Abbasso l'organo digitale, viva l'HARMONIUM !

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Autore: Simone Quaroni concertista di harmonium, organista e compositore

Sezione Articoli

Simone Quaroni propone alcune riflessioni alla luce della sua esperienza di organista e di appassionato suonatore di harmonium.

Perché nelle chiese si preferisce spendere denaro per organi digitali che producono suoni finti e non si spende l’equivalente per l’acquisto e/o il restauro di un buon harmonium?

Italia

 

[Dominio Orchestral Organ - collezione Alessandro Venchi, restaurato in proprio 2019/2021, collocazione in abitazione privata”; cliccare sull'immagine per una video-dimostrazione a cura di Simone Quaroni]

 

 

Perché nelle chiese si preferisce spendere denaro per organi digitali che producono suoni finti e non si spende l’equivalente per l’acquisto e/o il restauro di un buon harmonium?

 

 Rispondo a questa domanda con alcune riflessioni alla luce della mia esperienza di organista e, da qualche anno, di appassionato suonatore di harmonium, a seguito di incontri con varie persone nel contesto liturgico ed ecclesiastico.

 

1)      Quando parlo di harmonium in determinati contesti ecclesiastici, al mio interlocutore purtroppo viene alla mente il medio-piccolo strumento di mediocre fattura italiana novecentesca che spesso si ritrova nascosto da ciarpame vario nel basamento del campanile, in qualche sgabuzzino con arredi dismessi oppure ancora in chiesa in qualche angolo ma, in ogni caso, in condizioni critiche. Risulta così difficilissimo portare l’interlocutore verso una maggiore considerazione della categoria degli harmonium di fronte ad esempi di strumenti come questi perché, come dice Alphonse Mustel nel suo trattato, la stragrande diffusione di strumenti di bassa qualità a basso prezzo ha compromesso buona parte del successo e dell’immagine dell’harmonium “d’arte” già nei suoi primi decenni di vita quando era in pieno sviluppo. Non potendo disporre con facilità di harmonium di qualità e perfettamente funzionanti da offrire come esempio ai nostri interlocutori, risulta a volte arduo instradare qualsiasi discorso.

 

2)      Presupponendo come esempio una condizione ideale per far musica, non difficile da realizzare oggi, cioè disporre di un buon strumento francese con almeno i classici 4 registri e mezzo, restaurato ed obbediente alle istruzioni del musicista, si nota che per molti l’approccio con lo strumento sembra presentare un passaggio quasi insormontabile: pompare aria con i piedi mentre si suona con le mani. Se si esclude un discorso di uso dell’“Expression”, anche un non-professionista potrebbe suonare l’harmonium senza particolare difficoltà e infamia: basterebbe usare il mantice come riserva preoccupandosi solo di “pedalare” con naturalezza e regolarità per tenerlo pieno d’aria. Con l’esperienza sensoriale degli arti e l’ascolto si avverte il variare della riserva e ci si può regolare. Tuttavia ho la sensazione che l’indipendenza delle funzioni di mani e piedi, oggi, sia cosa sconosciuta fuori degli organisti professionisti; quel che è peggio, vedo sparire la propensione ad impiegare un minimo di tempo per acquisirla e per di più per un fine nobile e prezioso che è l’esecuzione musicale liturgica. In questo mondo di salutisti che fanno jogging e sport vari nei momenti più impensati della giornata seguendo le mode di internet e della TV, non capisco come non si possa accettare un discreto e discontinuo impegno “fisico” per tutto il tempo dell’esecuzione. Probabilmente la tecnologia informatica del “plug and play” – che traduco all’incirca come “collega e usa” – se da un lato facilita fino a ridurre a zero il tempo per approcciare un apparecchio ed imparare a servirsene, dall’altro diventa una filosofia che spegne in noi inesorabilmente, senza che ce ne accorgiamo, la propensione ad accettare che ci possono essere alcuni necessari passaggi prima di poter fare bene qualcosa e che spetta a noi capire, a nostre spese di tempo e di fatica, come affrontare la situazione.

 

3)      Una grande preoccupazione in molte chiese al giorno d’oggi è la potenza delle amplificazioni, sia degli strumenti che delle voci. Gli impianti microfonici sono tra i più costosi apparecchi di cui quasi nessun parroco può evitare di curarsi, mi pare serpeggi un diffuso timore che i fedeli non vengano adeguatamente raggiunti dalle fonti audio e che per questo ci possano essere gravissime conseguenze. Sembra vigere la regola del “melius est abundare quam deficere” anche per l’amplificazione delle tastiere e degli organi digitali, che spesso vengono forniti di altoparlanti esterni poderosi, regolati “a orecchio”: il che non sarebbe disdicevole se l’orecchio fosse quello di un musicista che sa intervenire sui potenziometri per avere suoni bilanciati nei bassi-medi-acuti adatti all’acustica della chiesa e coerenti con i timbri dello strumento. Ma molte volte ho trovato organi digitali di effetto innaturale perché le amplificazioni esterne non sono adatte oppure sono tarate da personale non musicalmente preparato. Eventuali consigli non sono stati molto ben accetti. La disgraziata conseguenza è che l’abitudine a queste deformità non permette più all’orecchio medio di “accontentarsi” della morbida potenza naturale dei suoni dell’harmonium, che si fa strada nell’acustica giocando con il calore avvolgente del suo timbro e non con ondate di Decibel. Una delle mie maggiori delusioni fu accompagnare ad un concerto un coro che, ad onta dell’esperienza, non era in grado di cantare e mantenere l’intonazione sopra il suono rotondo e sontuoso del grande harmonium francese con 16’-8’-8’-4’ che aveva davanti.

 

4)      Ammesso pure che la chiesa disponga di un raro caso di harmonium meritevole, ho trovato il più delle volte difficile far concepire una spesa dell’ordine di 2-4 mila euro (in media) per un restauro più o meno esteso e mirato a recuperare una funzionalità corretta e soddisfacente. Si accetterebbe invece di spendere migliaia di euro per lo strumento elettronico, che rappresenta l’ideale di una soluzione definitiva, acusticamente efficace, di facile maneggio e quindi alla portata di suonatori di qualsiasi esperienza, soprattutto dei faciloni che potrebbero sollevare pericolose obiezioni verso soluzioni strumentali più… professionali. Ma in chiesa dovrebbe essere disdicevole pretendere professionalità?

 

5)      La relativa varietà di timbri è un altro aspetto che qualcuno mette contro l’harmonium, che continua a soffrire l’equivoco storico – anche da parte di professionisti non molto informati e non molto obiettivi – di essere il sostituto povero dell’organo. Al di là del fatto che è uno strumento nato per esigenze profane e trapiantato in chiesa per comodità, contro quasi la sua stessa natura, esso dispone certamente di timbri differenziati, anche se le differenze non sono drastiche come in un organo p. es. tra un Flauto e una Tromba e obbediscono ad altri criteri. Ebbene, il ricordo evocato nella media dei miei interlocutori dal “caro” vecchio harmonium italiano è quello di una specie di grossa fisarmonica, per cui tutta la categoria di strumenti viene etichettata come “fisarmoniconi”, con l’aggravante che “sono sempre scordati”. Molti organisti, peraltro, vedono nell’harmonium una replica di timbri che differiscono solo per altezza di tono e che quindi non si prestano a diversi impasti di colore. Peccato avere una tale scarsa considerazione, poiché l’harmonium è uno degli strumenti più “sinfonici” che esistano e alcuni precisi canoni di registrazione ne mettono in luce diverse anime. Se compositori del calibro di Franck e Karg-Elert, per citare solo due monumenti della Storia dell’organo, hanno preso sotto la loro ala questo strumento dedicandogli centinaia di pagine e contribuendo a forgiare il suo linguaggio specifico e le forme musicali più adatte, forse ci sarebbe da riflettere.

 

Conclusione. L’harmonium, fatti salvi casi eccezionali, è percepito come strumento insufficiente, indecoroso, faticoso, difficile da approcciare, costoso nel restauro e nella manutenzione. Le “magie” dell’elettronica lo fanno apparire superato. Mi domando perché in un’epoca di tanta scientificità – a volte davvero eccessiva – applicata allo studio del repertorio e della prassi esecutiva di qualsiasi strumento, non si riesca e non si voglia – in Italia – affrontare lo studio dell’harmonium e rimetterlo al giusto posto nella schiera degli strumenti musicali. Basta consultare note piattaforme di annunci on-line per trovare in vendita, per cifre a volte ridicole, centinaia di strumenti storici di eccellenti manifatture europee o statunitensi, sia a pressione (harmonium propriamente detto) che ad aspirazione (il “reed-organ”, altro strumento sulle cui doti ci sarebbero ore da spendere in spiegazioni); le biblioteche on-line possono fornire trattati di svariati autori e moltissimo repertorio; alcuni organari hanno ormai imparato a restaurare correttamente questi strumenti, con risultati eclatanti, soprattutto se si tratta di manifattura francese (Mustel, Alexandre, Debain, Couty & Richard per fare solo alcuni esempi). Eppure tutto questo non basta a ridare splendore all’harmonium, in Italia, neanche quando il suo servizio in chiesa sarebbe molto più prezioso, caratteristico, duraturo e di qualità rispetto alle apparecchiature elettroniche. Tutto sta purtroppo al senso dell’arte e del bello che gli uomini maturano nelle varie epoche storiche; certamente nell’attuale epoca della digitalizzazione, dell’automazione, del “pronto uso”, della pretesa di concedere tutto a tutti perché nessuno venga escluso, una vecchia e gloriosa macchina da musica non conta più niente, soprattutto se per dare tutta sé stessa con serietà chiede all’esecutore di dare tutto sé stesso, anche con il fisico, con altrettanta serietà e metodo quotidiano.

 

Simone QUARONI

 

 

 

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