi

 

 

Programma

9.30 Relazione

L’organista al servizio 
del coro e dell’assemblea

M° Giacomo Mezzalira

(vedi sopra il testo completo)

 

Coffee Break.

 

11.00 Dialogo con il Relatore

 

12.00 Comunicazioni del Servizio per la Pastorale Liturgica,

del Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra,

della Scuola Diocesana SALM

12.30 Pausa pranzo.

14.30 Laboratorio

Organo, coro e assemblea 
nella celebrazione eucaristica

M° Giacomo Mezzalira.

 

16.30 Conclusioni.

 

Sede: 


Al mattino la relazione si svolgerà presso il salone della Curia Arcivescovile di Milano in P.za Fontana 2

 

Il laboratorio si svolgerà presso la Parrocchia degli Angeli Custodi, via Colletta 21 – Milano.

 

 

 

 

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Autore: 
Giacomo Mezzalira
Qualifica autore: 
direttore di coro e organista