La funzione didattico-rappresentativa dell’organo si manifesta nella prassi dell’alternanza o alternatim. Il primo documento musicale ad oggi noto attestante questa pratica si trova nel Codice di Faenza redatto attorno all'anno 1400. Ma una precedente, illustre testimonianza si può ricavare dal IX Canto del Purgatorio dantesco:
Io mi rivolsi attento al primo tuono,
e Te Deum Laudamus mi parea
udire in voce mista al dolce suono.
Tale imagine a punto mi rendea
ciò ch'io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea,
ch'or sì, or no s'intendon le parole.
(Purgatorio Canto IX, vv. 139-145)
Il presente riferimento da parte di Dante non solo indica un'origine medievale di questa prassi, ma anche una sua già considerevole diffusione alla fine del XIII secolo. Era questo il modo di eseguire in canto e musica quasi tutti i testi dell’ordinario della messa (Kyrie, Gloria, raramente il Credo, Sanctus, Agnus Dei), il cantico del Magnificat e alcuni inni. I versetti di ciascuno di questi testi venivano affidati alternativamente al coro che li cantava in gregoriano e all’organo che, quindi, si sostituiva al testo letto. Ad esempio, nel Kyrie, le complessive nove invocazioni (3 volte Kyrie eleison, 3 volte Christe eleison e 3 volte Kyrie eleison) venivano eseguite le dispari dal coro e le pari dall’organo. Oppure, per il Magnificat, il coro cantava il primo versetto (“Magnificat anima mea Dominum”) e l’organo rispondeva con il secondo (corrispondente alle parole “Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo”); a sua volta il coro rientrava sul terzo versetto (“Quia respexit”) etc.
I brani organistici, essendo sostitutivi di alcuni versetti del testo, venivano analogamente definiti versetti. Questa prassi si è mantenuta fino al Concilio Vaticano II ed ha, tra l’altro, determinato una fiorentissima letteratura di versetti d’organo, dal Rinascimento fino a tutto l’Ottocento. E’ evidente la distanza enorme che intercorre tra la pratica antica (ma non troppo) dell’alternatim e le abitudini odierne: le norme attuali esprimono la preoccupazione di una comprensibilità assembleare dei testi (di qui l’uso della lingua italiana e la pronuncia integrale, letta o cantata), mentre nella liturgia preconciliare, appunto, vigeva la lingua latina e, addirittura, brani fondamentali come il Gloria, il Magnificat, il Sanctus, ecc. venivano letteralmente dimezzati, essendo una metà sostituita da brani d’organo.
Questa prassi – apparentemente illogica e assurda – in realtà non voleva costituire un ostacolo alla diffusione e alla comprensione generale di quei testi. E’ evidente che ben altri erano gli ideali che sostenevano quella prassi; ideali che, forse, con l’andare del tempo e dei secoli, si sono via via consumati ma che dovevano essere ben presenti nei primi momenti, ossia il tardo Medioevo, quando la pratica dell’alternanza venne introdotta nell’uso liturgico. E qui ritorniamo a quella funzione rappresentativa dell’organo che evidentemente era ritenuta superiore addirittura alla pronuncia diretta del testo sacro: se l’organo era legittimato a sostituirsi alla Parola, era perché l’organo rappresentava la musica celeste, ossia il canto cosmico sprigionato dall’universo intero in lode di Dio. E l’alternanza tra coro e organo nella liturgia della Chiesa Militante rappresentava l’alternanza tra i cori degli angeli e l’harmonia mundi della Chiesa Trionfante. [per leggere l'articolo completo, cliccare il collegamento internet qui sotto riportato]