Marco Enrico Bossi in memoriam

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MARCO ENRICO BOSSI

 

Un animatore possente, che da complessi ma inerti strumenti traeva moto, vita, colore potenza, che evocavano cielo e terra; un compositore che risvegliava sempre l'idea dell'incrollabile dell'instancabile, dell'inesauribile energia; non è così che quasi tutti pensano Marco Enrico Bossi? Ed hanno ragione. Ma per noi era anche di più: era un uomo nostro, uno dei pochi che potevano nominare senz'incertezza, coll'intima convinzione che nessuno avrebbe potuto sottrarsi alla sua superiorità, uno dei pochissimi di cui eravamo fieri; ed è scomparso.

 

L'arte di M. E. Bossi aveva da anni preso un cammino proprio e tutto personale, e così non poteva non essere; eppure costituiva forse il più perfetto tra i frutti del movimento di restaurazione dell'arte sacra italiana. Quando, ormai sono tant'anni, l'allora giovane don Guerino Amelli, della Biblioteca Ambrosiana, incominciò a predicare la crociata per un'arte sacra che fosse davvero arte e sacra, il sacerdote entusiasta suscitò una prima schiera di musicisti, un primo manipolo di lottatori per la pria causa: il conte Francesco Lurani Cernuschi, Giuseppe Terrabugio, Giuseppe Gallignani, Guglielmo Mattioli, Giovanni Tebaldini e con loro Marco Enrico Bossi.

 

Era il tempo della giovanile idealità, il tempo dei pochi ma buoni, quando si mirava alla resurrezione della grande arte liturgica tenendo come punti d'orientazione Palestrina e Bach. E l'immensità dell'arte organistica del sommo Maestro tedesco eccitava le incipienti forze del giovane organista di Salò, Ecco perché egli poté elevarsi di tanto dal povero ambiente organistico del tempo, ecco perché il suo raro ingegno poté fare di lui l'uomo dei tempi nuovi! Perché gli era stato fatto vedere quanto smisurato fosse il cielo dell'arte. E fra gli allora giovani e combattuti sognatori, M. E. Bossi fu, senza ombra di dubbio, il più vigoroso, il più possente, il meglio dotato d'ingegno. Tanto che, passati tanti anni, compiuta una evoluzione grandissima dell'arte, fino ad ieri egli fu in prima linea, uomo rappresentativo, indiscutibilmente ammirabile ed ammirato.

 

Ci sia permesso di dire con fierezza che la piccola schiera di uomini nelle cui mani l'Amelli lasciò il movimento per la resurrezione della musica sacra, fu come raccolta intorno a questa nostra rivista, che fu sino dall'inizio la tribuna della santa propaganda, seguì le sorti del movimento coronato dalla memorabile sanzione pontificia del Motu propriodel 22 novembre 1903, ed oggi ancora non rinuncia all'ardita speranza di nuovamente contribuire al rialzamento della cara e tanto depressa arte nostra.

 

Marco Enrico Bossi, dunque, fu uno dei redattori del Musica Sacrain quello che diremo periodo eroico, e noi ricordiamo con commossa compiacenza questo fatto, per la luce ch'esso prospetta sul passato, e quale auspicio per l'avvenire.

 

Difatti quell'altezza d'ideali, quella completa e cosciente maestria nella pratica dell'arte, quella continua grandiosità che caratterizzano tutte le opere e tutta l'attività artistica del Bossi, furono la continuazione, l'attuazione della mentalità del primo movimento restauratore nostro. Mentalità che non decadde mai nel grande artista, mentre si affievoliva in quelli che grandi artisti non erano.

 

Sentendo il Bossi sovranamente troneggiante sull'organo, leggendo le sue musiche, chi non ha intuito un che di mistero, di liturgico? E che non fosse proprio per questo che i più, quelli che vanno al concerto per divertirsi e magari per passar l'ora, difficilmente arrivano ad avvicinarsi a lui? Noi confessiamo d'avere avuto spesso questa sensazione, e d'averlo sentito ed ammirato proprio per questo. Ed appunto per ciò piangiamo, intimamente convinti, la sua morte, perché sentiamo d'avere perduto un uomo che era dell'arte nostra, magari poco ormai nella veste esteriore, ma ancora sempre nel fondo, nell'indistinto dell'anima.

 

L'organo italiano aveva sempre avanti per base registri di fondo, flauti e ripieno, registri dolcissimi a poca pressione d'aria; non gli occorreva dunque che una tastiera sola. Nell'Italia del nord erano tipici gli organi di Antegnati, Serassi, Callido. Questo tipo di istrumento che, naturalmente, era legato ad un dato genere di musica, quella a base polifonica (per quanto d'una polifonia fattasi esile), era andato riducendosi ad una cosa abbastanza povera e di scarso valore.

 

Venne dall'Inghilterra un negoziante di carbone fossile, appassionato dell'organo, ed incominciò a fabbricare in Italia strumenti di tipo inglese, con principali a forte pressione, quindi forti di timbro e parlanti; con registri a canna stretta, come le «viole da gamba», vari registri da concerto e timbri assai diversi l'uno dall'altro, molti dei quali ad ancia: quindi occorrevano più tastiere per poter far sentire le varie voci dello strumento. Il quale era chiaramente pensato e preparato per eseguire musica di tipo sinfonico, cioè ad imitazione, più o meno confessata, dell'orchestra.

 

Gli organi di Mr. Trice (pronuncia Traiss) parvero una rivelazione, pei profani, e diremo anche più pei musicisti, (*) e provocarono il nuovo indirizzo organario ed organistico italiano. Vorremmo dire che da allora in poi, anche quelli che s'affaticano a ripetere la loro passione per l'organo italiano, in realtà fanno tutt'altro. Comunque sia era nato l'organo moderno che si trova ormai in tutte le grandi chiese e sale da concerto d'Italia.

 

Chi diede voce a questo tipo di strumenti? Marco Enrico Bossi. Chi fuori di lui per anni ed anni fu proprio il solo (eccezione fatta per Filippo Capocci di Roma) che diede concerti d'organo, girando chiese e sale, mettendo in valore i nuovi strumenti? Ed era la sola ed efficace propaganda per l'elevazione dell'arte così avvilita. Chi fuori di lui scrisse per quel tipo di organo della musica che meriti d'essere seriamente ricordata? Lo Studio sinfonico, il Concertocon orchestra, il Poema con variazioni, la 2.a Sonata (edita da Coch a Londra e che nessuno suona mai, curioso: non la suonava neanche l'autore), sono opere degne di stare a fianco a quelle dei migliori organisti francesi del tempo in cui furono scritte.

 

Sì, ma musica sacra il Bossi ne scrisse ben poca, dirà forse qualcuno.

 

Innanzitutto, distinguiamo: poca in relazione alla vastissima produzione del Bossi ché, quella sola, basterebbe d'altronde a costituire un sufficiente bagaglio, per un musicista di lui meno fecondo. Ma quanti si sono domandati perché? Come abbiamo detto egli aveva pure principiato a collaborare coi primi ceciliani italiani; non solo, alla musica liturgica s'era interessato sempre, e chi l'ha avvicinato sa bene con che ammirazione e con quale intuizione veramente rara egli parlasse e leggesse al pianoforte le opere della polifonia vocale classica. Poi, non ha forse composta una Messa per funerali del Re al Pantheon, in collaborazione col Tebaldini? E scritte le musiche per la Messa di matrimonio di Vittorio Emanuele III a Santa Maria degli Angeli a Roma? Quelle composizione, a cui magari si potrebbero aggiungere le poche cose giovanili per voci ed organo edite dalla nostra casaMusica Sacra, non son proprio uguali per tendenza a quelle degli altri maestri ceciliani; e che perciò? Chi può pensare che un uomo d'ingegno scriva collo stile d'un altro? Chi non vede invece come il Bossi avesse un suo ideale d'arte liturgica, che non sviluppò? E, ripetiamo, perché?

 

Gli artisti veri e proprio scrivono, non già quello che vogliono, ma quello che devono; essi sono come sospinti da un'energia interna, ch'è la loro forza, la loro stessa ragione d'essere, e li conduce là dov'è la loro strada. Niente è dunque più incerto che tentar di scoprire perché un artista s'è avviato da un lato invece che da un altro. Ma per chi ha conosciuto veramente Marco Enrico Bossi, non è un segreto che egli aveva la perfetta visione della realtà: il moto di restaurazione era partito da ideali alti, e poi, diffondendosi, era andato affievolendosi ed abbassandosi di tanto, che dell'idealità primitiva restava poco più del ricordo.

 

Ci si metta la mano al petto: aveva torto? Dalle Messe palestriniane che costituivano l'occasione dei primi congressi ceciliani, i modelli nello studio, il termine di paragone nei giudizi, alle «composizioni facili e facilissime» l'etichetta ceciliana odierna... che distanza! E che umiliazione! Dalle opere organistiche di Frescobaldi e di Bach a certe coserelle di nostra comune conoscenza? Un abisso. C'è chi stupisce se un artista come Marco Enrico Bossi si è ritirato? E fin dall'inizio del declino?

 

Chiudiamo invitando tutti i musicisti di chiesa, tutti gli organisti, e vorremmo dire anche tutti i musicisti d'ogni genere e stile d'ambiente, a trasformare la loro ammirazione ed il loro rimpianto per Marco Enrico Bossi in energia attiva, fervida, feconda: a rendere al grande maestro il solo omaggio degno di lui, cioè ad essere com'egli fu alto, austero, nobile nella pratica dell'arte pensando sempre di avere il suo occhio scrutatore nello scrivere e nel suonare. Così egli vivrà tra noi più e meglio che se tra noi fosse col corpo.

 

La Redazione

 

(*) Mr. Trice dovette poi rinunciare alla fabbricazione degli organi e tornare in patria, perché era anglicano; ed i nostri sacerdoti non amavano trattare con lui.

 

- quanto sopra è tolto da «Musica Sacra / Rivista liturgica musicale», Anno LI, n. 2, Marzo-Aprile, Milano, 25 aprile 1925

 

 

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La Redazione di «Musica Sacra / Rivista liturgica musicale», Anno LI, n. 2, Marzo-Aprile, Milano, 25 aprile 1925