Cantate inni con arte!

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Autore: San Giovanni Paolo II

«Occorre purificare il culto da sbavature di stile»

Giovanni Paolo II: «ritorni sempre più nella liturgia la bellezza della musica e del canto»

Italia

 

1. Risuona per la seconda volta nella Liturgia delle Lodi il Salmo 150, che abbiamo appena proclamato: un inno festoso, un alleluia ritmato dalla musica. Esso è l’ideale sigillo dell’intero Salterio, il libro della lode, del canto, della liturgia d’Israele.
Il testo è di una mirabile semplicità e trasparenza. Dobbiamo solo lasciarci attirare dall’insistente appello a lodare il Signore: «Lodate il Signore … lodatelo… lodatelo!». In apertura Dio è presentato in due aspetti fondamentali del suo mistero. Egli è senz’altro trascendente, misterioso, distinto dal nostro orizzonte: sua dimora regale è il «santuario» celeste, il «firmamento della sua potenza», simile ad una fortezza inaccessibile all’uomo. Eppure Egli è vicino a noi: è presente nel «santuario» di Sion e agisce nella storia attraverso i suoi «prodigi» che rivelano e rendono sperimentabile «la sua immensa grandezza» (cfr vv. 1-2).


2. Tra terra e cielo si stabilisce, dunque, quasi un canale di comunicazione in cui si incontrano l’azione del Signore e il canto di lode dei fedeli. La Liturgia unisce i due santuari, il tempio terreno e il cielo infinito, Dio e l’uomo, il tempo e l’eternità.
Durante la preghiera noi compiamo una sorta di ascesa verso la luce divina e insieme sperimentiamo una discesa di Dio che si adatta al nostro limite per ascoltarci e parlarci, per incontrarci e salvarci. Il Salmista ci spinge subito verso un sussidio da adottare durante questo incontro orante: il ricorso agli strumenti musicali dell’orchestra del tempio di Gerusalemme, come la tromba, l’arpa, la cetra, i timpani, i flauti, i cembali. Anche il muoversi in corteo faceva parte del rituale gerosolimitano (cfr Sal 117,27). Il medesimo appello echeggia nel Salmo 46,8: «Cantate inni con arte!».


3. È, dunque, necessario scoprire e vivere costantemente la bellezza della preghiera e della liturgia. Bisogna pregare Dio non solo con formule teologicamente esatte, ma anche in modo bello e dignitoso.
A questo proposito, la comunità cristiana deve fare un esame di coscienza perché ritorni sempre più nella liturgia la bellezza della musica e del canto. Occorre purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti, e poco consoni alla grandezza dell’atto che si celebra.
È significativo, a tale proposito, il richiamo della Lettera agli Efesini ad evitare intemperanze e sguaiatezze per lasciare spazio alla purezza dell’inneggiare liturgico: «Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (5,18-20).


4. Il Salmista termina invitando alla lode «ogni vivente» (cfr Sal 150,5), letteralmente «ogni soffio», «ogni respiro», espressione che in ebraico designa «ogni essere che respira», specialmente «ogni uomo vivo» (cfr Dt 20,16; Gs 10,40; 11,11.14). Nella lode divina è, quindi, coinvolta anzitutto la creatura umana con la sua voce e il suo cuore. Con lei vengono idealmente convocati tutti gli esseri viventi, tutte le creature in cui c’è un alito di vita (cfr Gn 7,22), perché levino il loro inno di gratitudine al Creatore per il dono dell’esistenza.
Sulla scia di questo invito universale si porrà san Francesco con il suo suggestivo «Cantico di Frate Sole», in cui invita a lodare e benedire il Signore per tutte le creature, riflesso della sua bellezza e della sua bontà (cfr Fonti Francescane, 263).


5. A questo canto devono partecipare in modo speciale tutti i fedeli, come suggerisce la Lettera ai Colossesi: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (3,16).
A questo riguardo, sant’Agostino nelle sue Esposizioni sui Salmi vede simboleggiati negli strumenti musicali i santi che lodano Dio: «Voi, santi, siete la tromba, il salterio, la cetra, il timpano, il coro, le corde e l’organo, e i cembali del giubilo che emettono bei suoni, che cioè suonano armoniosamente. Voi siete tutte queste cose. Non si pensi, ascoltando il Salmo a cose di scarso valore, a cose transitorie, né a strumenti teatrali». In realtà voce di canto a Dio è «ogni spirito che loda il Signore» (Esposizioni sui Salmi, IV, Roma 1977, pp. 934-935).
La musica più alta, dunque, è quella che sale dai nostri cuori. E proprio questa armonia Dio attende di ascoltare nelle nostre liturgie.

 

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Il Messaggero - Giovedì 27 Febbraio 2003

Rivoluzioni/Il Papa ha esortato i cattolici a liberare il culto da sciatterie e
sbavature di stile. Gli esperti gli danno ragione

In Chiesa torni la bellezza della musica e del canto 

di LUCA DELLA LIBERA


IL PAPA ha oggi esortato i fedeli cattolici a ridare un posto di primo piano alla musica e al canto durante la messa, ma non— ha ammonito — in modo sciatto e trasandato. «Bisogna pregare Dio — ha detto ieri mattina durante l'udienza generale in Vaticano — non solo con formule teologicamente esatte, ma anche in modo bello e dignitoso». «A questo proposito — ha spiegato — la comunità cristiana deve fare un esame di coscienza perché ritorni sempre più nella liturgia la bellezza della musica e del canto. Occorre purificare— ha però avvertito — il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti e poco consoni all'atto che si celebra». 

Descrivere una mappa dell'universo musicale cattolico non è facile. La situazione è molto complessa: certo è che in molte chiese la qualità dei repertori e delle esecuzioni musicali lascia spesso a desiderare. In molti casi l'esigenza di coinvolgere l'assemblea al fatto musicale ha portato a banalizzarne gli esiti, con canzoni che imitano modelli di musica di consumo. Una cosa sembra chiara: non ci può essere musica consona alla liturgia senza una profonda partecipazione al rito.

«E' una situazione in movimento», sostiene don Antonio Parisi, consulente dell'ufficio liturgico della Cei per la musica. «In Italia abbiamo cinquanta scuole diocesane che preparano animatori musicali con corsi di perfezionamento molto validi: è un lavoro silenzioso, ma che sta dando i suoi frutti. La riforma dei Conservatori, poi, permetterà di attivare delle classi di musica per la liturgia». 
«Le parole del Papa rilevano giustamente il valore spirituale della musica all'interno della liturgia», sostiene monsignor Marco Frisina, direttore dell'ufficio liturgico del Vicariato di Roma e maestro di cappella a San Giovanni in Laterano. «A Dio si deve offrire sempre il meglio: la situazione presenta delle sbavature, perché non c'è stata molta attenzione al valore interiore della musica. Noi stiamo lavorando nella nostra Diocesi su due fronti: da un lato l'educazione e la conoscenza della grande tradizione sacra, con concerti che si svolgono ogni domenica nelle varie chiese di Roma; dall'altro siamo impegnati, nella dimensione liturgica (ed io lo sono in prima persona in qualità di compositore) in una necessaria mediazione tra la nostra secolare tradizione musicale e la sensibilità di oggi. C'è nel popolo di Dio un grande desiderio del sacro, ma contemporaneamente c’è una presenza massiccia di musiche di consumo, che inseguono il consenso facile. Il fine del canto è la preghiera e quindi il canto dev'essere in consonanza con la grandezza dell'atto celebrativo. Molti compositori vedono la liturgia come qualcosa che mortifica il loro linguaggio, e vivono in questo equivoco. In realtà nella liturgia non c'è posto né per la musica banale né per quella intellettuale. La musica sacra dev'essere condivisa da una comunità, deve avere una portata universale. In questo senso il canto gregoriano è normativo. Non tanto perché dobbiamo imitarlo magari banalizzandolo: è normativo nel senso che rappresenta un modello, perché nella sua apparente semplicità mette il testo al primo posto». 

Il canto gregoriano: tesoro enorme e poco conosciuto. Le cose, però si muovono. Padre Maurizio Verde, gregorianista e direttore di coro, è il responsabile della formazione musicale dei seminari dei frati minori dei monasteri delle clarisse in Umbria. «Nelle posizioni ufficiali c'è sempre molta chiarezza: il fatto è che ciò che resta nella cultura del popolo è quello che è celebrato, che è vissuto dal popolo di Dio nella realtà della liturgia. Io non ho posizioni di archeologia musicale, per cui bisogna eseguire solo il canto gregoriano. Non dobbiamo precludere strade nuove, che parlino il linguaggio della contemporaneità. Il canto gregoriano, in ogni caso, riveste una funzione fondamentale nella pedagogia musicale, in quanto aderisce al sentire cattolico della Chiesa e alla parola di Dio. Vedo intorno a questo repertorio un interesse costante, anche se c'è il rischio di un'appropriazione superficiale, che rincorre mode tipo new-age». 
«Le parole del Papa mi hanno riempito di gioia», dice Gianluigi Gelmetti, direttore musicale del Teatro dell'Opera di Roma. «La musica ha un potere vivificante enorme, per cui è impensabile relegarla a canzoni tipo “Zecchino d'oro". Sono perplesso anche sulla prassi di cantare il canto gregoriano con traduzione italiana: in questo modo si perde l'enorme fascino e il potere espressivo del testo. I compositori vanno spinti a trovare delle soluzioni consone alla sensibilità di oggi. Da parte mia, posso assicurare che dal prossimo anno il Teatro dell'Opera sarà impegnato con vari concerti dedicati alla musica sacra: mi sembra giusto farlo, in una città dalla fortissima tradizione musicale come Roma».

Come si pongono i compositori nei confronti della musica sacra, ed in particolare nei confronti di quella liturgica? Matteo D'Amico è tra quegli artisti che lo hanno fatto in modo sistematico. Proprio pochi giorni fa a Roma è stato eseguito un suo Stabat mater nel quale il testo latino è stato tradotto da Vincenzo Consolo, che ha aggiunto Lo spasimo di Palermo, dedicato alla tragica morte del giudice Borsellino. «Trovo che le parole del Papa rappresentino uno spiraglio importante. Negli ultimi vent'anni noto un progressivo interesse da parte dei compositori nei confronti del sacro. La dicotomia tra musica sacra e musica funzionale alla liturgia c'è sempre stata, non è solo di oggi. Negli anni Cinquanta la musica sacra è stata spesso connotata da austerità e severità. A me piace considerare l'espressione e i testi in modo intenso, vivace, colorito e guardo sempre all'esempio di Petrassi, nel solco della grande tradizione musicale romana». 


Il Messaggero - Giovedì 27 Febbraio 2003

NOTE MODERNE 
«Quei ritmi da dopolavoro»


di ORAZIO PETROSILLO 


MONSIGNOR Pablo Colino, il Papa ha chiesto ieri «un esame di coscienza» alla comunità cristiana sulla musica sacra. Lei che dall’80 è il maestro di cappella della basilica di S. Pietro (Cappella Giulia) e da oltre 40 anni è istruttore dei cori della Filarmonica Romana, cosa pensa di questo richiamo? 
«E’ giustissimo. Perché si sta cadendo in una faciloneria di sempre più basso livello, in formule di nessun valore musicale. Quello che ha detto il Papa lo stiamo ripetendo da parecchio noi cultori di musica sacra. Il suo richiamo vale per tutti. Evidentemente anche nelle liturgie cui lui partecipa ha visto qualcosa che non gli piace». 
Il Papa ha criticato «sbavature di stile, forme trasandate di espressione, musiche e testi sciatti». Può fare qualche esempio? 
«Basta andare in tante chiese di Roma. Sono state introdotte canzonette del peggior gusto dei giovani d’oggi. Con testi che non sono affatto consoni alla liturgia, senza alcun riferimento alla Sacra Scrittura. Propugnano una bontà naturale (pace, ecologia, amore ecc.), sono di maggiore o minore moralità ma non citano mai Cristo nella vita dello Spirito e nemmeno Dio. Sono testi che poco hanno a che vedere con la religione cristiana». 
Come si può rimediare? 
«Intanto con un bell’esame di coscienza come chiede il Papa. Abbiamo stupende norme che sono state emanate dalla Santa Sede. In questo 2003 ricorre il centenario del “Motu proprio" di San Pio X sulla musica sacra. Stabiliva che dovesse avere tre qualità: essere di valore, di carattere universale e santa nella forma. Quella che più si addice è il canto gregoriano che ha intervalli e ritmi consoni alla preghiera. I ritmi da chitarra possono andar bene nel dopo pranzo, nel dopolavoro, nell’oratorio, ma non in chiesa». 
Canto gregoriano e polifonia sono attuali ancora oggi? 
«Il canto gregoriano assolutamente sì. Lo ha ripetuto il Concilio Vaticano II. Anche la polifonia è sempre attuale. Nella liturgia vi sono dei momenti in cui l’assemblea deve partecipare ascoltando la bellezza di una melodia. Gli innovatori pensano che la partecipazione attiva alla liturgia debba avvenire muovendo i piedi, le mani, il sedere. Ma questa è coreografia. Hanno sbagliato in pieno. La partecipazione all’eucaristia è diversa. Perciò ben venga questo esame di coscienza». 



IL RICHIAMO DEL VATICANO

di Andrea Tornielli

Il Papa: "Basta con la musica sciatta in chiesa"
Il Pontefice boccia le "sbavature di stile": nella liturgia con la preghiera deve tornare il canto "bello e dignitoso".


Le comunità cristiane devono fare "un esame di coscienza" per evitare "sbavature di stile, forme trasandate, musiche e testi sciatti" nella celebrazione liturgica. Lo ha detto Giovanni Paolo II durante la catechesi dell'udienza del mercoledì. "La liturgia unisce i due santuari - ha detto Wojtyla - il tempio terreno e il cielo infinito, Dio e l'uomo, il tempo e l'eternità". "E' dunque necessario - ha aggiunto - scoprire e vivere costantemente la bellezza della preghiera e della liturgia. Bisogna pregare Dio non solo con formule teologicamente esatte, ma anche in modo bello e dignitoso".

"A questo proposito - ha continuato il Pontefice - la comunità cristiana deve fare un esame di coscienza perché ritorni sempre più nella liturgia la bellezza della musica e del canto. Occorre purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti, e poco consoni alla grandezza dell'atto che si celebra".

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dedicata alla liturgia, aveva espressamente stabilito che l'immenso patrimonio del canto gregoriano fosse conservato. Un significativo richiamo in tal senso è contenuto anche nel nuovo Messale Romano, presentato dalla Congregazione del culto divino nel marzo dell'anno scorso. Ma, nella pratica comune di tante parrocchie, in Italia come nel resto del mondo, questi appelli sono rimasti lettera morta. Si sono invece imposte canzoni e canzonette con testi talvolta banalissimi e poco curati, e melodie brutte, del tutto fuori luogo in una celebrazione che deve richiamare alla bellezza e al senso del mistero. Capita persino di ascoltare la preghiera del Padre Nostro con la musica di una canzone dei Beatles e la batteria di sottofondo. Guai, però, a manifestare qualche dissenso. Si rischia di venire bollati come nostalgici o "lefebvriani" dall'establishment dei liturgisti, che mal sopportano anche i richiami del cardinale Joseph Ratzinger, il quale, non da oggi, va predicando inascoltato contro i tantissimi abusi liturgici nella Chiesa cattolica e nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia (San Paolo 2001) ha usato parole molto dure contro il rock e la "banalità" di certa musica pop. "Tante persone - aveva detto il porporato custode dell'ortodossia cattolica al quotidiano francese La Croix nel dicembre 2001 - si lamentano oggi del fatto che non ci siano più due messe uguali una all'altra, tanto da arrivare al punto di domandarsi se esiste ancora una liturgia cattolica. Questo punto di vista è senz'altro esagerato, ma il pericolo c'è". E dire che, almeno nel nostro Paese, i vescovi avevano cercato di correre ai ripari: nel maggio 2000, dopo quattro anni di lavoro, la Cei aveva fatto pervenire un repertorio di brani consentiti con 360 testi "selezionati", come sussidio per gli animatori musicali competenti e preparati.

Il richiamo del Papa sta però a significare che anche su questo resta ancora molto cammino da compiere.


La Repubblica - GIOVEDÌ, 27 FEBBRAIO 2003
Pagina 25 - Cronaca
Il richiamo del Pontefice
Il Papa: a messa musica non sciatta

CITTA´ DEL VATICANO - Papa Giovanni Paolo II ha esortato i fedeli cattolici a
ridare un posto di primo piano alla musica e al canto durante la messa. «Bisogna pregare Dio - ha detto ieri durante l´udienza generale - non solo con formule teologicamente esatte, ma anche in modo bello e dignitoso». Bisogna far
ritornare «nella liturgia la bellezza della musica e del canto» ma, ha
sottolineato il pontefice, senza «musiche e testi sciatti e poco consoni
all´atto che si celebra».

 


 
 
 
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