Abbiamo imparato a "cantare la messa"?

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Elena Massimi


ABBIAMO IMPARATO A "CANTARE LA MESSA"?

 

Tra le novità maggiori della nuova traduzione del Messale, l’ampiezza dell’apparato musicale, con un sogno sotteso:

restituire un ruolo centrale al canto liturgico www.cantoliturgico.it .

A che punto siamo? Da dove vengono le fatiche? Cosa deve accadere “fuori dal libro” perché il libro sia efficace?

 

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Dalla prima domenica di Avvento dello scorso anno [2021] nelle parrocchie italiane è “arrivata” la Terza edizione italiana del Messale romano. È noto come una delle novità di questa edizione sia proprio la valorizzazione del canto di colui che presiede, e di conseguenza dell’assemblea. Le melodie inserite nel corpo del testo del Messale, oltre ad indicare quelle parti che per loro natura richiedono il canto, vogliono mettere in luce come il canto rivesta un ruolo importante in tutta la liturgia. Richiamando SC 112 nella Presentazione della CEI al Messale si sottolinea come «il canto non è un mero elemento ornamentale ma parte necessaria e integrante della liturgia solenne». 

 

Questo significa che la liturgia, per essere se stessa, non può fare a meno del canto.

 

L’inserimento delle melodie nel corpo del testo del Messale, a prescindere dal tipo di melodie inserite, voleva essere, quindi, un incentivo al canto, un invito alle comunità ecclesiali a “investire” sul canto liturgico. 

Ma che cosa è realmente accaduto? Innanzitutto ci si chiede se il Messale sia percepito realmente come il libro dell’assemblea. Un Messale per le nostre assemblee era il titolo del sussidio pastorale della CEI che accompagnava il “nuovo” Messale. Ma i fedeli si sono accorti della presenza delle melodie nell’Ordo Missae? Avranno letto la Presentazione della CEI, in particolare la parte dedicata al canto e all’ars celebrandi? Oppure è ancor grande la distanza tra il libro liturgico e la celebrazione concreta?


1. Un Messale sfortunato?

La terza edizione del Messale romano è arrivata in un momento particolare, durante il quale il celebrare cristiano è “essenzializzato” proprio a causa della pandemia da Covid. E non si può negare che l’assenza del “foglietto dei canti” o del libretto, nonché la fatica di cantare con la mascherina, non abbiano influito sulla ricezione di questa nuova edizione. Cantare a distanza, cantare a memoria, cantare con la voce soffocata dalla mascherina. Questo ha sicuramente scoraggiato molte corali e molti fedeli, e questi ultimi, già fragili in relazione al canto liturgico, ne hanno approfittato per cantare ancor meno.

Però c’è sempre il rovescio della medaglia: la nostalgia del canto. Per questo in alcune parrocchie il foglietto dei canti è stato condiviso on line, ci si è sforzati di cantare con la mascherina, i cori “imbavagliati” hanno ripreso il loro servizio.

Deve essere sottolineato un dato importante: alla nostalgia iniziale del canto, della vicinanza, della relazione liturgica, è subentrata una stanchezza, un’abitudine alla “messa per pochi”, anzi il rischio del contagio è divenuto l’occasione per alcuni di abbandonare definitivamente il “culto cristiano”.

Non solo per colpa delle mascherine oggi nelle nostre chiese risuona poco la voce dei fedeli, e non solo nel canto. Ci si chiede se forse la fatica nel cantare, sia delle corali sia dell’assemblea, non sia dovuta anche al “calo di prestazione” (si sa come le corali nella liturgia non siano prive di “ansia da prestazione”). Mi spiego meglio: un coro per poter cantare bene deve avere una certa disposizione, deve potersi ascoltare, ha bisogno di una certa vicinanza, di un luogo ove il suono risuoni. Nelle condizioni attuali tutto ciò non è possibile, le “prestazioni” canore non possono essere ai livelli precedenti, l’atto del cantare “non è così gratificante”. E tutto ciò potrebbe contribuire alla “rinascita” dei muti spettatori.

Ma cosa fare? Come reagire a tutto ciò? Quali strade percorrere per valorizzare il canto e la musica, così come ci viene chiesto dalla Terza edizione italiana del Messale? Cosa deve accadere “fuori dal libro” perché il libro sia efficace?

Non possiamo attribuire tutta la colpa al Covid, che in realtà ha contribuito a rendere maggiormente manifesti i nodi problematici che abitavano le nostre celebrazioni pre-Covid. Dovremmo in primis domandarci quanto abbiamo investito nella formazione liturgico-musicale negli anni che vanno dalla Seconda edizione italiana del Messale alla Terza. Quanto siamo stati consapevoli dell’importanza del canto nella liturgia. Se i seminaristi hanno avuto la possibilità di imparare a cantare la messa. Quanto il canto è stato valorizzato nella iniziazione cristiana, che dovrebbe condurre i fedeli alla partecipazione piena all’eucaristia, nella quale non si può fare a meno di cantare.

Un nuovo libro liturgico da solo non può risolvere i problemi relativi al canto nella liturgia, però potrebbe almeno aiutarci a prenderne consapevolezza. Potrebbe farci domandare perché le note accompagnano alcuni testi e non altri, perché è così importante il canto del celebrante, approfondirne la “pertinenza rituale”. Relativamente al canto il problema non è la nuova edizione del Messale, ma il nostro atteggiamento nei confronti del Messale. Non si è quasi nemmeno discusso sul perché siano stati messi i toni gregoriani invece di melodie di nuova composizione. Quindi il problema di fondo è riconducibile alla nostra relazione con la liturgia, alla consapevolezza della sua importanza per la vita cristiana.


2. Formazione liturgico-musicale

Di seguito, per chi decidesse di perdere tempo con il canto liturgico, si offrono alcuni possibili percorsi di formazione liturgico-musicale a partire dal Messale, ma senza dimenticare il contesto concreto nel quale oggi celebriamo.


a) Valorizzare il canto di colui che presiede

Partiamo proprio dall’Ordo missae della nuova edizione italiana. Perché non vedere nelle note che lì troviamo un antidoto alle assemblee composte da muti spettatori? Il canto del presbitero deve suscitare la risposta dell’assemblea, deve quasi farla sorgere spontaneamente. Allora perché non provare a impegnarsi seriamente su questo fronte, iniziando a valorizzare
gradualmente i dialoghi tra il presbitero e l’assemblea, cercando così di evitare quelle risposte submissa voce che ormai caratterizzano anche le acclamazioni? Perché non provare a percorrere questa strada? Certamente richiede tempo, impegno. Perché non pensare che cantare il saluto, l’orazione, il dialogo al prefazio, l’anamnesi, la dossologia finale della preghiera eucaristica, possa essere, in modo particolare nell’attuale contesto dove il canto del coro (che è sempre a servizio dell’assemblea) è “limitato”, una opportunità per sostenere (o forse “riattivare”) la partecipazione attiva dei fedeli?

«Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono o dal lettore con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme» (OGMR 40).
Le parole dell’OGMR potrebbero realmente custodire oggi una strada proficua perché le nostre assemblee tornino a cantare.


b) Valorizzare il canto del salmo responsoriale [ www.salmoresponsoriale.it ]

Sempre in questo orizzonte una risorsa importante è il canto del salmo responsoriale, e lo è per diversi motivi. Innanzitutto viene valorizzata una ministerialità importante nella celebrazione, quella del salmista, che seppur non istituita, è necessaria, se si vogliono rispettare le dinamiche della liturgia della Parola. Come è noto, l’OLM affida al salmista il canto del salmo, ed eventualmente l’intonazione dell’Alleluia con il relativo versetto (OLM 56). Il dato interessante è come venga evidenziata l’opportunità di disporre, «in ogni comunità ecclesiale, di laici esperti nell’arte del salmeggiare e dotati di una buona pronunzia e dizione», e come la formazione del salmista sia la stessa del lettore (cfr. OLM 56). Quindi la valorizzazione di tale ministerialità potrebbe incentivare cammini di formazione per i lettori, o addirittura cammini di discernimento in vista di una eventuale istituzione (del lettore).

Il canto del salmo responsoriale, inoltre, nella forma appunto responsoriale, è una opportunità: riattiverebbe quella dinamica di ascolto/risposta propria della liturgia della Parola. I fedeli, partecipando al canto del ritornello, potrebbero uscire dall’ascolto distratto della Parola, in vista di una maggiore assimilazione. Naturalmente, come per il canto di colui che presiede, anche il canto del salmo responsoriale richiede impegno e preparazione; il contesto attuale che vede ancora problematico il cantare in coro, è una opportunità per valorizzare quelle parti che come il Salmo richiederebbero il canto, ma che poi nella realtà non vedono la priorità loro attribuita.


c) Valorizzare il ministero dell’organista [ www.organista.it ]

Si legge nell’Istruzione 'Musicam Sacram': "Nelle Messe cantate o lette si può usare l’organo, o altro strumento legittimamente permesso per accompagnare il canto della «schola cantorum» e dei fedeli; gli stessi strumenti musicali, soli, possono suonarsi all’inizio, prima che il sacerdote si rechi all’altare, all’offertorio, alla comunione e al termine della messa" (MS 35).

Musica Sacram prevede l’utilizzo dell’organo o di altri strumenti musicali non solo per accompagnare i canti, ma anche da soli, al posto del canto d’inizio, d’offertorio, di comunione e alla fine della Messa. Perché nelle attuali circostanze non promuovere cammini di formazione liturgico-musicale per gli strumentisti? Anche il suono dell’organo o degli altri strumenti concorre all’epifania del mistero, e può diventare «un elemento integrante e autentico dell’azione liturgica in corso» (Precisazioni CEI, n. 2). Si partecipa, senza privare assolutamente l’assemblea del canto di quelle parti che le spettano, anche con l’ascolto, ed è necessario considerare quanto una melodia ben eseguita e scelta secondo il criterio della pertinenza rituale (Precisazioni CEI, n. 2), può contribuirea far entrare nel rito i fedeli.


d) Ripartire dalla catechesi dei fanciulli (ma non solo)

Se vogliamo realmente investire sul futuro delle nostre celebrazioni, dobbiamo ripartire dalla catechesi dei fanciulli. 
Citando il n. 64 di "Sacramentum caritatis" la Presentazione della CEI alla Terza edizione italiana richiama la necessità di «una catechesi a carattere mistagogico, che porti i fedeli a penetrare sempre più profondamente nei misteri che vengono celebrati». 
Si legge inoltre che l’Esortazione apostolica postsinodale "Sacramentum caritatis" articola tale catechesi intorno a tre nuclei: l’interpretazione dei riti alla luce degli eventi salvifici, in conformità con la tradizione viva della Chiesa; l’introduzione al senso dei segni contenuti nei riti; il significato dei riti in relazione alla vita cristiana. In ciascuno di questi passaggi, il riferimento al Messale è determinante per comprendere il senso profondo del mistero eucaristico a partire dalla sua celebrazione. Dal punto di vista teologico, il libro liturgico è custode della fede creduta, celebrata e vissuta, ed è perciò testimone autorevole della profonda unità che lega la legge del pregare (lex orandi) alla legge del credere (lex credendi) e, infine, alla legge del vivere (lex vivendi).

Se il Messale è custode della fede creduta, celebrata e vissuta, perché non valorizzare nella catechesi dei fanciulli il canto, proponendo sia il canto dei testi liturgici (Padre nostro, Gloria, Alleluia...) sia di quei canti ispirati alle antifone di ingresso e comunione? Il canto liturgico ha un grande valore educativo per la fede.
Cantando i testi dei canti (che trasmettono la fede cristiana), attraverso il ritmo, la melodia e l’armonia del canto stesso, i bambini lasciano che in essi si imprima appunto la fede. Valorizzare il canto nella catechesi dei fanciulli potrebbe rappresentare l’occasione per spiegare il rito, giustificando la scelta del canto; aiutare, attraverso il cantare in dialogo con gli altri, a riflettere sui diversi ruoli nella Chiesa, sottolineando il suo essere corpo in cui ciascuno ha la sua funzione in relazione con gli altri; presentare i grandi momenti della celebrazione, la logica del loro svolgimento e il loro radicamento antropologico.

Inoltre dobbiamo anche riflettere se il dover cantare distanziati, con le mascherine – dovendo quindi seguire “ulteriori” regole – non possa essere anche una opportunità. E se proprio il cantare “a distanza” rappresenti l’occasione per (re)imparare il rispetto dell’altro e della sua salute?



- articolo tratto da: «Rivista di Pastorale Liturgica», Numero speciale in PDF su «Il “nuovo Messale” un anno dopo», Editrice Queriniana, Brescia, gennaio 2022 (per gentile concessione dell'editore)
 

 

 
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Autore: 
Elena Massimi
Qualifica autore: 
Docente Stabile della Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione «Auxilium» di Roma