Come i mugnai e le contesse mi proteggessero nel 1805.
Io perdono alcuno de’ suoi torti a Napoleone, quand’egli unisce Venezia al Regno d'Italia. Tarda penitenza d’un vecchio peccato veniale, per la quale vo in fil di morte; ma la Pisana mi risuscita e mi mena secolei in Friuli.
Divento marito, organista e castaldo.
Intanto i vecchi attori scompaiono dalla scena. Napoleone cade due volte, e gli anni fuggono muti ed avviliti fino al 1820.
M’era scordato di dirvi che a Padova durante la mia intrinsichezza con Amilcare io aveva imparato a pestare la spinetta.
Il mio squisitissimo orecchio mi fece acquistare qualche abilità come accordatore, e lí a Cordovado mi risovvenni in buon punto di quest’arte imparata, come dice il proverbio, e messa provvidamente da parte. Bruto mi mise in voce nei dintorni come il corista piú intonato che si potesse trovare; qualche piovano mi chiamò per l’organo; aiutato dal ferraio del paese e dalla mia sfacciataggine me la cavai con discreto onore.
Allora la mia fama spiccò un volo per tutto il distretto, e non vi fu piú organo né cembalo né chitarra che non dovesse esser tormentata dalle mie mani per sonar a dovere.
Il mio ministero di cancelliere m’avea reso popolare un tempo, e il mio nome non era affatto dimenticato. In campagna chi è buon cancelliere non ha difetto a farsi anche credere buon accordatore, e in fin dei conti a forza di rompere stirare e torturar corde, credo che riuscii a qualche cosa.
Finalmente diedi il colmo alla mia gloria esponendomi come suonator d’organo in qualche sagra in qualche funzione. Sul principio m’azzuffava sovente cogli inesorabili cantori del Kyrie o del Gloria; ma imparai in seguito la manovra, ed ebbi il contento di vederli cantare a piena gola senza volgersi ogni tanto pietosamente a interrogare e a rimproverare cogli occhi il capriccioso organista. Anche questa ve l’ho detta.
Di maggiordomo mi feci organista; e tenetevelo bene a mente, ché la genealogia de’ miei mestieri non è delle piú comuni. Bensí vi posso assicurare che m’ingegnava a guadagnarmi il pane, e tra Bruto maestro di calligrafia, la Pisana sarta e cucitrice, l’Aquilina cuoca, e il vostro Carlino organista, vi giuro che alla sera si rappresentavano delle brillanti commediole tutte da ridere. Ci mettevamo in canzone a vicenda: eravamo intanto felici, e la felicità e la pace mi resero a tre tanti la salute che aveva prima.
Ippolito Nievo, Confessioni di un italiano, cap. XIX
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Io mi rivolsi attento al primo tuono,
e Te Deum Laudamus mi parea
udire in voce mista al dolce suono.
Tale imagine a punto mi rendea
ciò ch'io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea,
ch'or sì, or no s'intendon le parole.
(Dante, Purgatorio, Canto IX, vv. 139-145)
Per una disamina sulla prassi dell'alternatim, vedasi: Marco Ruggeri, "Laudate Dominum in Chordis et Organo". L'organo tra Liturgia e Arte (Relazione svolta al convegno "Musica e Liturgia" - Cremona, Centro Pastorale Diocesano - 26 Gennaio 2002)
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Dai Fioretti di san Francesco (ultimo trentennio del sec. XIV):
Capitolo XXXV. Come essendo inferma santa Chiara, fu miracolosamente portata la notte della pasqua di Natale alla chiesa di santo Francesco, ed ivi udì l'ufficio.
Essendo una volta santa Chiara gravemente inferma, sicché ella non potea punto andare a dire l'ufficio in chiesa con l'altre monache, vegnendo la solennità della natività di Cristo, tutte l'altre andarono al mattutino; ed ella si rimase nel letto, mal contenta ch'ella insieme con l'altre non potea andare ad avere quella consolazione ispirituale. Ma Gesù Cristo suo sposo, non volendola lasciare così sconsolata, sì la fece miracolosamente portare alla chiesa di santo Francesco ed essere a tutto l'ufficio del mattutino e della messa della notte, e oltre a questo ricevere la santa comunione, e poi riportarla al letto suo.
Tornando le monache a santa Chiara, compiuto l'ufficio in santo Damiano, sì le dissono: "O madre nostra suora Chiara, come grande consolazione abbiamo avuta in questa santa natività! Or fusse piaciuto a Dio, che voi fossi stata con noi!". E santa Chiara risponde: "Grazie e laude ne rendo al nostro Signore Gesù Cristo benedetto, sirocchie mie e figliuole carissime, imperò che ad ogni solennità di questa santa notte, e maggiori che voi non siate state, sono stata io con molta consolazione dell'anima mia; però che, per procurazione del padre mio santo Francesco e per la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, io sono stata presente nella chiesa del venerabile padre mio santo Francesco, e con li miei orecchi corporali e mentali ho udito tutto l'ufficio e il sonare degli organi ch'ivi s'è fatto, ed ivi medesimo ho presa la santissima comunione. Onde di tanta grazia a me fatta rallegratevi e ringraziate Iddio".
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
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Non perdere l'occasione di esercitarti sull'organo: non c'è strumento che sappia vendicarsi con tanta prontezza di tutto quello che può esserci di impuro e impreciso sia nella musica stessa sia nel modo di eseguirla.
Robert Schumann, Regole di vita musicale (1845), trad. it. di Fleur Jaeggy, Ricordi 1983
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Circa l'ottocentesca pratica di suonare musica operistica all'organo:
I mortaretti sparavano mentre si saliva la scalinata e quando il piccolo corteo entrò in Chiesa, don Ciccio Tumeo, giunto col fiato grosso ma in tempo, attaccò con passione «Amami, Alfredo».
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli 2002
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Nelle mie passeggiate per la città avevo udito due o tre volte suonare l'organo in una chiesetta della periferia, ma non mi ero soffermato. Passando un'altra volta da quelle parti, udii di nuovo quel suono e ravvisai una musica di Bach. Trovai la porta chiusa, e siccome la strada era deserta, mi sedetti accanto alla chiesa, su un paracarro, e avvolto nel mantello stetti ad ascoltare. Era un organo non grande ma buono, e chi suonava esprimeva in modo singolare e mo
lto personale una volontà e una costanza che parevano una preghiera. Ebbi l'impressione che l'esecutore doveva sapere quale tesoro fosse racchiuso in quella musica e stava facendo ogni sforzo per scavare quel tesoro come ne andasse della sua vita. In quanto a tecnica, io non so molto di musica, ma fin da bambino ho capito instintivamente quell'impressione dell'anima e ho sentito dentro di me la musica come una cosa ovvia. [...] Quando mi sentivo depresso, pregavo [l'organista] Pistorius di suonare la passacaglia del vecchio Buxtehude. Nella chiesa buia stavo ad ascoltare quella musica strana, fervida e fonda, in ascolto di se stessa, e ogni volta era per me un beneficio e mi rendeva maggiormente disposto a dar ragione alle voci dell'anima.
Hermann Hesse, Demian, trad. it. di Ervino Pocar, Mondadori 1972, pp. 138, 151