CRONACA del convegno
MAGNIFICAT DOMINUM MUSICA NOSTRA
Giornata di studio sulla musica sacra nella Bologna d’un tempo
dedicata alla memoria di Oscar MISCHIATI (1936-2004)
promossa da
Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna
Un’intensa giornata di studi musicologici ha avuto luogo a Bologna il 1° aprile 2006 presso la chiesa della SS. Trinità (via dei Buttieri, 3) (v. progr. dettagliato in calce): nell’amplissima e artistica sala dell’Auditorium, generosamente messa a disposizione dal parroco, l’Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna ha organizzato una manifestazione che, intitolata Magnificat Dominum Musica Nostra, ha impiegato una decina di studiosi sul tema dell’antica musica sacra in quel di Bologna (antica sì ma anche moderna, bolognese sì ma anche largamente italiana e “occidentale”) ponendosi come omaggio a Oscar Mischiati, l’illustre musicologo, bibliotecario e archivista bolognese scomparso due anni prima. Ideato da mons. Salvatore Baviera, presidente dell’istituto, con la collaborazione del m.o Giorgio Piombini (già del Civico Museo Bibliografico Musicale) e del prof. Piero Mioli (del Conservatorio “Giambattista Martini”), l’incontro ha registrato numerose presenze, di addetti ai lavori (Fulvio Angius, Marco Beghelli, Mario Fanti, Tito Gotti, Dario Ravetti, Cesarino Ruini, Sandra Simoni, Paolo Tollari, Giuseppe Vecchi e altri, musicisti, studiosi, dirigenti) e cultori di musica classica e storia locale. Gli interventi della mattina sono stati coordinati da mons. Baviera e quelli del pomeriggio dal prof. Mioli. Proprio all’inizio, presentando l’intera manifestazione, mons. Baviera ha segnalato l’assenza per malattia di Giorgio Piombini, al quale ha inviato calorosi saluti e auguri a nome di tutti, e poi è passato a tratteggiare un breve profilo di Oscar Mischiati al quale era legato da ragioni di amicizia personale e collaborazione professionale.
Vera e propria prolusione, l’intervento di Luigi Ferdinando Tagliavini si è rivolto Alla memoria di uno studioso amico: di Oscar Mischiati, vero amico compagno di una vita di studi e di frequentazioni umane, condirettore dell’“Organo” (la prestigiosa rivista edita dalla Pàtron), Tagliavini ha messo in rilievo le doti di studioso unanimemente riconosciute e le particolarità di un comportamento e un carattere inflessibile fino all’intransigenza, confermando quando aveva già scritto in un accorato ricordo pubblicato sulla rivista. A seguire, una relazione sul Canto gregoriano prima e dopo il Concilio, che Giacomo Bonifacio Baroffio non ha esitato a cadenzare con stralci di un canto personale sommesso ma mirabile per tenuta sonora, pregnanza espressiva e pertinenza filologica. Ma ecco alcune delle sue parole precise.
Non soffochiamo la voce del cuore in preghiera. Ascoltiamo alcuni brani. Stili differenti e linguaggi musicali diversi mettono in evidenza la natura del repertorio vocale della liturgia: è un caleidoscopio sonoro dove si intrecciano e sovrappongono colori e si sedimentano strati culturali di secoli. Il canto è la spettrografia dell’evangelizzazione: mentre consegna la Parola del Vangelo a nuove popolazioni, la Chiesa ne assume le espressioni più significative. Prima del concilio: nei secoli XVI-XIX gli interventi “riformatori” miravano a condizionare le melodie gregoriane assimilandole agli stilemi contemporanei fino a giungere a modificare nel profondo l’impianto musicale con il canto fratto. Chiare affermazioni di principio dall’inizio del ‘900 sembrano convalidare e promuovere lo sforzo dei monaci solesmensi di ricuperare le antiche melodie nella loro veste originale (il cosiddetto “ritorno alle fonti”). Si promuovono con passione la riflessione sul senso della liturgia e della sua musica, con pubblicazioni di taglio spirituale; lo studio delle fonti, con edizioni e riproduzioni fotografiche; la diffusione, su riviste specializzate (almeno una in ogni nazione europea) e con la creazione di cori; la ricerca sulle melodie, nell’ambito della storia e dell’estetica; l’insegnamento, grazie a corsi nelle case di formazione, seminari estivi, istruzione del popolo. A metà del secolo XX c’è difatti una notevole ripresa degli studi specialistici, ma anche una certa stanchezza nella pratica liturgica. Si va avanti per forza d’inerzia, si canta per abitudine, spesso senza entusiasmo e convinzione.
Dopo il concilio: la progressiva apertura alle lingue locali esaspera la reazione a un passato che viene spesso rifiutato in blocco nel segno dell’ignoranza e dell’arroganza condite da un facile e falso populismo (di fatto la comunità cristiana rischia di essere depauperata perché le sono sottratti beni culturali e spirituali su cui ha giusti diritti). Assai limitato all’inizio è l’influsso di nuove prospettive per l’esecuzione corretta e avvincente del canto gregoriano (fondamentali le intuizioni e ricerche fatte e promosse di André Mocquereau e di Eugène Cardine, responsabili della semiologia gregoriana). Il gregoriano suscita nuovi interessi, ma quale fenomeno culturale ed esotico. Si diffondono cori che eseguono le melodie liturgiche al di fuori del contesto vitale, mentre dalla liturgia il canto è praticamente estromesso. Resistono alcune isole felici; ma in alcuni luoghi il gregoriano è eseguito così male (solo perché è “antico” e in “latino”) che sarebbe meglio non fosse cantato.
Oggi: a fatica si scoprono alcune priorità: l’approfondimento teologico e spirituale del canto quale espressione della preghiera liturgica; la riscoperta del cantore quale ministro della Parola che comunica all’assemblea e che rivolge a D-i-o a nome della Chiesa in preghiera; un servizio liturgico all’insegna dell’esperienza spirituale vissuta dove il canto sia la voce del cuore (senza tuttavia escludere interventi eccezionali a livello didattico e culturale); un impegno serio e costante nell’approfondimento della catechesi biblica e liturgica da parte dei cantori, quale premessa indispensabile per un loro impegno sul piano tecnico e vocale.
Quindi ha preso la parola Davide Masarati, che ha trattato del seguente argomento: Da Banchieri a Padre Martini: sulla tradizione organistica bolognese. Quasi due secoli di musica e prassi organistica, un periodo ampio che parte dall’opera del monaco olivetano Adriano Banchieri (1568-1634) e chiude con quella del francescano Padre Martini (1706-1784), in una città, Bologna, forte di una prestigiosa istituzione musicale come l’Accademia Filarmonica, di cappelle musicali attivissime e di un patrimonio organario straordinario valorizzato dall’arte di abili organisti: questo è lo scenario preso in esame, uno scenario che pur rispecchiando italiche vicissitudini e abitudini (editori maldisposti nei confronti della musica per tastiera, opere manoscritte destinate a un consumo quotidiano), può comunque fornire motivi di interesse sia nella ricerca di repertorio (edito o inedito) da eseguire che nell’approfondimento di opere teorico-pratiche, anche manoscritte, dedicate alla prassi dell’improvvisazione organistica. Oltre a gettare un rapido sguardo sulla produzione degli autori più rilevanti (Monari, Arresti, Aldrovandini, Predieri, dal Corno-Colonna oltre ai due già citati), il relatore ha illustrato le peculiarità di due preziose testimonianze conservate presso il Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna: la prima è costituita dall’ampia raccolta organistico-liturgica (296 brani) compresa nei due manoscritti HH 286 e HH 287 attribuiti a Padre Martini ma in realtà composti dal suo allievo Giuseppe Paolucci; la seconda è un breve trattato compreso nel manoscritto autografo di Martini, HH 36, un vademecum per improvvisare nelle forme predilette dal solerte francescano, dalle Sonate sui flauti ai Pieni alle Elevazioni colla voce humana.
Dopo il suono, ancora la parola. L’oratorio alla Madonna di Galliera: aspetti storico-istituzionali è il titolo dell’intervento di Carlo Vitali, che ha preso le mosse da una testimonianza del 1766, a firma di Johann Adam Hiller:
In Bologna s’incontrano i migliori musicisti di tutt’Italia. Accanto alla bellissima chiesa della Madonna di Galliera c’è una splendida cappella [l’Oratorio] dove si eseguono oratorii o concerti spirituali, della durata di almeno tre ore, tutte le domeniche d’inverno, da Ognissanti a Pasqua. Anche se questi oratorii si producono di notte, vi prevalgono sommo decoro e il massimo silenzio. È di solito un dramma in due atti, il cui contenuto è tratto dalla Sacra Scrittura o dalla storia della Chiesa. Prima del pezzo c’è una messa e un breve discorso recitato da un ragazzino, che serve di introduzione all’oratorio. Fra le due parti o atti un Filippino tiene del pari un sermone, cosicché i musicisti possano riposarsi.
Citando a piene mani San Filippo Neri, le figure del Praefectus musicae e del Praefectus sacrarij, Adriano Banchieri, Camillo Scaligeri, Bartolomeo Monari, Stefano Gualchieri, Bartolomeo Guerra e altri personaggi, lo studioso ha riassunto le risultanze di suoi studi precedenti circa le vicende dell’Oratorio bolognese dalla costituzione sino al tramonto dell’ancien régime; quindi ha elencato tutta una serie d’argomenti che ha dovuto escludere fra cui la consistenza e la sorte dell’archivio musicale e la periodizzazione degli stili nell’oratorio drammatico, comprese le influenze letterarie nella produzione librettistica e quelle più propriamente musicali (periodo romano, veneziano, napoletano); inoltre i flussi di import-export (si pensi che nel 1725 era la Congregazione romana a chiedere copie delle partiture conservate a Bologna, onde si può misurare la profondità dell’inversione di tendenza verificatasi in soli tre o quattro decenni) e le pratiche musicali non oratoriali, compresi gli organici delle esecuzioni liturgiche, abbastanza ben documentati in una serie di partiture sopravvissute.
Ha chiuso i lavori della mattinata la relazione di Piero Mioli, su Canto sacro e canto profano nella Bologna del Settecento. Nel 1723 uscì a Bologna un trattato di canto che funge tuttora come sintesi della vocalità del '600: si tratta delle Opinioni dei cantori antichi e moderni di Pier Francesco Tosi, dove l’illustre musicista, cantore e insegnante perlustrava tutti gli stili e i generi, dal recitativo all'aria, dall'opera alla camera alla chiesa. In quel periodo la scuola bolognese era forse all'apice, impersonata com'era da alcuni grandi cantanti e didatti come Pistocchi, Bernacchi e Mancini. Francesco Antonio Pistocchi: musico, autore di alcuni melodrammi e oratori, fu soprattutto un insigne professore di canto; dopo aver cantato in Italia e all’estero nel 1710 si fermò a Bologna dove, inserendosi in un’antica tradizione, fondò una scuola di canto valida tanto per il lenocinio della tecnica quanto per la profondità dell’espressione. Ebbe numerosi allievi fra cui quel Bernacchi che doveva essere il diretto continuatore della scuola e del metodo e Giambattista Martini, il Padre Martini celeberrimo in tutt’Europa. Compositore anch’egli, Antonio Maria Bernacchi aveva studiato contrappunto con Ricieri e Bernabei: vocalmente, riuscì a piegare una voce difficile di contralto e operò in molti teatri italiani ed europei, in particolare a Londra dove creò il Rinaldo di Händel; ebbe poi numerosi allievi, fra i quali Raaf, Tedeschi, Mancini, Tesi, Gizziello, Guarducci, Appiani e la grande Vittoria Tesi. Ed ecco Giambattista Mancini: trattatista, Kammermusikus alla corte di Vienna, nel 1774 pubblicò Pensieri e riflessioni pratiche sopra il canto figurato, testo fondamentale per la tecnica del belcanto (e provvido di notizie altrimenti perdute); secondo lui, per esempio, l’agilità è una dote naturale, che lo studio potenzia ma non può indurre dal nulla; la i, la o e la u sono vocali proibite ai vocalizzi; e il registro acuto va emesso con dolcezza e scioltezza. Infine, il citato Pierfrancesco Tosi: trattatista, musico allievo del padre, cantò in Italia, in varie corti europee, a Londra e a Vienna svolgendo anche attività didattica e mansioni diplomatiche. Nel 1723, dunque, pubblicò a Bologna le Opinioni dei cantori antichi e moderni, trattato poi tradotto in inglese, francese e tedesco che pur nel pieno culto del belcanto (donde ben otto tipi di trilli) metteva a confronto l’espressione patetica del ‘600 e l’edonismo brillante del ‘700. Il grande cantante -secondo il Tosi- deve poter affrontare generi diversi, avere un’ottima voce naturale e saper variare prontamente (giacché “l’abbondante e mediocre vocalista è superiore a quello efficiente ma sterile”).
Chiusi i lavori della mattinata, il pomeriggio è stato foriero di quattro interventi e un’esecuzione musicale. Subito il presidente Piero Mioli ha introdotto Francesco Sabbadini. Trattando di Fede e pensiero nell’opera di Padre Martini, lo studioso ha messo in evidenza la relazione dell'opera teorica e musicale di Padre Martini con il contesto culturale e religioso del suo tempo, con l'ambiente della Chiesa bolognese e le intenzioni pastorali di grandi personaggi come il cardinale Lambertini eletto al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV. Tra le questioni che ha brevemente esposto Sabbadini si è soffermato in particolare sulla consapevolezza di una eclissi dello spirito tridentino e sulla conseguente esigenza di proporre forme devozionali scevre di ostentate e “barocche” esteriorità (come le “missioni strepitose” di matrice gesuitica, o un eccessivo utilizzo di strumenti vari nelle funzioni sacre) ispirate al modello muratoriano della “regolata devozione”; e poi sulla necessità di un accrescimento culturale del clero bolognese nel suo complesso e sul confronto con le idee filosofiche illuministiche responsabili talora di un certo isolamento della Chiesa rispetto a gruppi intellettuali da esse condizionati. Infine ha individuato alcuni punti degli scritti e delle corrispondenze del Martini ove si possono ravvisare tratti analitici, pratiche costruttive e spunti polemici utili a tracciare un profilo di compositore e di teorico in cui fede e ragione si identificano nel raggiungimento di un significato spirituale, prima che estetico, lontano da ogni suggestione ramista e rousseauiana di “natura” intesa come principio di ogni regola armonica e come condizione di ogni giudizio critico.
Quindi è stata la volta di Luigi Verdi, che ha descritto L’archivio musicale di Sebastiano Tanari (1771-1809), nobile bolognese e compositore di musica sacra. Allievo di Padre Mattei, il marchese Sebastiano Tanari fu compositore di talento e alla sua morte lasciò per testamento in eredità all’Accademia Filarmonica di Bologna un archivio musicale costituito da circa 200 composizioni sacre di sua mano, alcuni bassi numerati, trentatré componimenti di Padre Vallotti, tre di Padre Sabbattini e un numero imprecisato di composizioni di altri autori ignoti che, in base alla stima effettuata, dovevano essere circa una cinquantina. Tuttavia l'Archivio Tanara finì per essere collocato nel Liceo Musicale perché Padre Mattei, che “come mandatario dell’Accademia stessa lo ricevette dallo stato Tanara, domandò di lì collocarlo, non avendo essa Accademia luogo adatto per custodirlo". Nel Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna sono oggi conservate alcune composizioni sacre di Tanari provenienti sicuramente da questo lascito, ed è probabile che nello stesso Civico Museo siano conservate altre composizioni provenienti da quell’archivio. La maggior parte delle composizioni del gentiluomo è però andata persa: se il Tanari non può dirsi un compositore originale, tuttavia le sue composizioni evidenziano una grande padronanza dei mezzi tecnici e espressivi e una perfetta adesione ai canoni stilistici della scuola bolognese di Padre Mattei. Per questo la musica di Tanari, come quella di tanti altri autori bolognesi a lui contemporanei, sarebbe degna di essere studiata e nuovamente proposta all’attenzione del pubblico. A mo’ d’esempio, il relatore ha poi fatto ascoltare l’esecuzione elettronica di un brano che, proiettato sopra uno schermo, è stato seguito con interesse dai partecipanti.
Dal primo al pieno Ottocento con la relazione di Mario Armellini, Tra bibliografia e musicologia: Gaetano Gaspari e la collezione libraria del Liceo Musicale di Bologna. Tra il 1855 e il 1856 il Gaspari iniziò ufficialmente la sua attività di bibliotecario nel Liceo Musicale di Bologna, l’istituzione ove già insegnava solfeggio e sarebbe stato poi docente di Storia ed analisi musicale. Nel quarto di secolo che lo vide attivo tra i libri che erano in massima parte appartenuti a Giambattista Martini, Gaspari svolse le funzioni a lui istituzionalmente richieste di conservatore e catalogatore dell’ingente patrimonio librario con il piglio, l’interesse e la cultura del più fine, curioso ed erudito dei musicologi. I risultati di quella rara unione nella stessa persona dello studioso di vaglia e dell’attento conservatore è ancor oggi sotto gli occhi di tutti, non solo nel magnifico catalogo a schede la cui funzione informativa va ben oltre quella del mero strumento di accesso materiale alle opere della biblioteca e nella collezione libraria, accresciuta ed arricchita in quegli anni con lungimiranti campagne di acquisti, e con scambi di materiali importanti per le collezioni già esistenti (benché non sempre indolori), ma anche nell’enorme quantità di documenti in questa lasciati, ora tra le opere trattate o studiate, ora tra i documenti relativi alla gestione della biblioteca stessa. Si tratta di annotazioni; di abbozzi di studio (su particolari autori, codici, repertori musicali etc.); di lettere attestanti scambi di informazioni o materiali intercorsi con musicisti e studiosi d’ogni dove; di cataloghi di aste librarie, italiane e europee; di note e fatture d’acquisti; e d’altro ancora. Tutti questi materiali non solo permettono di definire un miglior ritratto di Gaspari in quanto uomo di cultura, ma consentono di ricostruire, ancorché per frammenti e per un lasso di tempo limitato, la storia minuta, quasi quotidiana, di quella straordinaria collezione di libri musicali che è oggi il Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna.
A Giampaolo Ropa, infine, spettava una relazione intitolata I compiti della musica nella liturgia rinnovata. La visione del card. Giacomo Lercaro: in assenza, per malattia, dell’autore, il testo è stato letto dal presidente della sessione pomeridiana. Esprimendosi con una grande ed efficace emozione dovuta alla diuturna frequentazione con il cardinale stesso, l’autore ha preso le mosse dalle sue prime esperienze musicali per passare presto a tratteggiare quella figura indimenticabile, fondamentale per la vita e la spiritualità di molti giovani d’allora e per lui stesso. Riferendosi al motu proprio di San Pio X, il Direttorio di Lercaro (l’aureo libretto meglio intitolato A Messa figlioli!) ricorda:
Ci sorreggeva il desiderio di creare nella santa assemblea domenicale quel clima austero e dolce di profonda religiosità e coesione fraterna, clima riposante e meditativo e, nel tempo stesso di virile decisione, che solo la melodia gregoriana, alternata dalla schola e dall’intera comunità presente, concorre a creare.
Raggiungendo poi “la grande assise conciliare”, lo studioso descrive minuziosamente l’andamento e le risoluzioni dei lavori relativi alla liturgia, ai quali il cardinale era stato preposto come presidente del Consilium per la costituzione liturgica: in definitiva, si trattava di una “sfida continua, commessa al nostro tempo e al futuro della Chiesa”.
Come a metà mattina, così a fine pomeriggio ha avuto luogo una breve esecuzione all’organo: con un fraseggio degno del repertorio scelto, Maria Grazia Filippi ha suonato la Guamina di Giuseppe Guami, il Capriccio sopra la, fa, sol, la di Giovanni Maria Trabaci, un Largo di Padre Martini e una Comunione di Martini stesso nella revisione di Ireneo Fuser (sempre compianto e ammirato insegnante di organo al Conservatorio di Bologna dal 1939 al 1973). Vivi applausi hanno accolto il piccolo ma felice concerto e tutta la giornata di studio, che mons. Baviera ha chiuso ufficialmente ringraziando i presenti e invitando i relatori a consegnare con premura i loro testi in vista della pubblicazione degli atti.
(cronaca a cura di Piero Mioli)
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ISTITUTO PER LA STORIA DELLA CHIESA DI BOLOGNA
MAGNIFICAT DOMINUM MUSICA NOSTRA
Giornata di studio sulla musica sacra nella Bologna d’un tempo
dedicata alla memoria di Oscar Mischiati (1936-2004)
Sabato 1° aprile 2006
Sala Auditorium della Chiesa della SS. Trinità,
Bologna, via dei Buttieri, 3
Ore 9,30 - I sessione
Presiede Mons. Salvatore Baviera
- Luigi Ferdinando Tagliavini, Alla memoria di uno studioso amico. Prolusione
- Giacomo Bonifacio Baroffio, Il canto gregoriano prima e dopo il Concilio Vaticano II
- Davide Masarati, Da Banchieri a Padre Martini: sulla tradizione organistica bolognese
Ore 11 Pausa caffè
Intermezzo musicale
- Davide Masarati esegue all’organo: Adriano Banchieri, Ricercare; Bartolomeo Monari, Allegro con flauti; Giambattista Predieri, Sonata per l’Offertorio; Giuseppe Paolucci, Toccata per il Deo gratias.
- Carlo Vitali, L’oratorio alla Madonna di Galliera, aspetti storico-istituzionali
- Piero Mioli, Canto sacro e canto profano nella Bologna del Settecento
Ore 14.30 – II sessione
Presiede prof. Piero Mioli
Francesco Sabbadini, Fede e pensiero nell’opera di Padre Martini
Luigi Verdi, L’archivio musicale di Sebastiano Tanari (1771-1809), nobile bolognese e compositore di musica sacra
Mario Armellini, Tra bibliografia e musicologia: Gaetano Gaspari e la collezione libraria del Liceo Musicale di Bologna
Ore 15.30 Pausa caffè
- Giampaolo Ropa, I compiti della musica nella liturgia rinnovata. La visione del card. Giacomo Lercaro
- Giorgio Piombini, Ricordo di Ireneo Fuser, docente di organo a Bologna dal 1939 al 1973
Conclusione musicale:
- Maria Grazia Filippi esegue all’organo: Giuseppe Guami, La Guamina; Giovanni Maria Trabaci, Capriccio sopra la, fa, sol, la; Giambattista Martini, Largo; Giambattista Martini-Ireneo Fuser, Comunione (da un abbozzo manoscritto).
Comitato Organizzativo:
Mons. Salvatore Baviera
Prof. Piero Mioli
M.° Giorgio Piombini
Organizzazione:
Dr.ssa Francesca Romana Pirazzoli
Curia Arcivescovile
Via Altabella, 6 Bologna