LE COMPOSIZIONI PER ORGANO DI GIACOMO PUCCINI
Il ritrovamento dei manoscritti delle Sonate per organo consente finalmente di conoscere la parte più cospicua delle prime attività musicali di Giacomo Puccini a Lucca, finora oggetto soltanto di narrazioni aneddotiche. Di questo segmento del catalogo del musicista la presente edizione propone una selezione che anticipa l’edizione critica integrale in preparazione in un volume dell’Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini (ENOGP, II/2.1).
Ultimo discendente della più longeva dinastia di musicisti di Lucca, da quattro generazioni organisti e maestri di cappella in una citta in cui la musica da chiesa occupava una porzione rilevante, Giacomo Puccini era predestinato alla carriera dei suoi ascendenti familiari. Alla morte prematura del padre Michele, nel 1864, quando non aveva ancora sei anni, furono i musicisti formatisi alla sua scuola a impartirgli un’educazione musicale nella quale lo studio dell’organo ebbe un posto rilevante: probabilmente già nella Scuola musicale privata di Luigi Nerici; senza dubbio nell’Istituto Musicale «Pacini» dove, dal 1868 in poi, ebbe come maestri gli organisti della Cattedrale di S. Martino, lo zio Fortunato Magi e Carlo Giorgi, e ottenne due primi premi in organo nel ’75 e nel ’76.
L’organo fu lo strumento col quale il giovane Giacomo esordì in pubblico come musicista. Gli archivi lucchesi attestano incarichi di assistente organista nella Cattedrale nel periodo 1872–74 e il regolare incasso dello stipendio di organista dal 1873 al 1882 presso la Chiesa di San Girolamo della Confraternita della Santissima Pietà del Riscatto (uno degli enti per il quale aveva lavorato anche Michele Puccini). Risulta che ancora nel 1883 Giacomo partecipò come organista alla festa di S. Croce (la celebrazione più solenne dei lucchesi, che si svolge il 14 settembre in onore dell’immagine del Volto Santo), dopo che si era da tempo trasferito a Milano e aveva definitivamente orientato i propri interessi verso la musica orchestrale e il melodramma.
Le Sonate per organo ammontano a sessantun composizioni, quattro delle quali frammentarie, la quasi totalità prima d’ora sconosciuta. I manoscritti provengono in parte dalla collezione di Carlo Della Nina (i diciannove pezzi che Puccini lasciò al suo unico allievo, organista dilettante a Porcari), in parte dalla collezione di altri organisti di Porcari (nove pezzi), in parte da un manoscritto lucchese, intitolato “Raccolta di Suonate sacre per Organo composte da diversi Maestri” (ventun pezzi). Altri dodici pezzi sono conservati nell’archivio della Villa Puccini a Torre del Lago. Benché manchino datazioni autografe nella maggior parte dei brani, è assai probabile che siano stati composti nel decennio 1870–80 e che la loro creazione coincida con la formazione lucchese e lo svolgimento delle funzioni di organista, e vada posta in relazione con la composizione di pezzi sacri (come il Mottetto per San Paolino o l’inno Vexilla regis prodeunt), l’istruzione di cori e l’insegnamento dell’organo.
Divenuto autore di melodrammi di successo mondiale, Puccini avrebbe manifestato scetticismo sulle proprie attitudini nelle incombenze musicali del periodo giovanile («insegnare? che cosa? o se non so nulla, io – suonare l’organo? sì, con quella mano agile che mi rimpasto!»). Tuttavia, il repertorio di Sonate organistiche ora ricostituito rivela un musicista di sicuro mestiere, in grado di concorrere con originalità alla fase di transizione del genere ‘minore’ della musica liturgica. Le Sonate, infatti, offrono uno spaccato della prassi organistica lucchese (e più in generale italiana) nel momento in cui il gusto nella musica liturgica stava per abbandonare le maniere operistiche, prevalenti nel medio Ottocento, e incominciava a volgere verso lo stile più adeguato alla liturgia, incentivato nell’ultimo quarto del secolo dal ‘movimento ceciliano’. Le composizioni di Puccini recano tracce dello stile mondano declinante nella presenza pervasiva di melodie ritmate e sciolte, influenzate dai tipi bandistici, dai ritmi della marcia e dei ballabili (qui rappresentati al massimo grado nei n. 1, 4, 9–12). Mostrano invece un contegno musicale più devoto e adatto alla funzione nei brani di assorta condotta melodica (nel n. 2 intessuta anche di imitatazioni) e nei pezzi brevi di carattere preludiante (il n. 6) o di eloquente andamento cadenzante (il n. 7). Le estensioni delle parti per le mani destra e sinistra, l’uso parco della pedaliera – sia esplicito (come nei n. 2 e 7) sia implicito (come nel n. 6) – e il tipo di registri solistici espressamente richiesti (cfr. n. 4, 10, e 11) confermano che le Sonate furono scritte per gli organi di fabbricazione toscana suonati da Puccini a Lucca: strumenti a tastiera unica impostata sul registro Principale di 8 piedi, con una piccola pedaliera sempre unita al manuale e qualche registro ‘da concerto’ diviso in ‘bassi’ e ‘soprani’.
I tratti generali delle composizioni rientrano nei tipi musicali di vasta diffusione nel repertorio organistico italiano coevo (il carattere di improvvisazione come nei n. 1 e 3, la melodia di volta in volta cantabile, marziale o ballabile, parafrasata o d’invenzione) e sono conformi alle funzioni liturgiche della messa per organo costituita dai quattro brani per l’offertorio (il n. 1), l’elevazione (il n. 2), la consumazione (il n. 3) e il ‘dopo la Messa’ (il n. 4), col corredo di versetti più brevi, di vario carattere e per varie destinazioni: fra questi l’Allegro n. 6, che indugia in sequenze parallele di accordi rivoltati, secondo un procedimento che Puccini avrebbe utilizzato con efficacissima consapevolezza poetica nelle opere della maturità.
Il pezzo più rappresentato per il ‘dopo la Messa’ era la marcia, per la cui esecuzione colorita gli organi suonati da Puccini disponevano degli effetti del Timpano e della Banda turca, comprendente grancassa, ‘cappello cinese’ e campanelli. Nel repertorio pucciniano la marcia ha un corrispettivo funzionale nel valzer (cfr. il n. 4), tanto che in un caso, il n. 10, un “Tempo di Valzer” è incorniciato da una Marcia. Opzioni che, a fronte dell’assenza di valzer nei repertori organistici coevi, avvalorano la spregiudicatezza con cui il giovane Puccini contaminava la gioiosa solennità della musica liturgica col ritmo inequivocabile della mondanità borghese.
Bergamo, gennaio 2018
Virgilio Bernardoni
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LA PREFAZIONE UFFICIALE DEL VOLUME CON LE OPERE PER ORGANO DI GIACOMO PUCCINI
OLTRE AGLI SPECIMEN DI TUTTE LE COMPOSIZIONI***
PUCCINI E L'ORGANO [*]
Giacomo Puccini ha alle spalle quattro generazioni di musicisti: Giacomo senior (1712-81); Antonio (1747-1832); Domenico (1772-1815) ed il padre Michele (1813-64). Eccetto Domenico, gli avi di Giacomo furono Accademici Filarmonici di Bologna. Si ricorda che Mozart fece ‘carte false’ (e non è solo un modo di dire) per accedervi. Appartenere a questa Accademia conferiva dunque un prestigio che conferiva udibilità ben fuori dall’orbita provinciale.
La famiglia Puccini fu dunque conosciuta e apprezzata. Anche a ciò si deve la calda ospitalità di cui fu oggetto Domenico a Napoli, in casa del famoso operista Giovanni Paisiello.
Tutti i Puccini furono titolari sull’organo di S. Martino, Cattedrale di Lucca. Ciò significava godere non solo di autorevolezza, ma anche di un certo benessere economico. L’organista vi aveva infatti uno stipendio erogato dall’Opera Metropolitana della Cattedrale, eredità di un mondo che doveva progressivamente sottomettersi alle leggi del libero mercato. I musicisti saranno cioè sempre meno impiegati di autorità cittadine e sempre più liberi professionisti in cerca di opportunità.
Nel discorso commemorativo in morte di Michele Puccini, Giovanni Pacini, al tempo celebre, esclamò:
Voi fratelli dilettissimi, a cui i sensi di cristiana carità si caldamente parlano al cuore, ben volgerete un pensiero all’ottuagenaria madre del defunto, a una desolata sposa, ad un garzoncello solo superstite ed erede di quella gloria che i suoi antenati ben si meritarono nell’ arte armonica e che, forse, potrà far rivivere un giorno.
Mosco Carner, il critico pucciniano più intelligente, chiosa:
Così Pacini, nel discorso tenuto ai funerali di Michele, parlò di Giacomo come dell’«erede di quella gloria che i suoi antenati si erano conquistati nell’ arte dell’armonia, e che forse un giorno sarebbe stato in grado di resuscitare». Inoltre, il decreto con cui il 18 febbraio 1864 le autorità di Lucca installarono Fortunato Magi al posto di Michele contiene una clausola con cui si stabilisce che Magi «conservi e rilasci al Signor (sic!) Giacomo, figlio del prelodato fu Signor Maestro, il posto di Maestro Organista e di Cappella. . . appena che il nominato Sig. Giacomo Puccini sia abile al disimpegno di tale ufficio». Che a un bambino di sei anni si assicurassero in tal modo le cariche del padre è probabilmente un fatto unico nella storia della musica; certo dimostra un grande ottimismo da parte delle autorità lucchesi.
Tramite il biografo ufficiale Arnaldo Fraccaroli, è proprio Giacomo che ci racconta i suoi primi contatti con l’organo, che potrebbe essere stato proprio il suo primo strumento sperimentato prima della morte del padre Michele avvenuta nel 1864, quando Giacomo non aveva ancora compiuto sei anni. Egli racconta:
Mio padre mi accompagnava spesso con sé quando a Lucca saliva a suonare l’organo della cattedrale, e anche in casa mi portava dinanzi alla tastiera. Ma siccome io non ero pronto a toccare i tasti, egli aveva l’accorgimento di mettere delle monetine di rame sopra la tastiera. E io subito a correre con le manine e raccoglierle.
Sappiamo che Giacomo iniziò i suoi studi a sei anni: il 5 dicembre 1864, alla scuola dell’abate Luigi Nerici, autore di un importante Storia della Musica a Lucca. Fu inserito come soprano nelle voci bianche, mentre nel 1868 passò nei contralti. La scuola del Nerici impartiva comunque un’educazione generale in tutte le materie, ma le carte dicono che Giacomo era spesso assente. Ciò potrebbe confermare la sua fama giovanile di scavezzacollo. Ricordiamo che un suo insegnante (lo zio materno Fortunato Magi) non esiterà, ancora qualche anno dopo, a definirlo un ‘falento’.
Il 19 luglio 1868 Giacomo entra all’Istituto Pacini, iniziando così un importante corso di studi che culminerà con il perfezionamento in composizione al Conservatorio di Milano nel 1883.
Luigi Nannetti nota che nella Statistica classificata degli alunni iscritti alle scuole dell’Istituto Musicale Pacini pel corso scolastico dell’anno 1871-72, Puccini risulta iscritto ai corsi d’Armonia Pratica e d’Organo, entrambi tenuti da Fortunato Magi. Alla fine dell’anno riceve una menzione onorevole, ed è scelto come assistente al primo coro per la Festa di S. Croce […]. Ad una tradizione che ha voluto dipingere a lungo il Puccini studente come un allievo poco incline agli studi musicali e alla disciplina, quindi, si contrappongono dati che ne ribaltano la prospettiva, suggellata anche da testimonianze inconfutabili, come quella riportata in un attestato di lode firmato dal nuovo Direttore subentrato al Magi, Carlo Marsili (anch’egli già allievo del defunto Michele), che in data 1 agosto 1874 «[u.] certifica, che il Sig. Giacomo Puccini [u.] è fornito di non comune intelligenza e di moltissima attitudine per gli studi musicali […]».
Può dunque darsi che, nella fase pre-adolescenziale, Giacomo Puccini sia stato un lavativo. Ma, come afferma Giulio Battelli, è da sfatare «l’immagine di un ragazzo indomabile e quasi insofferente nei confronti della scuola», almeno dopo i tredici anni».
Battelli continua:
con l’anno scolastico successivo, il 1873-74, tutto torna alla normalità e gli studi di Giacomo riprendono a pieno ritmo: egli frequenta le scuole di Contrappunto e di Armonia teorica e pratica tenute ora da Carlo Angeloni e quella di Organo affidata a Carlo Giorgi, che sostituisce il Magi anche nell’incarico di organista della cattedrale, quell’incarico che Albina con ansia e trepidazione continua a considerare riservato al figlio per diritto di eredità, ma che non riuscirà mai ad ottenere nonostante le ripetute richieste. […] Giacomo in questo anno, il 1874, si distingue particolarmente, meritando il primo premio per l’Armonia teorico-pratica, il secondo premio per l’Organo ed una menzione onorevole per il Contrappunto. Ben tre riconoscimenti in un solo anno scolastico testimoniano certo della sua diligenza e del suo impegno, ma quello che riaccende le speranze di Albina è soprattutto quel secondo premio per la scuola di Organo e quando l’anno seguente Giacomo ottiene addirittura il primo premio la madre rompe gli indugi e il 25 novembre 1875 invia una lettera all’Opera della Metropolitana nella quale chiede la nomina ad organista per il figlio «ora che da molto tempo ha potuto disimpegnare detto ufficio e mostrarne sufficiente attitudine come risulta anche dal premio riportato in quest’ anno all’Istituto musicale “Pacini”». Fa inoltre presente che così i Puccini tornerebbero sull’ organo di S. Martino «ove da circa 200 anni erano stati».
Giacomo ha una madre meravigliosa, che, avendo conosciuto le ristrettezze, vuole sistemare suo figlio, garantendogli quel posto fisso di organista in Cattedrale potesse garantirgli stabilità e serenità. Pur confidando nelle doti di Giacomo, non poteva certo immaginare come e dove sarebbe potuto arrivare.
Colto forse un po’ alla sprovvista il Presidente dell’Opera della Metropolitana si rivolge allora al Soprintendente dell’Istituto musicale affinché gli fornisca «le precise informazioni sull’idoneità del Sig. Giacomo Puccini circa il disimpegno delle funzioni di organista di questa Cattedrale, avuto riguardo alla importanza dell’ufficio stesso». Il Soprintendente risponde dicendo di aver dato incarico ad una commissione di esprimere un parere al riguardo; la commissione era formata da Carlo Marsili, che aveva preso il posto di direttore dell’Istituto dopo le dimissioni del Magi, da Carlo Angeloni e dall’Abate Luigi Nerici; ne era stato escluso ovviamente Carlo Giorgi in quanto essendo l’organista della cattedrale in carica, era parte direttamente interessata.
Questo il giudizio dei tre maestri:
Ill.mo Sig. Sopraintendente
Chiamati dalla S.V. Ill.ma a emettere il loro parere relativamente alla lettera N°349 dell’ Opera della Metropolitana in data del 10 gennaio 1876, in ordine alla idoneità del giovine Sig Giacomo Puccini per il disimpegno delle funzioni di Organista di questa Cattedrale, avuto riguardo alla importanza dell’Ufficio stesso, i sottoscritti:
Considerando che l’ufficio di Maestro organista della nostra Cattedrale fino dal secolo decimo quarto è stato sempre conferito ai migliori suonatori d’organo che si potessero rinvenire; e che nei secoli posteriori fu sempre conferito non solo ai più esperti organisti, ma si richiese ancora in essi la qualità di Maestri Compositori, come si trova avverato (per tacere di altri) nelli organisti della famiglia Puccini cominciando dal Maestro Giacomo nel 1739 fino al defunto Prof. Michele. Considerando che il sopracitato Giacomo Puccini, quantunque suoni l’organo abbastanza bene da fare sperare che addiverrà un giorno bravo ed esperto organista, e quantunque questa speranza sia fondatissima, pure non ha ancora ultimato i suoi studi di accompagnamento, d’organo, e contrappunto, lezione che tuttora frequenta, e quelli di composizione, ai quali non si è per anco applicato: Considerando che per essere nominato all’ufficio di organista della chiesa principale della nostra città non basta la qualità di suonatore d’organo semplicemente, ma si richiedono ancora le qualità di inappuntabile accompagnatore non che di Maestro compositore:
Ritengono
Che presentemente non si trovino nel giovine Giacomo Puccini tutte le anzidette qualità, e sia necessario che egli faccia ulteriori studi.
Le motivazioni della Commissione sono indubbiamente valide, e non vi è motivo di pensare maliziosamente. Un Giacomo Puccini non ancora diciottenne poteva non essere del tutto all’altezza di un compito faticoso, importante e prestigioso quale quello di organista titolare in cattedrale.
L’anno scolastico 1876-77 è l’ultimo per quanto riguarda la classe d’Organo. In almeno sette anni di studi, Giacomo doveva aver accumulato un ottimo bagaglio di esperienza, in primo luogo accademica.
Battelli prosegue però il suo ragionamento:
le speranze di Albina sono dunque per il momento deluse, bisogna attendere ancora ed è necessario che il figlio si impegni a fondo per dimostrare che anche lui è in grado di comporre così come il padre e tutti i suoi antenati. Giacomo si da veramente da fare: continua a studiare composizione e contrappunto con l’Angeloni, armonia teorico-pratica e organo con il Giorgi e nel settembre del ’76 è ancora una volta primo fra i premiati della scuola di Organo. […] L’impegno continua costante anche nei due anni successivi e nel saggio di studi del 29 aprile 1877 Giacomo fa ascoltare un suo mottetto per baritono con coro a quattro voci e orchestra, presumibilmente quello che verrà poi eseguito insieme al Credo nel luglio dell’anno dopo, in occasione della Festa di S. Paolino. Nell’ estate del 1878 Giacomo dovrebbe così finalmente avere le carte in regola per assumere finalmente le mansioni di organista della cattedrale: ha concluso il corso di organo, ha dato prova di saper padroneggiare la composizione sia nel genere sacro che in quello profano, sta continuando brillantemente gli studi tanto che nel settembre gli verrà assegnato il primo premio per la composizione e il contrappunto, dunque non dovrebbero sussistere impedimenti di alcun genere. Albina allora prende di nuovo il coraggio a due mani e il 30 luglio 1878 torna a scrivere all’Opera della Metropolitana dicendo che dal momento che Giacomo «ha dato saggio di composizione a piena orchestra, ella crede di tornare ora a rinnovare l’umile di manda che volessero nominarlo a sonatore di Organo della Cattedrale, ufficio che fino al tempo della morte del Prof. Michele Puccini fu dal Consiglio dell’Opera deliberato, si facesse provvisoriamente adempiere da altro maestro finché il giovane Puccini non fosse in grado di adempierlo».
Da quanto si legge in questa lettera sembra che ella non sapesse che il Consiglio dell’Opera aveva accettato solo in parte le proposte del fratello [Fortunato Magi] riservandosi piena libertà riguardo alla successione al posto di organista; in ogni caso questa volta Albina sembra decisa a fare sul serio: non si limita infatti a scrivere all’Opera della Metropolitana, ma coinvolge nel suo esasperato tentativo anche il Prefetto di Lucca al quale in quello stesso 30 luglio invia una lettera nella quale ricorda come i Puccini abbiano per due secoli occupato il posto di organista della cattedrale e ribadisce che il Consiglio dell’Opera si era impegnato, alla morte del marito, a riservare il posto a suo figlio non appena questi fosse stato in grado di ricoprirlo. Narra poi della sua precedente domanda ed espone i motivi del rifiuto, facendo notare che, grazie ai lavori di Giacomo, questi dovrebbero essere rimossi; inoltre «presso l’Opera […] è un certificato dell’illustre Cav. Marsili […] ove si fa fede che avendolo egli sentito sonare nell’ occasione della Festa di S. Croce, lo giudicò abilissimo a disimpegnare l’ufficio».
Il Prefetto ovviamente non poteva far altro che caldeggiare la richiesta di Albina la quale non avendo ricevuto alcuna risposta, il 20 dicembre 1878 inoltra una nuova istanza all’Opera della Metropolitana dove si scusa per la nuova supplica e fa riferimento agli attestati già presentati, soprattutto quello di compositore, e qui si presuppone voglia alludere alle musiche da lui composte. Chiede infine, in attesa della nomina, che le si venga in aiuto accordandole un qualche sussidio.
Anche in questo caso Albina probabilmente non ebbe risposta e forse fu proprio lei ad incaricare Nicolao Cerù, parente e tutore di Giacomo, ad inviare il 16 aprile 1879 un’ultima supplica all’Opera della Metropolitana dove, oltre alle solite cose, egli afferma che Carlo Giorgi veniva già da anni avvicendato da Giacomo Puccini. Con questa lettera del Cerù, anch’essa senza risposta, terminarono i tentativi che volevano fosse proseguita la tradizione che vedeva i Puccini organisti in Lucca. Il resto è storia conosciuta: […]. I suoi rapporti con l’ambiente musicale lucchese non cessarono però con la sua partenza per Milano e non sembra poi così vero che egli se ne andò via sbattendo la porta in faccia a coloro che lo avevano rifiutato. Giacomo Puccini continua a partecipare alle musiche per le feste di S. Croce ancora negli anni 1881 e ‘82 nel ruolo di organista supplente.
Il matrimonio non s’aveva da fare. Giacomo Puccini e l’organo della Cattedrale di Lucca erano destinati a separarsi per sempre. Eppure, durante i suoi studi a Lucca, Puccini sembrava essersi votato all’organo. Forniva i suoi servigi in numerose chiese di Lucca e provincia: a S.Pietro Somaldi (dove gli aveva trovato posto il suo insegnante Carlo Angeloni) e a San Lorenzo in Farneta rimangono ancora la sue firme sugli organi (a Farneta c’è anche la data: 24-25 [sic] ottobre 1879), ma sappiamo inoltre che suonava sicuramente a S.Giuseppe, San Gerolamo, alla chiesa dei Servi dalle monache benedettine, a Mutigliano, a Celle ed a Pescaglia.
Ne era pure retribuito con quella che, parlando con il librettista Giuseppe Adami, lui stesso definisce ‘cartuccia’: Era la cartuccia – mi spiegava il maestro – un involtino tondo tondo che racchiudeva a pila quei quattro o dieci soldini che mi davan per ogni prestazione le monache. Le quali v’applicavan su il loro bravo suggello di ceralacca forse perché non mi venisse la tentazione di aprire e sottrarne qualcuno per comperarmi le noccioline o il castagnaccio. La tentazione -diceva Giacomo- c’era sempre. Ma la mamma, non appena tornavo a casa si faceva consegnare il rotolo, ché, in tempi di magra, poveraccia, e con tanti figlioli, a qualcosa serviva anche quello. Un giorno però il diavolo la vinse sul dovere. E un po’ per la mia tendenza malandrina, un po’ per consiglio dei compagni, la cartuccia fu sparata tutt’intera in comuni bagordi.
Ma Giacomo aveva un’altra fonte di guadagno: il sarto porcarese Carlo Della Nina, il solo allievo che Puccini abbia mai avuto. Alfredo Bonaccorsi, che, come si evince dalla citazione, aveva visionato le prime composizioni pucciniane per organo, ci illustra così non solo questa esperienza, ma fa un quadro interessantissimo dell’attività organistica di Giacomo nella provincia di Lucca.
Non ci dilungheremo a narrare la vita dell’ultimo Giacomo, da tutti conosciuta: daremo piuttosto qualche notizia del periodo poco noto della sua prima giovinezza trascorsa in Lucca […]. In quel periodo, Giacomo ebbe allievo un sarto di Porcari, certo Carlo Della Nina, per il quale scrisse dei pezzi per organo, che gli furono compensati oltre la lezione, con la modesta cifra pattuita di sessanta centesimi l’uno! Il Della Nina era coetaneo del Maestro, essendo nato nel 1858. Come organista doveva avere una certa abilità, a giudicare almeno dalla musica che eseguiva nella chiesa di S. Giusto, il patrono del suo paese, e che abbiamo potuto esaminare, e dal fatto che, per le feste solenni, egli veniva richiesto dalle pievi vicine. A sedici anni incominciò a prendere lezioni dal Puccini. Per quattro annI, e cioè dal 1874 al 1878 (Puccini partì per Milano nell’autunno del 1880), il Della Nina si recò puntualmente a Lucca, in diligenza, una volta la settimana e precisamente la domenica.
Giacomo fu organista nelle chiese di Mutigliano, di S. Pietro in Somaldi, nell’oratorio delle monache benedettine di S. Giuseppe e S. GeroIamo. In quel tempo componeva, studiava, dava lezioni, sonava l’organo, ma la sua mente era già rivolta al teatro. Motivi d’opera lo tentavano sull’organo, e li ritroviamo infatti abbozzati (Rigoletto, Guarany) nelle composizioni scritte per il Della Nina.
Di queste esercitazioni musicali nelle chiese di Lucca parlano i suoi biografi Paladini e Fraccaroli, narrando che le improvvisazioni del Puccini facevano palpitare le monache, brontolare i preti e bisbigliare i fedeli. Finalmente, ricordandosi di essere in chiesa, egli trasaliva nella penombra dell’organo e ritornava alla «musica grave».
I manoscritti pucciniani hanno poche cancellature; qualche battuta qua e là è soppressa: l’autore scriveva in un tono, poi, pentito, passava in un altro, con maggiore effetto. Tra queste composizioni, una delle quali è firmata, vi sono alcune marce.
I manoscritti di cui parliamo sono quasi tutti nelle tonalità più comode e più usate: sol maggiore, re maggiore, do maggiore, ecc.
Alcuni di essi fanno pensare ai primi passi di uno scolaro, e furono senza dubbio improvvisati: accordi tenuti, quasi a preludio, arpeggi limitati all’ottava, accompagnamenti di danza, motivi faciloni (vi è anche un Tempo di valzer), fatti per piacere all’esecutore e, naturalmente, col gusto del tempo, al pubblico; e per la tastiera limitata di un organo di campagna. Qui l’uso del pedale è limitatissimo, e completa è l’assenza della sincope di cui Puccini si servì in seguito costantemente. Poi il piccolo pezzo si forma, pur mantenendo ancora il carattere dell ‘improvvisazione: Puccini si compiace delle terze e seste che gli furono care specialmente in Bohème e in Tosca.
In alcuni pezzi troviamo degli accordi che traducono già una sensibilità armonica appena nascente; in essi la linea rivela un progresso; i canoni dell’armonia, dopo le prime composizioni dilettantesche, sono ormai familiari all’autore.
Dall’esame di tutti questi manoscritti, improvvisati, o quasi, fra i sedici e i venti anni, risulta però chiaramente che il Puccini non fu un precoce, perché qui la sua musica non ha mai un tratto di genialità e neppure di maturazione tecnica. È assai difficile infatti, che qualcuno, leggendoli, possa immaginarsi che essi furono scritti dal celebre maestro, dal raffinato e moderno armonista quale fu il Puccini specialmente nell’ultima produzione.
Ultimamente, alcuni di questi brani sono tornati alla ribalta. In occasione del novantesimo dalla morte di Puccini, il 29 novembre 2014 all’Auditorium Vincenzo Da Massa Carrara a Porcari, è risuonata una Marcia per organo, composizione scritta nel 1878 da un Puccini appena ventenne e destinata a un uso precipuamente chiesastico. Il manoscritto originale della Marcia è custodito proprio a Porcari e appartiene alla collezione privata dell’organista Andrea Toschi. La composizione era già stata eseguita il 19 luglio da Gianfranco Cosmi sul pianoforte Foerster nella Casa Museo di Torre del Lago. Andrea Toschi ha dichiarato che:
Il grande artista era sempre presente alla Luminara di Santa Croce, legatissimo alla Lucchesia, la sua terra del resto. Attraverso l’amicizia con Della Nina e con Demetrio Petri, mio pro zio – ha concluso Toschi – questo prezioso reperto è passato alla mia famiglia, eredità culturale immensa.
Altri spartiti inediti sono stati ritrovati da Giuseppe Della Nina, organista e maestro del coro nella parrocchia di Porcari. Erano a Chicago in casa di una lucchese. Trattasi di una decina di pagine, soprattutto per organo. Giuseppe Della Nina precisa che
Carlo Della Nina in realtà non era mio parente però mi ricordo bene di lui. Avevo 12 anni quando se ne andò negli Stati Uniti ma fino ad allora avevo condiviso con lui la grande passione per la musica, spesso lo ascoltavo suonare l’organo nella nostra chiesa. Vengo a sapere che proprio a Carlo, Giacomo Puccini ogni tanto cedeva qualche sua composizione a titolo di studio al prezzo di 60 centesimi. Nel libro di Berti [Aldo, autore della pubblicazione Puccini a Capannori] si parla anche del fatto che Carlo avrebbe conservato le composizioni di Puccini nel suo studio. Tutto questo fu rivelato dal maestro stesso in un colloquio che ebbe con un altro musicista lucchese.
Dichiarò anche che avrebbe riletto volentieri quegli spartiti. […] Tramite internet – spiega Giuseppe – sono riuscito a trovare il nome e l’indirizzo di Karl, uno dei due figli di Carlo Della Nina. Abita a Chicago, con la famiglia. Mi sono messo in contatto con lui, ho chiesto notizie degli spartiti, prezioso lascito del più grande di tutti i tempi. Carl mi ha informato che furono venduti all’asta, viste la difficoltà del tempo di tirare avanti la famiglia. Ma le copie ci sono ancora e me le ha trasmesse.
A proposito di aste, il 17/18 novembre 1988 Sotheby ha battuto (numero 424 del catalogo) 14 composizioni giovanili pucciniane per pianoforte e tre per organo. È probabile che fossero le composizioni visionate da Alfredo Bonaccorsi. Anche Mosco Carner si era diffuso anche su queste composizioni senza alcuna ambizione:
Alcuni di questi lavori furono in origine improvvisazioni, stese in seguito sulla carta. L’arte di improvvisare era ancora viva a quei tempi e pare che Puccini spesso facesse tremare preti e fedeli introducendo nelle sue fantasie brani tolti da canzoni-popolari toscane o da opere celebri, specie durante la cosiddetta marcia, con la quale secondo un’antica tradizione lucchese l’organista accompagnava l’uscita dei fedeli dalla chiesa. Le libertà che si prendeva provocarono molte lamentele, e il giovane compositore fu aspramente redarguito dalla sorella più grande, Iginia, che allora stava per prendere il velo come agostiniana, col nome di Suor Giulia Enrichetta. La risposta di Puccini fu che, mentre la musica seria era certamente appropriata durante la funzione, non vedeva ragione perché all’uscita di chiesa non si addicessero accenti allegri. «Ma tu stai cercando di portare il teatro in chiesa» fu la replica di Iginia – indubbiamente esagerata, ma significativa perché mostra il graduale emergere in Puccini di un’inclinazione all’ opera, chiaramente constatabile in alcune delle composizioni di questo periodo che ci sono state conservate come organista.
Effettivamente, anche il compositore confida al biografo Fraccaroli le difficoltà dovute alla sua esuberanza non solo musicale.
Ma come organista veniva facendosi una certa rinomanza. Di quelle prime esercitazioni musicali in pubblico ho raccolto qualche gustoso particolare. Quando nelle feste solenni il ragazzo suonava l’organo nella chiesa delle Benedettine, via via correva sotto la navata un bisbiglio di stupore e di curiosità profana. Le donne si volgevano verso l’organo, meravigliando. I sacerdoti brontolavano, e il pallido viso delle monacelle benedettine si illuminava di indefinita poesia. Gli occhi delle altre pietose ascoltatrici luccicavano timidamente. Il giovane organista era stato a teatro, e i motivi uditi gli frullavano nella fantasia, lo tentavano. Inconsciamente egli accennava un motivo teatrale, poi inebriato improvvisava, variando, fiorettando, ricamando, colorendo. Poi si rammentava di essere in chiesa: trasaliva, e riprendeva il pezzo grave secondo la funzione religiosa.
Una volta successe un guaio: dall’organo sparirono parecchie canne. Che cos’era avvenuto? Gli amici di Puccini, i suoi diversi tiramantice, le avevano portate via e le avevano vendute per comperarsi le sigarette. Quando Giacomo dovette mettersi a suonare, gli amici colmavano a tempo con la voce le lacune delle canne mancanti.
A parte gli abbozzi ritrovati recentemente, è lecito chiedersi cosa rimanga dell’esperienza pucciniana all’organo. La risposta non è delle più soddisfacenti. Anteriore al 1880 è il Vexilla a due voci, dove l’organo accompagna tenore e basso, composto per il farmacista Adelson Betti, organista e maestro del coro a Bagni di Lucca. Rimangono pure 12 fughe non scritte per organo ma facilmente adattabili allo strumento. Probabilmente sono esercizi per il corso di composizione seguito a Milano.
Il Salve Regina del 1883, riutilizzato poi ne Le Villi, è per soprano e piano o armonium. Ritroveremo l’armonium nel sinteticissimo e algido Requiem scritto da Puccini nel quarto anniversario (27 gennaio 1905) della morte di Giuseppe Verdi.
Tre sono le comparse dell’organo nelle opere pucciniane: nel primo atto di Edgar, alla fine del primo atto di Tosca e nel finale di Suor Angelica. Pur essendo utilizzi sporadici, risultano tutti non solo di grande raffinatezza drammaturgica, ma anche di grande effetto spettacolare.
All’inizio dell’aria «Ch’ella mi creda» de La fanciulla del West compare una prescrizione assolutamente particolare: legando come organo. Sicuramente Puccini intendeva rifarsi ad una pratica fondamentale dell’esecuzione organistica, il ‘legato’ appunto. Ma chissà che, dall’alto della sua enigmaticità, Puccini non intendesse riferirsi alla composizione tardo-medievale tipica della Scuola di Notre Dame.
Nell’ambito della manifestazione I giorni di Puccini 2015, l’eminente studioso Fabrizio Guidotti si è chiesto che tipo di composizione per organo sarebbe stata quella concepita da Puccini, se le richieste di sua madre fossero state esaudire e lui si fosse insediato all’organo di S. Martino, lasciando perdere le sirene precipuamente melodrammatiche.
A questo punto potrebbe sembrare più che logico, come prima sembrava logico per un Giacomo Puccini di professione organista, ma di ispirazione operista, accogliere l’eredità del nonno Domenico, che Giacomo si facesse anche lui ceciliano e riformatore, sulla linea del padre Michele e del canonico Santucci. Deludente forse e quasi paradossale. […] Col suo innato temperamento drammatico, Puccini non avrebbe potuto fare le sue scelte stilistiche senza penetrare l’oggetto di rappresentazione. E in quel periodo storico l’oggetto più sensato e più drammatico di rappresentazione, in cantoria, all’organo, era la chiesa stessa. Il suo dramma era la chiusura su sé stessa, l’auto-emarginazione, nel linguaggio musicale così come nella competizione politica. […] Parafrasare la musica teatrale e bandistica, se non addirittura trascriverla direttamente, è stato a lungo nel periodo risorgimentale il modo per blandire la comunità dei fedeli, un metodo di ‘allettamento’ (quello dell’‘allettamento’ del pubblico di chiesa attraverso la musica è un concetto che affonda le radici nella cultura barocca). Ciò era accaduto con qualche tacito avallo da parte della chiesa, visto che la pastorale ottocentesca si preoccupava molto dell’efficacia verso le masse; il punto di vista laico e quello ecclesiastico si incontravano nel favorire, almeno nella pratica, un linguaggio musicale e di conseguenza organistico che non fosse autoreferenziale, chiuso e riservato, bensì capace di larga comunicazione. Quando la situazione cambia, e chiesa e stato si separano, l’adozione dei modelli esterni viene osteggiata con maggior forza ed è probabile che ciò si ripercuotesse sulla coscienza degli ascoltatori; tanto più in una città ‘bianca’ e clericale come Lucca. […] Per l’efficacia ‘teatrale’ e rappresentativa della cantoria, l’organista poteva a quel punto condividere con il pubblico dei fedeli il dramma dell’isolamento e della sospensione storica. E così avrebbe fatto Puccini, a mio parere, accentuando forse ad arte il richiamo ai modelli antichi; magari recuperando i modi gregoriani, e introducendo a Lucca quel neo-modalismo che sarà una risorsa importante per la musica di chiesa dell’Otto e del Novecento. […] Chiudo ricordando che quando Santucci iniziò il suo canonicato in S. Martino, all’organo sedeva spesso Domenico Puccini; il quale, pur scomparendo in età ancora relativamente giovane, ebbe sicuramente tempo a sufficienza per ispirare a Santucci buona parte di quelle invettive. Domenico, come Giacomo, ebbe la vocazione del teatro. Lui poteva ancora concepire l’organo come uno specchio musicale del mondo esterno, e portare l’opera in chiesa. Il Giacomo organista si sarebbe invece trovato ad agire quando l’organo fu costretto a specchiarsi nel suo passato; e forse, con la sua genialità, avrebbe trovato una terza via, qualcosa di originale a cui i compositori ceciliani non sono mai giunti.
La terza via alternativa alla musica di derivazione operistica o a quella del cecilianesimo compìto è assolutamente condivisibile. L’ammirazione di Puccini per Wagner lo avrebbe sicuramente portato molto lontano dalle ‘galanterie’ e giocosità operistiche. In un quaderno di appunti del corso di Letteratura Poetica e Grammatica seguito quando era studente al Conservatorio di Milano (1880-83) si legge: «Giacomo Puccini. Questo grande musicista nacque a Lucca l’anno … e puossi ben dire il vero successore del celebre Boccherini. Di bella persona e di intelletto vastissimo portò nel campo dell’arte italiana il soffio di una potenza quasi eco dell’oltralpica wagneriana».
Si rammenti anche la sua effettiva parabola operistica, pur partendo dalla brillantezza degli ‘spezzatini’ di Bohème, egli giunge nelle ultime opere ad un linguaggio musicale asciutto, che permetterà a Mosco Carner di parlare di ‘periodo classico’. Ciò, unito ad un pur originale ma progressivo percorso spirituale volto a credere in un Dio buono e misericordioso (si rammenti che la redenzione in Fanciulla del West fu voluta ed immessa solo per volere pucciniano), lo avrebbe sicuramente condotto ad un linguaggio musicale non si sa quanto dotto, ma certo nuovo e profondo.
[*] articolo pubblicato nel volume unico Parrocchia di S. Lorenzo Martire in Farneta. Inaugurazione del restauro dell’organo di Odoardo Landucci e figli (1869), 3 gennaio 2016, a cura dell’Associazione Domenico di Lorenzo (Lucca)