Pagare l'organista o non pagarlo?

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Autore: don Valentino Donella già Maestro della Cappella Musicale della Basilica di S. Maria Maggiore in Bergamo e direttore responsabile del Bollettino Ceciliano

Il parere di don Valentino Donella

La questione della remunerazione degli organisti di chiesa

Messa così la questione non ha senso; come pure non ha senso limitarsi alla considerazione che il suo è un servizio doveroso alla comunità, come quello del catechista o delle signore che il lunedì mattina puliscono la chiesa. C'è bisogno di qualche riflessione in più.

 

Cosa vuol dire essere organista, nel senso liturgicamente più pieno della parola? Significa essere titolari di una ministerialità prevista e auspicata, in ogni caso preziosa nella celebrazione ideale dell'Eucaristia e nella formazione alla preghiera dei fedeli (vero ministero di fatto). Significa, più in concreto, entrare convintamene in un progetto liturgico ecclesiale e comunitario, adeguando il proprio stile di vita, generosamente e in tutta disponibilità. Da questo punto di vista e in questa logica - un po' astratta e idealistica, in verità - non risulterebbe strano aspettarsi dall'organista una prestazione disinteressa e gratuita. Sarebbe bellissimo: dal punto di vista evangelico ed... economico. Senza ironia. Ma ci sono altri aspetti da tenere presente.

 

 

Effettivamente l'organista ha un percorso di studi lunghissimo e tra i più impegnativi; paragonarlo ad altri personaggi che collaborano in chiesa o ai maldestri suonatori di pianola che infestano le cantorie è per lo meno fuori posto: non si può fargli rimprovero se legittimamente egli aspiri a poter vivere, almeno in parte, della sua alta professionalità, specialmente se venisse a trovarsi senza altri possibili introiti. Né più né meno delle suore che confezionano le ostie per l'Eucaristia, facendosele giustamente pagare.

 

 

Poi bisogna distinguere tra la piccola parrocchia, senza risorse, e la chiesa facoltosa di un grosso centro; tra la cappella di un istituto e la cattedrale dove l'attività liturgica è intensa e la presenza dell'organista indispensabile per il prestigio della stessa. Bisognerà considerare se all'organista è chiesto di suonare una sola messa alla domenica o di essere disponibile tutti i giorni della settimana per funerali, matrimoni o altri servizi collaterali, come spesso succede in Germania. Vedere se non ha altre risorse (come s'è detto) o se è in grado di vivere in maniera dignitosa e indipendente con un‘altra attività: nel qual caso sarà lui stesso a considerare volontariato una eventuale sua prestazione all'organo della chiesa; il più delle volte succede così. A seconda dei casi, dunque, va impostato il rapporto economico con l'organista.

 

 

Sempre evangelicamente, da una parte e dall'altra, perché anche in questo campo vale il monito "l'operaio è degno della sua mercede". Un contratto nazionale, però, sembra improbabile, non pratico, per la grande varietà delle situazioni. Meglio la soluzione, sollecita e onesta, caso per caso. La pratica del volontariato è sempre valida e auspicabile, senza dubbio, ma anche pericolosa perché si rischia di avere l'organista solo nelle domeniche piovose, cioè quando egli non può andare al mare o in montagna. Sostituire un lettore o il sacrista è possibile, trovare un sostituto dell'organista non è così facile. Se una comunità ci tiene al suo organo e ad un bravo organista che lo suoni, farà di tutto per tenerlo legato, magari con un contratto vero e proprio, che non deve puzzare sotto il naso di nessuno.

 

 

E' quello che la Chiesa e le chiese hanno fatto per secoli, sapientemente dobbiamo dire. Andate a spulciare negli archivi: troverete che anche le piccole parrocchie stilavano un contratto con l'organista (come per i cantori delle cappelle, grandi e piccole), con allegato il calendario delle celebrazioni annuali e di conseguenza l'elenco degli impegni obbligati per il musicista. Al mio paesello l'organista aveva perfino la casa gratis da parte della parrocchia. Nonostante che nel '600-‘700-‘800 ci fosse molta più povertà che non ai nostri giorni. Ciò che manca oggi è la coscienza della ministerialità dell'organo, quella che gli riconosce la costituzione conciliare al n. 120: "aggiungere splendore alle cerimonie" ed "elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti". Purtroppo, invece, che ci sia non ci sia lo "strumento tradizionale" e l'organista, perfino il giorno di Pasqua, non è un problema. Meglio, anzi! Così si evita un conflitto con le chitarre dei giovani, le quali, oltretutto, costano meno e rappresentano una vera e moderna operazione pastorale! Mancanza di coscienza che vuol dire ignoranza della forza elevante dello strumento a canne, insensibilità alle brutture musicali che hanno stabile dimora nelle liturgie festive, disistima per la professionalità del musicista e dei vantaggi spirituali legati alla sua opera qualificata.

 

 

E' un fatto, quindi, di decadenza liturgico-culturale che sta alla base di tutti i problemi della musica sacra italiana. Situazione di degrado spirituale, intimamente collegata col degrado musicale, contrabbandata con le più belle definizioni della pastoralità aggiornata. Non è questione di soldi, che ci sono generalmente, ma di (in)cultura, cosa ancora più grave. Come si sia arrivati a questo sarebbe lungo da spiegare. Probabilmente fa parte di quell'interpretazione cervellotica dello spirito del concilio che, a detta di Benedetto XVI, ha provocato tanta confusione in tutti i settori (ermeneutica della rottura). Certo è che se non ci si impegna a togliere questo grosso ostacolo fatto di ignoranza, di insensibilità, di disorientamento nel clero, nei vescovi e, di conseguenza, tra i fedeli spesso vittime ignare ... non si può sperare nella soluzione dei problemi degli organisti, tanto meno del loro giusto compenso. Problemi che in realtà non sono degli organisti soltanto, ma dell'intera comunità cristiana; la quale si illude di essere più in linea col vangelo ed invece, in questo, si rivela meschina.

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