Roberto REMONDI

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Riscoprire Remondi

maestro d’organo venuto da Fiesse

Parla il torinese Corrado Cavalli che studia l’opera del bresciano

 

di Enrico Raggi

 

Il mondo contadino dell’«Albero degli zoccoli». Adagiato nel cuore dell’Ottocento. Acqua nelle rogge, filari di gelsi, grasse zolle. Arie d’opera, le Ouvertures di Verdi trascritte per banda municipale.

Roberto Remondi nasce a Fiesse, tra le nebbie della Bassa, al confine tra Brescia, Mantova, Cremona. Ventenne è organista nella Basilica dei Santi Nazaro e Celso a Brescia, tre anni dopo diventa Maestro di Cappella del Duomo cittadino, a fine secolo inizia la sua carriera al Liceo Musicale di Torino (prima capitale del Regno d’Italia), come professore nella neonata classe d’organo.

Musicista titolare alla chiesa torinese del Carmine, una fortunata carriera internazionale, interrotta per una malattia agli occhi che lo rende quasi cieco.

Vasto catalogo (inni patriottici, brani teatrali, Messe, canti liturgici, brani pianistici e cameristici), fondamentali pubblicazioni a carattere didattico (il celebre «Gradus ad Parnassum dell’organista», ancora oggi utilizzato nei Conservatori), allievi prestigiosi (Ulisse MattheyAchille Schinelli, Giovanni Tebaldini).

Sono fresche di stampa alcune pubblicazioni della casa editrice Armelin e un dischetto monografico (c.d. Elegia), inciso dall’organista torinese Corrado Cavalli, che da anni lo sta riscoprendo.

Come nasce il suo interesse per l’organista bresciano?

La musica italiana tra Otto e Novecento deve essere nuovamente esplorata e ristudiata, sia come testimonianza storica di un periodo, di una scuola e di una cultura musicale, sia come prassi esecutiva. Credo che questa letteratura musicale arricchisca il repertorio di un musicista con brani di notevole fascino e offra composizioni adatte ai numerosi strumenti costruiti proprio in quegli anni. Il corpus di opere organistiche sopravvissute è immenso ed è doveroso abbinarle alla tipologia di strumento per il quale furono concepite.

Cosa si può dire dello stile di Remondi?

La sua scrittura è influenzata dalle scuole di musica sacra d’Oltralpe. Si avverte il desiderio di esplorare le potenzialità dell’organo riformato: colori sinfonici, costruzioni lineari eppure sontuose, ordine, lucidità, un senso del tempo multiforme, fantasia e turbolenza. Lo stile della maturità diviene più severo e più complesso, tanto da richiedere all’esecutore un virtuosismo nell’uso della pedaliera. Una sopraffina abilità melodica si sposa all’arte contrappuntistica più sottile. Molta della sua produzione è dedicata al periodo natalizio: Pastorali, Musette, motivi di cornamusa e Noël di vario genere.

A Torino, Remondi che strumento suonava?

Era uno splendido "Carlo Vegezzi", inaugurato dal salodiano Marco Enrico Bossi. Purtroppo, quell’organo è stato distrutto durante i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale. Oggi c’è un "Carlo II. Vegezzi-Bossi".

Perché studiare questi minori, in mezzo a tanti grandi?

Con Gianandrea Gavazzeni, rivendico l’incertezza del giudizio intorno ai minori, la difficoltà del trovare un punto critico effettivo, che stia tra la negazione e l’esaltazione, il sentirsi tirato per la giacca da una parte e dall’altra. Nella vita dell’arte è inevitabile, e anche necessario, ascoltare opere di musicisti sconosciuti, per chiedersi: ne valeva la pena? Solo il loro velleitarismo può dare la giusta misura alla grandezza dei veri maestri. Infine, non esiste composizione che non inizi con un atto d’intelligenza: questa imprime all’opera il carattere della ricchezza. Con Remondi la sfera delle idee si riverbera sempre nella sfera della bellezza pura.

 

- dal «Giornale di Brescia», 19 maggio 2013