Olivier MESSIAEN

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Olivier MESSIAEN musicista della gioia 

(articolo di Gian Vito Tannoia in occasione del 30° anniversario della morte del grande compositore francese)

 

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OLIVIER MESSIAEN O IL DIALOGO PERPETUO FRA OPPOSTI [*]

 

di Fausto Caporali

 

 

A prima vista, sembrerebbe compito non particolarmente difficile al critico analizzare il lavoro compositivo di Messiaen: non solo la produzione parallela di commento e spiegazione delle proprie opere, di entità inusuale nella storia della musica, investe ogni minimo dettaglio tecnico, ma anche l’aspetto ispirativo è prospettato di volta in volta con una evidenza descrittiva quasi impudica, senza ombre, e con la sicurezza dell’oggetto dato dalla sua necessità inderogabile. Eppure, tanto la straordinaria ricchezza interiore della poetica, quanto la capacità articolativa di ampie strutturazioni, crea la necessità di un inquadramento a vasto raggio che obbliga a tessere un mosaico che arriva a toccare pressoché l’interezza delle correnti compositive che hanno attraversato il XX secolo. Per un’epoca che nelle radicalizzazioni avanguardistiche si è progressivamente trovata nelle condizioni di interrogarsi sul senso stesso del fare musicale e sembra addirittura aver smarrito la direzionalità del rapportarsi, la coerenza e l’indefettibilità di una posizione in ogni momento positiva dell’esser/ci musicale non può che far porre utili pietre di paragone, da vagliare e da sottrarre a oblii superficiali.

 

Se la traiettoria poteva apparire ai suoi esordi quella di un organista parigino che, fedele al suo servizio domenicale, sperimentava all’organo una poetica derivata in buona sostanza dalla pratica di un debussysmo appena appena evoluto e razionalizzato, l’ampliamento di orizzonti a partire dalla fine degli anni Trenta ha indirizzato il giovane Messiaen a misurarsi con la grande composizione e vaste tematiche; approdato per sintonia programmatica nel cuore stesso delle officine più incandescenti delle avanguardie, ne è stato rimasto mèntore immune, per così dire, stabilendo dei non ultra che non potevano accettare al loro interno ciò che era eteroclito all’essenza ispirativa del suo essere musicale, ossia di un fare eminentemente rappresentativo.

 

Un tragitto di un indipendente, di una personalità che, mossasi da un coacervo sia compositivo che organistico intriso di nozioni di scuola, si è arricchita progressivamente di apporti disparati, in un eclettismo a tratti curioso e colorito quanto sapidamente originale, innestata sul tronco di una sensibilità che nel rinnovare il proprio linguaggio ha posto nelle condizioni di riflettere su ogni parametro chi si confrontava con la sua stessa opera. È un dato di fatto che il suo insegnamento, che non poteva nel quadro disperso e dispersivo del secolo non consistere che in una tecnica del “proprio” linguaggio, è stato paradigma di confronto di intere generazioni di compositori1: non solo la certezza di un fare manipolatorio mai lasciato alla mancanza di sorveglianza, ma la stessa pregnanza di ciascun aspetto che conduceva all’essenza di concetti come tempo, ritmo, colore, armonia ponevano nella condizione di riflettere sulla necessità di rifondarsi autonomamente. Né appiattimento su banali protocolli scolastici né limiti impossibili da oltrepassare, ma dialogo incessante con il grande pensiero musicale inteso quale esempio illuminante di un agire aperto a innumerevoli plasmature. Ciò che di volta in volta gli è stato mosso come accusa o come genialità, l’eclettismo- ma ciò dipendeva evidentemente dal punto di vista più o meno ideologico- corrisponde a quanto in realtà i grandi compositori del passato avevano esperito nel loro vivere il mondo: filtrare nel vaglio attento dell’intelligenza creatrice qualsiasi fermento, germoglio o profumo inedito e inserirlo nel corpo di una intuizione espressiva.

 

Forse, la grandezza di Messiaen deriva dal fatto di essere stato, al fondo, un grande romantico2, ossia un autore che, fedele al proprio credo, ha declinato grande musica restandone protagonista in ogni momento e nel rivendicare una soggettività assoluta, ne ha ricercato allo stesso tempo una validità assoluta.

Sulla scorta delle tendenze musicologiche dei primi decenni del Novecento, l’orizzonte creativo di Messiaen conobbe, immediatamente dopo gli anni di formazione, un ampliamento in direzioni disparate, quasi in un anelito di rinascita e di neoidentificazione che lo avrebbe portato a formulare gli aspetti più originali del proprio linguaggio; è la Technique de mon langage musical3 che ci mostra le permanenze dei portati tradizionali e nello stesso tempo l’inserimento di frammenti derivati da predilezioni sintoniche:

 

« Nous ne rejettons pas les vieilles règles de l’harmonie et de la forme : souvenons nous en constantement, soit pour les observer, soit pour les agrandir, soir pour leur en ajouter d’autres plus vieilles encore (celles du plain-chant et de la rythmique hindoue) o plus recentes (celles suggérées par Debussy et toute la musique contemporaine) ».4 

 

Tratti melodici, formule predilette, procedimenti ritmici inediti, si trovano fianco a fianco dei più tradizionali consigli riguardanti lo sviluppo delle frasi o la struttura formale. Gli stessi modi a trasposizione limitata sono una evoluzione nell’ordine della sistematizzazione di portati precedenti; ma è proprio il delimitare il raggio d’azione, il tracciare confini che connota un tratto unificante dell’opera di Messiaen: è lo charme des impossibilitésdichiarato quasi in esergo alla Technique, che indica il modo di procedere per scelte programmatiche, ponendosi di volta in volta un agglomerato di elementi su cui agire e al di fuori del quale non è ammesso all’io compositivo di attingere; quasi un imperativo etico-musicale che si obbliga alla ricerca espressiva da estrarre e riuscire di volta in volta all’interno di un recinto chiuso di dati precostituiti e che manifesta, come una sfinge enigmatica, il suo fascino di sfida. Qui è il nocciolo dell’essenza del modo di procedere di Messiaen, che è per giustapposizione di elementi che tentano una compresenza e cercano una riduzione all’ordine; ciò che è anteriore alla realizzazione musicale e si muove attorno all’altro polo ispirativo, quello della rappresentazione visuale, tende all’unificazione per mezzo della volontà di limitare un campo d’azione: l’oggetto è prestato dall’immaginazione, è consegnato a un numero limitato di strutture simbolicamente relazionate, ne fiorisce la migliore realizzazione espressiva possibile. Aggirarsi nel mondo incantato di Messiaen, vuol dire prendere atto del dipanarsi di opposti, del coesistere di polarizzazioni estreme, della tendenza alla idealizzazione assoluta sostenuta da una vigile razionalità; una posizione che trascende la fisica per dirigersi in ogni momento verso la sostanza spirituale dell’essere e la sua piena realizzazione nello spirito privato di scorie troppo umane, mai dimenticando l’essenza di homo faber che costruisce un cammino e predispone le vie con lucide argomentazioni.

 

Erede di quell’ésprit de géométrie che si nega a qualsiasi sdilinquimento, Messiaen chiede alla musica di condurre oltre il visibile attraverso il sensibile mediante le armi di una positiva metafisica dei suoni che non vuole suggestioni emotive ma chiare figurazioni visivo-matematiche, non corrispondenze patetiche ma netta comunicazione paraverbale; la molteplicità di incontri musicali all’interno della poetica di Messiaen trae nutrimento dal suo atteggiamento di amore quasi fanciullesco per ciò che è puramente e naturalmente musicale, alla ricerca di nuove configurazioni che dall’amore tutto terreno per la realtà fenomenica ne ricava la scintilla divina: gli oggetti vengono trasfigurati e, con tutte le loro contraddizioni, vengono indirizzate a quello che il credente indica come eterno ritorno ascensionale.

 

Ogni dato nuovo che si innesta sulla tradizione linguistica di partenza è nello stesso tempo elemento di completamento ed elemento di rottura; uno dei fondamenti della sua poetica è l’attenzione profondamente romantica alla melodia6, ma proprio questa si trasfigura nel senso di una delineazione tutta moderna; l’incisione è a bulino moderno, ma l’idea di melodia permane anche nelle segmentature più spezzate. Essa evidenzia, unifica, traccia partizioni, investe l’armonia, rende incisivo il ritmo e resta il veicolo primario di un’esigenza espressiva; forse proprio per questo, per il fatto di provenire da un’esigenza propositiva anche nelle più ardite deformazioni, la musica di Messiaen si àncora a substrati comunicativi e cerca sempre un’architettura comunque parlante.

 

Dalla frequentazione dei riti deriva l’influenza del canto gregoriano, all’epoca restaurato e riportato in auge dai monaci benedettini di Solesmes7: la sapienza fraseologica della melodia è paradigma del costruire, dell’articolare compiutamente la campitura vocale e modellarla sul testo, come d’altro canto insegnava l’accademia romantica; ma di nuovo vi è la libertà dell’accentuazione e della consistenza reumatica, il suggerimento di lunghe frasi flessibili prive di agglutinamenti patetici, attentamente calibrati in forza della loro valenza simbolica. Potrà diventare anche modello da deformare, nell’ottica di un canto chiamato a nuove risonanze –ma pur sempre elemento architettonico-, oppure, specie nelle ultime opere, citazione letterale, e allora diventa discorso teologico sotteso e memoria di parole e di Parola, simbolismo non più velato.

 

Ma altre fonti contribuiscono a dare linfa propria, a modo di un giardino lussureggiante, al linguaggio di Messiaen: vi sono i râgas indù, studiati sulla scia del diffondersi dell’etnomusicologia, seppure non usati in maniera esaustiva, e soprattutto, a partire dagli anni Cinquanta inoltrati, i canti di uccelli; come gli si era posto il problema di plasmare la melodia, problema peculiarmente espressivo, così, i contorni melodici di canti registrati, filtrati dalla sua abilità manipolatoria, potevano infondere nuovo slancio a una volontà di identificazione di una linea in evidenza. È significativo il momento in cui Messiaen si rivolse a questa fonte: negli anni immediatamente seguenti alle elucubrazioni combinatorie del Livre d’Orgue, quando a prima vista la strada verso la serialità integrale era indicata, Messiaen muta completamente rotta; non più dodecafonia, non più modi estensivi, peraltro in seguito né rinnegati né messi completamente da parte, ma ritorno alla bellezza della natura:

 

« Quant tout semble perdu, qu’on ne sait plus le chemin, qu’on n’a vraiment plus rien à dire (et c’est hélas le cas le plus frequent), vers quel maitre se tourner, quel « daimon » invoquer pour sortir de l’abime ? En face de tant d’écoles opposées, de styles démodès, de langages contradictoires, il n’y a pas de musique humaine qui puisse rendre la confiance au désespéré. C’est ici qu’intervient la grand voix de la nature…les chants d’oiseaux redonnent le droit d’etre musicien »8.

 

Fu dunque in un momento di disorientamento ispirativo che ritrovò tecnica ritmica e melodica nel canto degli uccelli9: per almeno un decennio fu l’occupazione principale del musicista, da una parte condotta con intento archivistico e ornitologico-scientifico, dall’altro alla stesura di rievocazioni e descrizioni naturalistiche musicali. Da un lato tendenza alla restituzione fedele dell’ambientazione naturale, dall’altra la ricerca di espressività tardo-impressioniste, da un lato la ricostruzione scientifica, dall’altro l’esigenza di tradurre in musica l’osservazione naturalista. È certamente la poetica del meraviglioso che prevale sull’intento strutturalista, l’amore per il creato che evita gli eccessi di fede nella ragione, e per Messiaen un ritorno, venato di positivismo e di enciclopedismo, al poema sinfonico listziano o alla pittura vedutistica impressionista:

 

« […] et que la Nature, toujours belle, toujours grande, toujours nouvelle, la Nature, trésor inépuisable des couleurs et des sons, des formes et des rythmes, modèle inégalé de développement total et de variation perpétuelle, la Nature est la suprême ressource! »10

 

Certo, ci si può domandare fino a che punto resta l’intervento ispirativo e dove comincia un subordinamento al dato ornitologico in senso stretto; ma, fatte salve le opere dedicate unicamente ai canti di uccelli, tale aspetto si pone in una chiave squisitamente simbolica, come si vedrà, nell’ottica di momenti che trasmettono la gioia e l’amore verso la natura o di lode irriflessa a Dio. Né si può non notare come il passaggio all’adozione generalizzata dei canti di uccelli si sia posto come alternativa a volo d’aquila a un chiudersi nell’ardua prospettiva serialista. Le opere decisamente calibrate su aspetti dodecafonici, quasi un experimentum coltivato all’interno del charme desimpossibilitès su quanto poteva essere adottato nella propria visuale, privilegiano la ricerca ritmica e mettono in secondo piano armonia e melodia: significativamente Messiaen si ritrasse da questa strettoia -che portò altri all’afasia compositiva e a contraddizioni fra enunciato e praticato- con una soluzione provvisoria, mutuata dal proprio mondo simbolico e abbracciata con gioiosa curiosità.

 

È una caratteristica di Messiaen quella di tracciare senza mezzi termini un percorso, così come avvenne per l’accoglimento esaustivo dei canti di uccelli, la cui autorizzazione compositiva trovava evidentemente i suoi precedenti in Debussy e nel naturalismo descrittivo; da materiale esclusivo, diventerà, nelle opere della maturità, elemento compositivo simbolico, temperato nell’ordine di un costruttivismo equilibrato.

 

Se il processo di intarsi melodici ha marcato una predilezione tutta romantica per l’evidenza della superficie sonora, i diversi apporti al linguaggio ritmico hanno condotto a una radicalizzazione tutta nuova della concezione del tempo. Dichiaratosi soprattutto un «ritmico», fin dalle prime opere ha incuneato da una parte uno stiramento estremo del tempo fino all’assenza di appoggi ritmici percepibili11, evidente tensione verso l’estasi mistica, e dall’altra la regolamentazione rigorosa della pulsazione12.

 

Ciò che viene introdotto inizialmente nel complesso dei dati tradizionali sono i cosiddetti valori aggiunti, ossia valori minimi o un punto di valore apposti alla misurazione canonica che scombinano la regolarità; ma ciò che progressivamente Messiaen adotta è la predeterminazione del tempo; i piedi greci e i ritmi indù contenuti nel Samgîtaratatnâkara di Śârngadeva (XIII secolo)13, fatti propri per decisione intellettuale e non per vissuto storicizzato, i ritmi non retrogradabili, sono oggetti che strutturano originalmente il decorso musicale; se l’apparenza è quella di una musica «senza misura» in realtà essa immediatamente necessita di «regole ritmiche precise»14e dunque reclama procedimenti che ne organizzano l’apparire. Dunque una nuova antinomia, ben visibile in opere della maturità, anche se presente in molte opere giovanili15: il rigoroso controllo del tempo crea un’assenza di appoggi ritmici, la contemplazione di un paesaggio privo di increspature ritmiche è ottenuta attraverso una ragnatela ritmica minuziosamente calcolata, il desiderio di indicare icone immobili è ottenuto con il controllo del movimento. Ancora una volta raziocinio e simbolismo si trovano a compenetrarsi e a determinarsi, ancora una volta un elemento, il ritmo, trascolora nel suo opposto, l’assenza apparente di ritmo.

 

Dalle formule alla loro organizzazione strutturale in extenso il passo è breve: ecco apparire i personaggi ritmici, ossia ritmi che si succedono mutando o ricomparendo identici secondo un ordine prestabilito, procedimento mutuato da passi significativi della Sacre du printemps di Stravinskij, i canoni e le sovrapposizioni poliritmiche, il procedere per «modi» di valori, ossia per modi di essere secondo coordinate antecedenti la composizione.

 

Questo approdo, esteso a tutti i parametri del suono, è risultato tangente alle avanguardie di Darmstad nell’immediato dopoguerra: il compositore diventa creatore totale, colui che determina il mondo sonoro nella sua interezza; dal punto di vista di Messiaen si è ancora nel campo della delimitazione del raggio d’azione e della sfida delle possibilità/impossibilità, dunque in un ambito del tutto inerente a una traiettoria autonoma; l’adozione di Messiaen nei ranghi delle deflagrazioni post-strutturaliste in realtà fu più un addentellato momentaneo che non una cosciente adesione/accettazione16: ciò che, partendo dal ritmo, era stato esteso a tutti i parametri di una composizione, poteva offrire imbeccate a chi cercava una rifondazione del mondo musicale, ossia un modo del tutto proprio di predisporre la creazione musicale attraverso la serializzazione del microcosmo operativo -rivendicando in ciò tanto quello stesso soggettivismo che veniva combattuto quanto un’autoimposizione di originalità evolutiva.

 

La dodecafonia di questo periodo restò sostanzialmente estranea a Messiaen, circoscrivibile a pochissime opere significativamente sbilanciate verso esperimenti ritmici; del resto era estraneo al «durchcomponieren»17viennese il retroterra culturale entro cui si muoveva Messiaen, estraneo all’idea di sviluppo e di derivazione, al dilagamento costruttivistico privo di connotazioni epidermicamente sensibili; se pure vi furono innegabili momenti di acuto raffreddamento matematico18, pure è sempre stato evidente la non rinuncia all’esigenza di mutualità simbolica e l’estraneità alla riduzione a puro fenomeno autoreferente dell’atto musicale. E occorre notare che proprio l’attaccamento al proprio mondo simbolico ha continuato a produrre nel tempo opere solidamente consistenti, al riparo da crisi e ripensamenti, in tutto e per tutto paragonabili alle grandi creazioni del passato, dove nulla è perso e nulla è lasciato al caso ma tutto si pone come memorabilia e testimonianza imprescindibile di un volere compositivo.

 

Se ci poniamo dal punto di vista dell’armonia, è da notare come Messiaen, partito da posizioni post-impressioniste inserite nel solco del solido costruttivismo tardoromantico formale di Dukas e Dupré, adotta ben presto un sistema di organizzazione propria, quello dei modi a trasposizione limitata: si tratta di scale la cui disposizione per toni e semitoni decide sequenze di accordi o contorni melodici e non prevede che un numero limitato di trasposizioni.

 

È evidente l’aspetto personale di tale scelta, meno lontana da trascorsi debussysti19di quanto possa apparire e più in relazione alla necessità interiore di predeterminare il campo di riferimento. Nel prosieguo della sua evoluzione linguistica, Messiaen arrivò a teorizzare un proprio formulario armonico in cui, oltre agli accordi generati dai modi, compaiono liste di agglomerati sonori propri: dagli accordi per quarte, agli accordi a rovesciamento trasportato, a risonanza contratta, ruotanti; ma accanto al denso accordo carico di armonici in tensione vi è anche il ricorso all’accordo consonante assaporato nelle sue morbide risultanti armoniche, e, addirittura, l’inquadramento di brani per poli tonali forti, tonica-sottodominante-dominante, nel cuore stesso di un linguaggio aduso alle complicazioni estreme. Dunque, ancora una convivenza di opposti, un coesistere di corrispondenze diametralmente distanti, la placida semplicità accordale a blocchi appena sgrossati e la verticalità farcita di complessi agglomerati sonori.

Ma l’ammissione di tutto questo magma armonico fa capo alla personalissima teoria dei colori dei suoni; ogni aggregato sonoro aveva una valenza sinestetica che suggeriva caleidoscopi sonori e procuravano visioni cromatiche20; se tutto questo aspetto resta rappreso nell’individuo predisposto, è indubbio che per «colorata» possiamo intendere tutta l’opera di Messiaen, sia per ciò che riguarda la incessante ricerca del timbro, tendenza ereditata dal colorismo sinfonico di matrice impressionista e mai messa da parte sia in lavori destinati all’orchestra o allo strumento solista, sia per ciò che riguarda la molteplicità delle configurazioni ritmiche, melodiche e armoniche.

 

La sfavillio degli aspetti squisitamente musicali incontra la sua ragione di senso all’interno di una poetica che mira, in ogni momento, alla rappresentazione iconica; è un dato palese che, sulla scia di una sensibilità tutta francese per la traduzione visiva, l’opera di Messiaen vive e si sostanzia di continui rimandi figurativi, di paralleli immaginifici, di apparati di compensazione testuali/visivi; ciò potrebbe costituire lo specchio che potrebbe esonerare l’ascoltatore non avveduto dalla penetrazione ultima, così come l’esplicazione estesa potrebbe portare implicitamente ad autoassolvere la comprensione; in realtà, occorre andare al di là della mera immagine e, attraverso di essa, cogliere la valenza dell’azione. Messiaen innanzitutto considera la musica come sorgente di comunicazione che non deve eticamente sottrarsi al dialogo con la modernità e al dialogo con l’ascoltatore; egli attrae con la forza della propria convinzione e invita a prendere coscienza e a confrontarsi con temi che non eludono mai l’essenza stessa dell’esistere.

 

Il dato fondante, da cui deriva tutta la sua tensione è data dalla fede21in Dio: “Je crois en Dieu” e ancora proclama a chiare lettere di volere “une musique vrai, c’est-à-dire spiritelle, une musique qui soit une acte de foi: une musique qui touche à tous les sujets sans cesser de toucher à Dieu”22; se questo è un punto di partenza, quasi come un more geometrico ne deriva una necessità di far animare dal di dentro ogni punto della comunicazione, che diventa perciò interpretazione del mondo dal punto di vista della tensione verso la realtà intravista. Una fede che non prevede, se non incidentalmente, il dubbio o la percezione della sofferenza: piuttosto è elevazione di lode e sguardo diretto alla trasfigurazione estatica e alla contemplazione mistica.

 

Se alcune opere, in numero assai limitato, ritraggono il versante umano della creazione, è evidente, anche alla sola lettura dei titoli, la tendenza a condurre verso la contemplazione delle realtà trascendentali sotto la guida attenta della riflessione teologica ortodossa. I misteri della vita di Cristo sono il passaggio imprescindibile per la vita contemplativa e i passaggi della Nascita, Resurrezione, Ascensione, Trasfigurazione, sono cardini di un percorso che è propedeutico al passaggio verso la trascendenza. Anche qui, i due opposti convivono: il salto fuori dal tempo, lo spogliarsi delle apparenze sensibili, l’immaginazione verso l’incontro con Dio è la traiettoria:

 

« Le musicien qui pense, voit, entend, parle, au moyen de notions fondamentales, peut, dans une certain mesure, s’approcher de l’au-delà. Et, comme dit Saint Thomas, la musique porte à Dieu, ‘par defaut de verité ‘, jusq’au jour où Lui meme nous éblouirà ‘par excès de vérité’. Tel peut-etre le sens signifiant- et aussi le sens directionel- de la musique »23.

 

Ma eminentemente razionali sono i mezzi con cui questo tragitto è delineato: «nous parlons technique et non sentiment»24afferma nel momento in cui predispone gli elementi del suo linguaggio. I dati immaginativi sono ipotizzati sub specie aeternitatis, ma l’uomo si pone al suo servizio con tutte le sue facoltà intellettive lucidamente padroneggiate; l’estasi non è mai abbandono incontrollato, sentimento abborracciato, tensione velleitaria; quanto piuttosto autocostrizione intellettuale, implosione concentrata per la via strettissima della riduzione al possibile, il raggiungimento di una cima per l’unica via messasi a disposizione.

 

Il suo cattolicesimo è nel solco della più solida ortodossia teologica, da S. Tommaso a dom Colomba Marmion, ma costantemente si spinge nella individuazione visionaria di simboli escatologici25. Da una parte è da vedervi l’influenza derivatagli dalla madre poetessa [Cécile Sauvage], autrice di una silloge poetica intrisa di simbolismo26, da letture di poeti come Reverdy, Eluard27, dall’incanto provato nella visione delle vetrate medievali28; dall’altra vi è la persistenza, propria del razionalismo francese, (citare qualcosa) della coscienza che un atto razionale si riconosce nel dominio emotivo e nella capacità di promuovere l’unione degli spiriti individuali attorno a un nucleo iconico.

 

Se la musica invia verso prefigurazioni extramondane, se le ambientazioni bibliche sono lampi e schiarite, pur la riflessione tecnica risulta concomitante e mai lasciata al caso: non v’è traccia di abbandono lirico, nulla è più sorvegliato che la stessa ispirazione e nulla è più alieno da Messiaen che la cordiale simpatia. Il simbolo chiama il raziocinio in un mutuo scambio di coesistenze, l’idealità assoluta del simbolo viene strutturato da un determinismo temperante.

 

Il desiderio stesso di tradurre in emozione l’idea concettuale, nell’offrire l’aspetto scientemente enunciativo ortodosso ad una percezione estetica offre un’ulteriore dicotomia linguistica; l’impulso direzionato alla rappresentazione delle verità della fede accosta il gusto dell’immaginazione visionaria29all’intento tecnicamente didascalico: da un lato la tensione etica dell’agire e dall’altro il senso del meraviglioso30che investe ogni momento dell’opera di Messiaen. La sua fede è quella che passa attraverso la S. Scrittura e pone il mistero di Cristo, Dio incarnato, al centro della propria esistenza; ma su questo punto di partenza, concretissimo per il fedele, si innesta un atteggiamento di puro ringraziamento che passa attraverso la lode incessante derivante dall’ amore per il creato, in tutti i suoi elementi, dagli uccelli, essi stessi simboli di gioia, ai paesaggi del mondo, ai colori, vere vetrate dello spirito, agli elementi naturali, fino alle stesse immagini bibliche o scritturali più visionarie e mirabolanti:

 

« L’enfant, grand, vieilli, aime ancore les contes de fées extravagants que sa mère lui a transmis. Il les retrouve dans les rythmes de l’Inde, dans le Gagaku japonais, dans les Canyons de l’Utah, dans les complexes colorés des arc-en-ciel, dans les résonances des cloches, des gongs, des tam-tams, dans la richesse inépuisable du chant des oiseaux, dans l’amour de la musique enfin, de la musique, source de joie, et aboutissement de toute poésie! »31

 

Il rimando testuale si concretizza in citazioni dal Vecchi e Nuovo Testamento, da testi profetici, salmi, dall’Apocalisse di S. Giovanni, Vangeli, Lettere di S. Paolo testi liturgici, S. Tommaso, S. Bonaventura, dall’Imitazione di Cristo, fino al traduzione in linguaggio comunicativo di frasi puramente teologiche32; il tutto, se sembra giungere a punte di indubbio intellettualismo personalista, è sempre trattenuto nelle maglie di un ordine retorico comunque eloquente, in fondo sempre e ancora romantico perché desunto dalla consapevolezza del valore del binomio tecnica vs/ espressione.

 

Eppure è innegabile la compresenza di esperienza religiosa e piacere estetico, di sensualità e contemplazione, di «charme à la fois voluptueux et contemplatif»33che risiede nelle strettoie dell’autoimposizione creativa. Se alcune opere che si riferiscono al mito di Tristano e Isotta34cantano scopertamente l’amore come forza cosmica che tutto unisce e concilia, è la stessa scrittura ricca e così spesso tinta dei colori più ricercati a rivelare come la manipolazione sonora sia priva di remore verso l’abbraccio alla totalità dell’esistenza per atto di amore.

 

La densità e la voluttà armonica, la dissonanza tradotta in assaporamento sovente estatico di grappoli di colori, la screziata timbrica sovente inspessita nelle linee più morbidamente evidenti legano una felicità di sensi incantati innocentemente espansa con l’atteggiamento di rendimento di grazie totale35del credente36. In Messiaen non vi è traccia di rinunce ascetiche o di autocostrizioni asfittiche: i limiti compositivi dello charme des impossibilités restano sullo sfondo di una esaltazione delle facoltà intellettive che non si nega ed anzi cerca l’abbraccio panico con gli elementi del creato.

 

Come i suoi grandi precursori, la musica di Messiaen permane nell’attuazione del senso della comunicazione sia come espressività positivamente tesa alla trasmissione di dati sensoriali, intesi tanto come struttura in sé conchiusa quanto come offerta di chiave interpretativa del mondo, inossidabile allo svuotamento in atto di teologie negative riversate sulla musica da un esteso e incessante sperimentalismo.

 

Fedele a sé stesso, Messiaen ha sì rinvenuto un linguaggio soggettivo, come ognuno dei musicisti del XX secolo, non scontato e neppure indecifrabile, ma appunto in tale vicenda, ossia nell’essere dentro alla musica del Novecento nel suo pienamente essere nuovo e nello stesso tempo nel non aver dimenticato di dover rendersi accessibile, sta la validità oggettiva della sua produzione musicale. La difficoltà dell’accesso è meno tangibile quanto più si entra nel suo mondo simbolico, mentre la decodifica riceve illuminazioni proprio dall’intento di sospensione del tempo visibile e di trasfigurazione nel tempo divino37.

 

La sua è musica assoluta in sé e contemporaneamente religiosa38, non è liturgica ma trae copiosi spunti dalla liturgia stessa, è laicamente tesa all’esaltazione di “oggetti” della fede cristiana: «j’ai essayé d’être un musicien chrétien et de chanter ma foi»; se si volesse per un momento limitare lo sguardo all’evoluzione della musica cosiddetta “sacra” del Novecento, si troverà che la cifra peculiare di Messiaen è quella di essersi mosso all’interno della grande musica e di grandi dibattiti, non nel chiuso di una rivendicazione settoriale di caratteri distinti dal procedere del mondo e in definitiva piegati sull’imitazione più o meno originale di modelli lontani nel tempo.

 

Anzi, egli non teme di porre le sue creazioni nello spazio del concerto extra-ecclesiastico, proprio in virtù di una sapienza costruttiva che si permea di una derivazione tutta laica e si muove per processi costruttivi evolutisi in contesti laici; dunque, se si vuole, vi è una divergenza tutta propria fra l’adozione del esperienza cristiana come totalizzante e l’incidenza liturgica pressoché nulla39; ma tale discrepanza è risolta nell’adozione di una direzionalità che opera nel solco delle grandi correnti artistiche da cui aveva mosso i passi, del sinfonismo e della grande composizione a sé stante; l’opera di Messiaen appare come un poderosa creazione paraliturgica eretta nel mezzo della coscienza laica del mondo contemporaneo: è specchio della modernità per ciò che riguarda l’aspetto musicale ed è testimonianza di altissima idealità quando affronta le questioni ultime; la stessa ricchezza di sfaccettature di una personalità che si è evoluta aggiungendo sempre nuovi particolari e mai ponendo in crisi l’essenza della comunicazione musicale può costituire un simbolo di ricchezza del Novecento musicale occidentale.

 

 

[*] il presente articolo è stato composto quale prefazione al volume: F. Caporali, Il dialogo perpetuo. L'opera per organo di Olivier Messiaen, Edizioni Armelin Musica, Padova 2007 [per cortese concessione dell'editore]

 

 

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NOTE AL TESTO:

 

1  J. Boivin, La classe de Messiaen, Paris, Bourgois, 1995.

“Non mi vergogno di essere considerato romantico. I Romantici erano degli artisti magnifici che sono stati considerati troppo spesso cocchieri che si battevano il petto gridando ‘Sono il maledetto!’. I romantici avevano coscienza delle bellezze della natura e della grandezza della divinità: erano grandiosi e sono molti i nostri contemporanei che guadagnerebbero ad essere romnanticizzati”. (O. Messiaen, Musique et couleur: nouveaux entretiens, a cura di C. Samuel, Paris, Belfond, 1986, p. 129).

O. Messiaen, Technique de mon langage musical, Leduc, Parigi, 1944 (d’ora in poi Technique).

Technique, I, p. 5.

Technique, I, p. 4.

« Primauté à la melodie. Elément le plus noble de la musique, que la mélodie soit le but principal de nos recherches. Travaillonjs toujours mélodiquement » (Technique, I, p. 23)

Un precedente dell’opera organistica di Messiaen, fra gli altri, fu L’Orgue Mystique (1927-1932) di Charles Tournemire (1927-1932), grande ciclo di 51 fascicoli di commenti organistici alle festività liturgiche basato interamente sulle melodie gregoriane del proprio di ciascuna festività.

In A. Périer, Messiaen, Solfège/seuil., 1979, p. 131-132 (d’ora in poi Périer).

9  È da sottolineare che nella Technique vi sono comunque anticipazioni significative (I, cap. IX).

10 O. Messiaen, in Périer, p. 133.

11 Già presente nel Banquet céleste, per esempio, per restare in ambito organistico.

12 Come nell’Apparition de l’Eglise éternelle, dove i due aspetti sono presenti.

13 Messiaen desunse tali schemi ritmici dall’Encyclopédie de la musique et dictionnaire du Conservatoire del Lavignac (Paris, Delagrave, 1924)

14 Technique, I p.6.

15 Per restare sempre nelle opere organistiche, si pensi al V.  Pièce en trio del Livre d’orgue opera tanto calcolata quanto immobile nel suo svolgersi.

16 È significativa la distanza che traspare nel Traité de rythme, de couleur et d’ornithologie (7 voll., Paris,Leduc, 1994-2005d’ora in poi Traité), summa del proprio pensiero musicale, dai trascorsi dodecafonici, mai negati ma neppure palesemente esibiti.

17 Cfr. P. Boulez, Messiaen: visione e rivelazione, in Punti di riferimento, Einaudi, 1984, p.288.

18 Si pensi alle Soixante quatre duréeso al VPièces en trio del Livre d’Orgue, fra i pochi brani della produzione di Messiaen.senza alcun riferimento simbolico.

19 Il Secondo Modo a trasposizione limitata ha collegamenti già usati da Debussy e Ravel, ma anche da Listz, Scrijabin e Bartòk.

20 Minuziosamente descritte nel Traité.

21 « J’ai essayé d’etre un musicien chrétien et de charter ma foi, sans y arriver jamais ».

22 Technique, p. 3-4.

23 Hommage, p.1.

24 Technique, p.3.

25 Una penetrante analisi dell’importanza del simbolo in Messiaen, con vasto inquadramento culturale, si trova nell’ottimo saggio di R. Pozzi, Il suono dell’estasi / Olivier Messiaen dal Banquet céleste alla Turangalîla-Symphonie, (d’ora in poi: Pozzi) Libreria Musicale Italiana, 2002.

26 C. Sauvage, L’âme en bourgeon, Librairie Séguier Archimbaud, 19872.

27 Technique, p.4.

28 Cf. O. Messiaen, Conférence de Notre-Dame, Leduc, 1978, p.12. L’idea di vetrata è evidente nella formulazione di cicli compositivi, tanto per l’idea di campiture a smaglianti colori sonori, quanto per l’idea di istruzione narrativa e di conduzione mistagogica verso l’esperienza mistico estetica.

29 Si pensi a Les deux murailles d’eau piuttosto che a Les yeux dans les roues.

30 Per un approfondimento di questo aspetto: B. Massin, O. M.: une poétique du merveilleux. Aix-en-Provence, Alinéa, 1989.

31 O. Messiaen, Préface a C. Sauvage, L’âme en bourgeon, cit. p.15.

32 Per linguaggio comunicativo si intende la corrispondenza di lettere dell’alfabeto a suoni e durate che genera in tal modo melodie corrispondenti a frasi.

33 Technique, I, p. 5.

34 Harawi, chant d’Amour et de Mort per soprano e pianoforte (1946), Turangalila-Symphonie, per orchestra, pianoforete e Onde martenot (1949)

35 Cfr. il denso quanto penetrante saggio di P. Sequeri, Musica e mistica. Percorsi nella storia occidentale delle pratiche estetiche e religiose, Libreria editrice vaticana, 2005, p-406 e ss.

36 È significativa la scelta della figura di S. Francesco come argomento dell’oratorio a lui commissionato dall’Opéra di Parigi e composto fra il 1975 e il 1983

37 Qui si potrebbe aprire il dibattito se la musica descrittiva mantiene la sua evidenza in assenza o meno dell’esplicazione testuale; P. Griffith, O. M. and the Music of Time, London, Faber and Faber, 1985, p. 17, ritiene che i commenti estremamente minuziosi di Messiaen alle proprie opere restano estranei al tessuto musicale, il quale può sussistere autonomamente. Tale questione ovviamente è estensibile a qualsiasi musica che si ponga come coessenziale a dati esterni: nel caso di Messiaen è forse da ritenere che l’angolatura posta dall’autore stesso come principio ispiratore, rientrante in un intento non solo descrittivo, ma anche mistagogico in senso lato, non possa essere scisso dalla comprensione globale di una sua opera. Tale coessenzialità è tanto più necessaria quanto più un linguaggio è rispondente a un microcosmo isolato, come è caratteristica di oggi, e non condiviso dalla generalità degli ascoltatori.

38 « La musique religieuse découvre [Dieu] a toute heure et partout, sur notre planète Terre, dans nos montagne, dans nos ocèans, au milieu des oiseaux, des fleurs, des arbres, et aussi dans l’univers visible des ètolies qui nous entourent » (O. Messiaen, Confèrence de Notre Dame, Leduc, 1978, p.14).

39 Messiaen, significativamente, non ha composto né messe né brani liturgici, ad eccezione della Messe de la Pentecôte e del Mottetto O Sacrum Convivium per coro a 4 voci e organo ad libitum.

 

* * *

 

 

Profilo biografico di OLIVIER MESSIAEN

 

Olivier-Eugène-Prosper-Charles Messiaen (nato il 10 dicembre 1908, Avignone, Francia. morto il 27 aprile 1992, Clichy, vicino a Parigi), Olivier Messiaen era figlio di Pierre Messiaen, uno studioso di letteratura inglese e della poetessa Cécile Sauvage. Poco dopo la sua nascita la famiglia si trasferì ad Ambert (città natale di Chabrier) dove nacque suo fratello Alain nel 1913. Intorno allo scoppio della prima guerra mondiale, Cecile Sauvage portò i suoi due figli a vivere con suo fratello a Grenoble, dove Olivier Messiaen ha trascorso la sua prima infanzia, ha iniziato a comporre all'età di sette anni e ha imparato da autodidatta a suonare il pianoforte. Al suo ritorno dalla guerra, Pierre Messiaen portò la famiglia a Nantes e nel 1919 si trasferirono tutti a Parigi dove Olivier entrò al Conservatorio.

Fin dall'inizio era chiaro che Messiaen sarebbe stato un compositore che sarebbe rimasto unico nella storia della musica. Non provenendo da una particolare 'scuola' o stile, ma formando e creando la propria voce musicale totalmente individuale. Ha raggiunto questo obiettivo creando i propri "modi di trasposizione limitata", prendendo idee ritmiche dall'India (deci tala), dall'antica Grecia e dall'oriente e, soprattutto, adattando i canti degli uccelli di tutto il mondo. Era un uomo dai molti interessi tra cui la pittura, la letteratura e l'oriente dove ha assorbito non solo la cultura musicale ma il teatro, la letteratura e persino la cucina di paesi stranieri!

 

La singola forza trainante più importante nelle sue creazioni musicali era la sua devota fede cattolica.

Il mio primo incontro con la musica di Olivier Messiaen è stato come un impressionabile quattordicenne che aveva appena scoperto Bach attraverso Jacques Loussier e stava ascoltando un po' pigramente un recital d'organo della BBC Radio 3 che si concludeva con questo fantastico mondo sonoro che era completamente nuovo per me e allo stesso tempo travolgente. Il pezzo che stavo sperimentando era Dieu Parmi Nous (Dio in mezzo a noi) da La Nativité du Seigneur.

 

MESSIAEN E SINESTESIA

Ecco cosa ha detto Messiaen sul suo rapporto con i colori e la sinestesia

 

" Quando avevo 20 anni ho incontrato un pittore svizzero che è diventato un buon amico con il nome di Charles Blanc-Gatti, era sinestetico che è un disturbo dei nervi ottici e uditivi quindi quando si sentono i suoni si vedono anche i colori corrispondenti in l'occhio. Purtroppo non avevo questo. Ma intellettualmente come i sinestetici anch'io vedo i colori, anche se solo nella mia mente, colori che corrispondono al suono. Cerco di incorporare questo nel mio lavoro, di trasmetterlo a chi ascolta. È tutto molto mobile. Devi sentire il suono in movimento. I suoni sono alti, bassi, veloci, lenti, ecc. I miei colori fanno la stessa cosa, si muovono allo stesso modo. Come arcobaleni che si spostano da una tonalità all'altra. È molto fugace e impossibile da risolvere in modo assoluto.

È vero che vedo i colori, è vero che ci sono. Sono i colori dei musicisti, da non confondere con i colori dei pittori. Sono colori che vanno con la musica. Se hai provato a riprodurre questi colori su tela, potrebbe produrre qualcosa di orribile. Non sono fatti per quello, sono i colori dei musicisti. Quello che sto dicendo è strano ma è vero.

Credo nella risonanza naturale, come credo in tutti i fenomeni naturali. La risonanza naturale è in perfetto accordo con i fenomeni dei colori complementari. Ho un tappeto rosso che guardo spesso. Dove questo tappeto incontra il parquet di colore più chiaro accanto, vedo a intermittenza meravigliosi verdi che un pittore non potrebbe mescolare - colori naturali creati negli occhi"

 

Entrò al Conservatorio di Parigi all'età di undici anni e vi rimase fino ai vent'anni imparando il suo "mestiere" da eminenti insegnanti tra cui Georges Falkenberg, pianoforte, Jean Gallon, armonia, contrappunto e fuga di Noël Gallon, professor Baggers, timpani e percussioni, Paul Dukas composizione e orchestrazione, Maurice Emmanuel storia della musica e Marcel Dupré organo e improvvisazione, di cui Messiaen eccelleva, diventando organista de La Sainte Trinité a Parigi quando aveva 22 anni e vi rimase fino alla sua morte. A volte è facile dimenticare che il contributo di Messiaens al repertorio organistico è probabilmente il più grande dopo Bach. Il termine "mestiere" ha uno scopo qui poiché Messiaen si è sviluppato in un vero artigiano sotto ogni aspetto con spartiti immensamente dettagliati tra cui l'arco degli archi, le articolazioni dei legni, le diteggiature per le tastiere e persino le percussioni.

Dall'età di diciotto anni Messiaen collezionava i canti di migliaia di uccelli in tutta la Francia e nel mondo. I primi lavori mostravano un sentore di influenza sul canto degli uccelli, ma dopo la guerra alla fine degli anni '40 e '50 iniziò a annotare le loro canzoni in modo molto dettagliato e questo divenne per lui una fonte musicale vitale. Un evento importante nel 1952 fu il suo incontro con l'ornitologo e autore Jacques Delamain di cui Messiaen dichiarò: "È stato Delamain che mi ha insegnato a riconoscere un uccello dal suo canto, senza doverne vedere il piumaggio o la forma del suo becco".

Messiaen iniziava selezionando un uccello, diciamo un warbler dove annotava centinaia di warblers diversi e poi creava un composto dei migliori elementi di tutti i warblers annotati, finendo così con un warbler "ideale". Il canto è solitamente combinato con l'habitat degli uccelli, i dintorni e l'ora del giorno. 'E' il processo di trasformazione' di cui gode Messiaen e lo mette in relazione con i dipinti di Monet che non è interessato a mettere, diciamo, una ninfea direttamente sull'acqua di un quadro, ma rappresenta una variazione della luce sulle ninfee. Le sue ricerche furono così intense che divenne un autorevole ornitologo in grado di riconoscere quasi tutti gli uccelli che sentiva. Diverse opere sono state interamente dedicate al canto degli uccelli e cioè Catalog d'Oiseaux, Réveil des oiseaux, Oiseaux Exotique, Le merle noir, Petites esquisses d'oiseaux e quasi tutte le altre opere includono sostanziali riferimenti al canto degli uccelli.

All'età di 19 anni il giovane Messiaen assistette alla morte per consunzione della sua amata madre. Si trasferì dalle zie paterne nelle campagne della regione francese dell'Aube dove, secondo le parole di Yvonne Loriod, "le zie accolsero il nipote per ravvivare il suo gusto per la vita e ristabilire la sua salute con l'aria buona della campagna mentre continuava a comporre".

 

All'età di 19 anni il giovane Messiaen assistette alla morte per consunzione della sua amata madre. Si trasferì dalle zie paterne nelle campagne della regione francese dell'Aube dove, secondo le parole di Yvonne Loriod, "le zie accolsero il nipote per ravvivare il suo gusto per la vita e ristabilire la sua salute con l'aria buona della campagna mentre continuava a comporre".

 

Messiaen sposò la sua prima moglie Claire Delbos nel giugno 1932. Figlia di un professore della Sorbona, era membro de La Spirale, un'importante nuova società musicale, violinista e compositrice affermata (le opere includono Primevere 5 Songs per soprano e pianoforte, Deux Pièces for Organ 1935, Parce, Domine {Pardonnez,Seigneur, à votre peuple...} pour le temps du Carême per organo e Marie, toute-puissance suppliante per 4 Ondes Martenots) si ammalò tristemente fisicamente e mentalmente ed entrò in un ospedale psichiatrico (dove alla fine morì nel 1959) lasciando Messiaen un genitore single che allevava il loro unico figlio Pascal (nato nel 1937 un insegnante di russo, morto il 31 gennaio 2020) per tutta la fine degli anni '30 e '40. Messiaen e Claire Delbos tennero molti recital a Parigi e nei dintorni durante i primi anni '30 con il repertorio romantico per violino e pianoforte e nel 1932 compose il tema e le variazioni per lei e debuttarono il pezzo in un concerto tenuto dalla Société Nationale. Un secondo lavoro per violino e pianoforte è venuto alla luce di recente dal titolo Fantaisie composto nel 1933. Anche il suo ciclo di canzoni Poemes pour Mi è dedicato a Claire Delbos, Mi è un soprannome per lei. Sia la musica che le parole sono state scritte da Messiaen e celebrano la gioia e la santità del matrimonio. Messiaen avrebbe continuato a scrivere i testi per la maggior parte delle sue opere corali e vocali, tra cui le liturgie Trois Petite de la Presence Divine, che hanno causato alcune reazioni negative se non ostili da parte di molti critici alla prima rappresentazione. Crede che questa reazione sia dovuta al fatto che il lavoro è pieno di passione ma con un profondo fondamento religioso e questo ha colto di sorpresa la critica e gran parte delle critiche non erano rivolte alla musica. Nel 1936, con i compositori Andre Jolivet, Daniel Lesur e Yves Baudrier, fondò il gruppo La Jeune France ("Giovane Francia") per promuovere la nuova musica francese. Dal 1934 al 1939 insegnò lettura a prima vista del pianoforte all'École Normale de Musique e un corso di improvvisazione all'organo alla Schola Cantorum.

 

Indubbiamente sono stati la devota fede cristiana e il cattolicesimo di Messiaens a guidare la sua produzione compositiva nel corso degli anni e non ci fu prova più grande della sua fede che nel giugno 1940, quando fu catturato dai nazisti e internato nel campo di prigionia Stalag 8A, Gorlitz, Polonia. Ricorda che a quel tempo lui e tutti nel campo erano gelati, affamati e infelici. La fame fu tale da acuire i suoi sogni 'colorati' e questo, unito all'esperienza di vedere le 'aurora borealis', onde colorate di nuvole, lo portò a comporre quella che è probabilmente la sua opera più eseguita: Quatour pour la Fin du Temps ( Quartetto per la fine dei tempi). Fece amicizia con un ufficiale tedesco che gli contrabbandò carta manoscritta, matita e gomma che gli permisero di ritirarsi nel blocco dei sacerdoti dopo i doveri mattutini e di comporre. La strumentazione era governata dagli amici musicisti che erano con Messiaen nel campo. Questi erano; il violinista Jean Le Boulaire, il violoncellista Etienne Pasquier, il clarinettista Henri Akoka e con se stesso su un pianoforte piuttosto fatiscente hanno presentato in anteprima l'opera il 15 gennaio 1941 di fronte a compagni di prigionia che sebbene forse non avessero mai capito le nuove armonie ecc. li ha portati lontano dalla routine mondana vita nel campo. Dice che la sua musica "non è "bella" - è certo. Sono convinto che la gioia esiste, convinto che l'invisibile esiste più del visibile, la gioia è oltre il dolore, la bellezza è oltre l'orrore'.

 

Tornò dalla prigionia nel marzo 1941 e divenne insegnante e conferenziere al Conservatorio di Parigi tenendo la sua prima lezione il 7 maggio dello stesso anno. Tenne corsi di analisi, teoria, estetica e ritmo ma solo nel 1966 fu nominato ufficialmente Professore di Composizione (sebbene in effetti insegnasse composizione da anni). Molti "nomi" famosi sono passati attraverso queste classi tra cui Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis, Alexander Goehr e in seguito George Benjamin, per il quale Messiaen aveva una particolare simpatia e ammirazione. Forse l'unica cosa che ha contagiato tutti questi compositori è l'evitamento da parte di Messiaens del metro regolare che lo cita come artificiale relativo alle marce e alla musica più popolare. Messiaen sostiene la sua tesi sottolineando che in natura le cose non sono uguali o regolari. Ad esempio i rami di un albero e le onde del mare non sono nemmeno schemi. Tuttavia, ciò che è vero è la "risonanza naturale", e questo vero fenomeno è ciò su cui si basa la sua musica.

 

Questo periodo ha prodotto una grande effusione di musica tra cui le liturgie Trois Petite de la Presence Divine, il ciclo di canzoni Harawi, Chant des deportes per coro e orchestra, Turangalila Symphonie, i giganteschi cicli di pianoforte Vingt Regards sur l'Enfant Jesus e Visions de l' Amen per due pianoforti. Questi ultimi due lavori e molti altri a seguire sono stati dedicati a Yvonne Loriod, una giovane e molto dotata allieva che si presentò nella prima classe di Messiaens tenuta al Conservatorio nel 1941. Di quel primo incontro, dice che "tutti gli studenti aspettavano con ansia questo nuovo insegnante in arrivo e finalmente è apparso con la custodia della musica e le dita molto gonfie, a causa della sua permanenza nel campo di prigionia. Passò al pianoforte e produsse la partitura completa del Prelude á l'apres-Midi d'un Faune di Debussys e iniziò a suonare tutte le parti. Tutta la classe è rimasta affascinata e sbalordita e tutti si sono subito innamorati di lui'.

 

Messiaen non ha mai impartito le proprie tecniche compositive nelle sue classi, ma piuttosto ha guidato gli studenti lungo i propri percorsi.

Messiaen non è sempre stato a favore dell'establishment musicale, non da ultimo dalla BBC che non trasmise quasi nulla sull'allora Terzo programma (in seguito Radio 3) fino agli anni Sessanta, quando il compositore aveva circa 60 anni. Fu Felix Aprahamian a portare Messiaen a Londra alla fine degli anni '30 per interpretare La Nativite e da allora è stato un campione e uno scrittore formidabile su Messiaen.

 

Negli anni Quaranta e Cinquanta Messiaen è stato evitato da un lato dalla nuova 'avanguardia' come troppo dolce e sentimentale e dall'altro dal pubblico musicale più convenzionale come troppo austero e discordante. Boulez in particolare non ha potuto fare i conti con e ha reagito contro opere come Turangalila con il suo ricco mix di linguaggio tonale e atonale dicendo che preferisce quelli che rimangono fedeli a uno stile o all'altro. Tuttavia, una gemma di una composizione è stata quella di capovolgere la musica del XX secolo. Questo era "Mode de valeurs et d'intensites" parte di quattro studi di ritmo per pianoforte. La teoria di Schönberg sulla serializzazione delle altezze ha compiuto un balzo in avanti per cui Messiaen ha serializzato efficacemente tutti i parametri musicali, ovvero altezze, durate, dinamiche e articolazioni. Così ogni nota ha un carattere e un'identità propri che vengono mantenuti in tutto il pezzo. Ad esempio, il Do centrale apparirà sempre come un valore minimo puntato, forte dinamico e avrà un segno di articolazione tenuto. Sebbene ciò abbia spianato la strada alla giovane generazione di compositori come Stockhausen, Boulez, Nono ecc. per esplorare un territorio precedentemente inesplorato, lo stesso Messiaen non ha mai perseguito l'idea al di là di quello studio, ma ha continuato a rivolgersi alla natura e alla sua fede come ispirazione e punti di partenza per la sua musica continuando a usare i suoi modi, idee ritmiche complesse e i canti degli uccelli. Detto questo, ci sono occasioni in cui, ad esempio, ha voluto descrivere l'orrore e l'oscurità della notte nell'apertura de "L'allocco" del Catalogue d'Oiseaux, dove usa un "Mode de valeurs et d'intensites" in un senso poetico per ritrarre questo.In effetti, va detto che Messiaen ha fatto più per avanzare forme e idee ritmiche di qualsiasi altro compositore del 20 ° secolo.

 

Nel 1975 Messiaen ha intrapreso il suo progetto più ambizioso della sua vita, l'opera Saint Francois d'Assise, un'opera che lo occuperà per i successivi otto anni. Saint Francois rappresenta il suo lavoro di una vita combinando tutte le sue tecniche compositive raccolte in una cinquantina d'anni. Ha segnato per 22 legni. 16 ottoni, 68 archi, 3 onde Martenot e 5 percussioni a tastiera che suonano xilofono, xylorimba, marimba, glockenspiel e vibrafono. Sono 6 i percussionisti che suonano campane tubolari, clave, wind machine, rullante, triangoli,tempie, wood block, cembali di vario genere, frusta, maracas, reco-reco, glass carillon, shell carillon, wood carillon, tamburello, tôle ( thunder sheet), gongs, tam tam, crotales tom toms e geophone (macchina della sabbia) insieme a 7 solisti principali e un coro di 150 sono sicuramente le più grandi forze considerate da Messiaen. Tra i migliori saggi su questo lavoro ci sono il racconto di Paul Griffiths in The Messiaen Companion e nei commenti di Messiaen in un'intervista con lui.

Poco dopo la morte di Messiaen mi è capitato di visitare Parigi e ho sentito il bisogno di porgere i miei rispetti a La Sainte Trinité, la chiesa dove Messiaen concepì così tante delle sue grandi opere per organo. Ho avuto la fortuna di incontrare padre Yves de Boisrehen che per molti anni ha letto le lezioni ecc. e ha detto che sarebbe rimasto stupito quando le sue parole avrebbero improvvisamente "preso vita" per la congregazione attraverso le improvvisazioni di Messiaen che rispondeva all'organo.

Alcuni direbbero "un atto impossibile da seguire", ma nel 1993 Naji Hakim è entrato in quella venerata percussione a la Trinité come successore di Messiaen. Compositore e improvvisatore affermato, Naji Hakim era l'unica persona che Messiaen si sentiva a suo agio nella consapevolezza che la grande tradizione francese di organista - compositore e improvvisatore sarebbe continuata a la Trinité. Il regno di Naji Hakim si è concluso nel 2008, centenario della nascita di Messiaen.

 

Grazie al mercato audio di massa odierno non dovrai grattarti come ho fatto io, trovando registrazioni del più grande compositore francese dai tempi di Debussy.

Frammenti della musica di Messiaen hanno trovato la loro strada in diversi film tra cui: Dante's Inferno (Et Expecto resurrectionem mortuorum) di Ken Russell, The Dinner (Quatuor pour la Fin du Temps) di Oren Moverman e The Revenant (Oraison-L'eau) di Alejandro G. Iñárritu. da Fêtes des Belles Eaux). [traduzione automatica dall'inglese tratta dal sito oliviermessiaen.org]