L'organo mesotonico nel XXI secolo

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Autore: Oscar Mischiati, Francesco Finotti

Sezione Articoli

Sulle colonne del periodico «Arte organaria e organistica» (Edizioni Carrara, Bergamo) nel 1999

Le diverse posizioni di Oscar Mischiati e Francesco Finotti

Italia

 

Arte Organaria e Organistica (Edizioni Carrara) nr. 27, Anno VI – nr. 2/1999, pag. 32-33

 

Mesotonico è più bello!

 

di Oscar Mischiati

 

Questa non è l’esclamazione di un restauratore al termine di un lavoro o alla conclusione di un’operazione d’accordatura ad uno strumento precedentemente “equabile”: è invece il titolo di un libro uscito recentemente in Svizzera, opera di un docente universitario di fisica Reinhard Frosch, il cui titolo originale suona Mitteltönig ist schöner! Studien über Stimmungen von Musikinstrumenten. Esso è apparso, addirittura in seconda edizione riveduta, presso la casa editrice Peter Lang di Berna, dal cui bollettino pubblicitario ricaviamo le seguenti affermazioni che a molti appariranno sorprendenti:

«Su uno strumento musicale elettronico si può constatare come con l’antica accordatura mesotonica gli accordi risultano più belli rispetto a quelli ottenuti con l’odierna usuale accordatura uniforme o equabile. Questo vale non solo per musica del XVI e XVII secolo, ma anche per quella da intrattenimento (Unterhaltungsmusik) di oggi. In questo volume si tenta di motivare matematicamente e fisicamente la bellezza dell’accordatura mesotonica in forma facilmente comprensibile».

 

Non sappiamo in quanti locali di pubblico divertimento la proposta del professore Frosch sia stata adottata; è certo tuttavia che il volume ha avuto successo, visto che è giunto alla seconda edizione. E qualcuno più esperto di noi in materia ci assicura che sono in vendita “sintetizzatori” dotati di diversi sistemi d’accordatura.

 

La pubblicazione del volume di Frosch offre il destro per alcune considerazioni.

 

La prima è che se il temperamento del tono medio trova ospitalità nelle sale da ballo di un paese austero come la Svizzera, non si vede perché – maggior ragione – non possa essere accettato in Chiesa. Tanto più che musiche e strumenti utilizzati durante la celebrazione della messa sono da tempo sintonizzati su livelli più bassi della produzione commerciale; ci riferiamo ovviamente a chitarre, batterie jazz, canti sincopati scimmiottanti i ritmi afro-cubani, melodie di languore canzonettistico, che regolarmente imperversano nelle chiese della nostra penisola.

 

La seconda riflessione è questa: se gli intervalli musicali del temperamento mesotonico sono ritenuti idonei per la musica da intrattenimento popolare, gli ecclesiastici italiani - così preoccupati di rincorrere le folle, possibilmente giovanili - potrebbero finalmente ritenerli un efficace strumento pastorale.

 

A dir la verità, è da un pezzo che riteniamo che il carattere di stabilità e di calma che l’accordatura per terze maggiori pure conferisce alla musica sia intimamente congeniale alla natura jeratica, oggettiva, impersonale del rito. Ma si sa, essendo la gerarchia nostrana, in genere, scarsamente proclive all'arte e alla cultura (sì da confondere quest’ultima con l’eccentricità), pretendere che essa comprenda e valuti con obiettività è impresa pressoché disperata.

 

Comunque, dato che sull'adozione negli organi restaurati del temperamento inequabile (anche se non necessariamente mesotonico rigoroso) si è detto e scritto spesso a sproposito, vorremmo ricordare un dato di fatto molto concreto e materiale ma sconosciuto ai più. Ed è che il ripristino dell’antico temperamento non è atto volontario o arbitrario dell’organaro restauratore o dell’organista titolare dello strumento o del consulente o del funzionario rappresentante la tutela statale, ma consegue naturalmente (oserei dire necessariamente) al restauro e al riordinamento delle canne. Queste, infatti, si presentano il più delle volte manomesse alla sommità con schiacciature, tagli, squarci, slabbrature, asportazioni di lembi di lastra, persino sforbiciate plurime che conferiscono l’aspetto di frangia al bordo della lastra stessa. Riparate, rimarginate e risanate tutte queste manomissioni la canna recupera la sua lunghezza e - assieme al lavoro di “tondatura” - la sua cilindricità. Ma c’è di più. Oltre al restauro, le canne – soprattutto quelle del Ripieno – necessitano anche quasi sempre di essere riordinate; si tratta di operazione non facile da spiegare a chi sia digiuno della materia, ma che tuttavia costituisce un aspetto essenziale di ogni buon restauro (a maggior ragione se si abbiano pretese di attendibilità storico-filologica). Ricordo incidentalmente che anche il recente restauro di uno degli organi tedeschi più celebri, quello della chiesa di S. Giacomo (St. Jakobi) ad Amburgo, ha richiesto addirittura anni di lavoro per lo studio e la classificazione del materiale sonoro, storicamente molto variegato e stratificato dentro la struttura realizzata da Arp Schnitger.

 

Orbene, al termine del lavoro di riordinamento, si constata che varie canne, ricondotte al registro e al tasto d’origine, possono risultare accorciate (talvolta drasticamente), ma altre essere rimaste, miracolosamente, integre nella lunghezza del corpo sonoro (ed è intuibile che quelle accorciate vengono riallungate in funzione di queste ultime). Ed è appunto sulla base delle canne che hanno conservato la loro lunghezza e di quelle che l’hanno recuperata mediante la saldatura degli accennati squarci e intagli alla sommità (come è il caso, di regola, di quelle di facciata) che avviene il ripristino del temperamento (oltre che, s'intende, del “corista”). Ma non si contano ormai più i casi di organi assolutamente intatti che, con sorpresa di restauratori, studiosi e committenti, hanno conservato il temperamento originale, il cui ripristino è stato ottenuto semplicemente rimettendo “in forma” (ovvero “tondando”) le canne; così al Serassi (1792-96) di S. Liborio a Colorno come al Tronci (1793) recentemente acquistato dalla Cattedrale di Pistoia.

 

Vorremmo, a mo’ di conclusione, ricordare come a taluni ecclesiastici il temperamento inequabile appaia anti-liturgico perché, a loro dire, non permetterebbe l’accompagnamento dei canti dell’assemblea. Anche a questo proposito si ripete, stancamente, a più di cent’anni di distanza l’equivoco della liturgicità dell’organo: allora un organo non era liturgico, come si ricorderà, se non aveva la tastiera di 58 tasti, la pedaliera diritta, cromatica e di almeno 27 note, i registri interi e non spezzati in bassi e soprani, ecc. Oggi tutti sono concordi nel giudicare puerili, anzi controproducenti quelle prescrizioni, essendo pretesa manifestamente assurda che la sola rispondenza ad esse - prescindendo da qualsiasi considerazione sulla qualità intrinseca del manufatto - fosse garanzia di legittimità e dignità liturgica (anche i farisei, come si sa, pretendevano che la moralità consistesse nella sola osservanza formale della legge). Siamo dunque al dilemma di sempre: il dilettantismo, il pressapochismo, la mancanza di professionalità pretendono di dettar legge e di imporre come modello i livelli più bassi e squalificati. Vogliamo scommettere che se alla tastiera facciamo sedere un professionista qualificato, di colpo spariscono i problemi di temperamento, di ottava corta, di pedaliera a leggìo ecc.? Tra l’altro, le scuole d’organo italiane, pur con tutti i loro limiti, hanno negli ultimi vent’anni prodotto un numero impressionante di organisti dotati e preparati che spopolano letteralmente ai concorsi nazionali ed internazionali, che sanno eseguire impeccabilmente le più impervie pagine della letteratura organistica, che tengono applauditi concerti, che incidono dischi di successo ma che - guarda caso - non vengono utilizzati (tranne casi sporadici) per la liturgia. Questa abbondanza non è forse uno di quei ”segni dei tempi” su cui spesso e volentieri pontificano i nostri ecclesiastici? Sarà un’impressione sbagliata, ma a costoro non dicono evidentemente nulla l’episodio biblico delle primizie di Abele o la parabola evangelica dei talenti. Ci sorge il dubbio, però, che le persone qualificate non siano gradite perché autonome e quindi scomode, come dimostrano alcuni noti episodi recenti.

 

Sono episodi che contraddicono persino l’abituale e tradizionale metodologia curiale felpata e incruenta; è tuttavia possibile che gli attuali vertici vaticani abbiano mutuato qualche suggestione dalla brutalità dei regimi militari sudamericani verso i quali pare non abbiano nascosto le loro simpatie quando si trovavano colà nelle vesti di nunzi apostolici.

 

Era davvero profetico il poeta latino Marziale quando, riferendosi al vino asprigno prodotto allora sulle pendici del colle Vaticano, scriveva «Et Vaticana bibas, si delectaris aceto»!

 

Sarà un caso, ma il massiccio allontanamento delle popolazioni dalla frequenza ai sacramenti (il 20% dei neonati non viene battezzato) non sarà forse da imputare anche alla sciatteria di tanta liturgia e alla pochezza di tante prediche? E se con il metodo suggerito dal Vangelo si risalisse dai frutti agli alberi, quali conclusioni dovremmo trarre?

 

Oscar Mischiati 

 

* * *

 

Arte Organaria e Organistica (Edizioni Carrara) - nr. 28, Maggio-Agosto 1999. L’Opinione, pagg. 60-63

 

Mesotonico è più… strano!

 

di Francesco Finotti

 

L’articolo apparso sul numero 27 della rivista “Arte Organaria e Organistica”, a firma del Dottor Oscar Mischiati, dal titolo apodittico “Mesotonico è più bello!”, pone all’attenzione del lettore desideroso di approfondire le problematiche attinenti l’accordatura degli organi musicali alcune riflessioni di varia natura. Partendo da quella suggerita – per l’appunto di tipo mesotonico - l’articolista espone le sue considerazioni che interessano, via via, i gusti in proposito praticati in terra svizzera e rapportati alle forme musicali e agli strumenti impiegati per la loro esecuzione in uso nelle chiese d’Italia, le tecniche usate nel restauro degli organi musicali, le figure di organisti od organologi riconosciute competenti, ben distinte dagli “incapaci”, i metodi adottati nella gestione delle relazioni umane da certi ambienti curiali vaticani, una analisi socio/culturale circa le percentuali di frequentazione ai sacramenti dei fedeli di rito cattolico. L’esposizione è accompagnata da una dotta citazione del poeta latino Marziale e da alcuni riferimenti a parabole dell’Evangelio, in un’analisi che si potrebbe definire trasversale, termine alquanto in voga oggi presso la gran parte dei politici di professione. La cosa in sé non meraviglia più di tanto, l’eloquenza dell’illustre organologo è a tutti nota, così come il suo autocompiacimento.

 

L’articolo in questione prende spunto dalla pubblicazione recente di un libro, opera del fisico e docente universitario svizzero Reinhard Frosch, nel quale si affrontano le questioni riguardanti l’accordatura degli strumenti musicali di uso corrente, con particolare rilievo alle possibilità offerte dalla moderna tecnologia di dotare anche gli strumenti cosiddetti elettronici delle accordature di tipo mesotonico. Il fatto che ad esporre un simile argomento sia uno studioso di fisica, eminente o meno, non può che far piacere e compensare almeno in parte dell’amarezza per l’incapacità che a compiere tal sorta di speculazioni non siano quanti dovrebbero occuparsi della cosa per scelta professionale. Ciò significa almeno che l’argomento riscuote ampi consensi, che vanno ben oltre i limiti di una tastiera o pedaliera d’organo.

 

La frase dalla quale si diparte l’analisi dell’articolista è la seguente:

Su uno strumento musicale elettronico si può constatare come con l’antica accordatura mesotonica gli accordi risultino più belli rispetto quelli ottenuti con l’odierna usuale accordatura uniforme o equabile. Questo vale non solo per musica del XVI e XVII secolo, ma anche per quella di intrattenimento (Unterhaltungsmusik) di oggi. In questo volume si tenta di motivare matematicamente e fisicamente la bellezza dell’accordatura mesotonica in forma facilmente comprensibile”.

 

La citazione usata non ammette dubbi di sorta, presentando il problema dell’accordatura di tipo mesotonico nei termini di una ovvia necessità, cui tutti dovremmo conformarci attraverso un gesto di suprema universalità. Le considerazioni sviluppate sono principalmente due. La prima, con un automatismo di rara disinvoltura, individua l’ineluttabilità dell’adozione di un siffatto temperamento nelle chiese d’Italia in virtù del fatto che esso trova ospitalità nelle sale da ballo di un paese austero come la Svizzera. L’accostamento di per sé non è altro che un non-sens, il lettore attento non mancherà di valutarlo in quanto tale, non senza aver riflettuto sull’indole caratteristica degli organologi di argomentare di cose serie in siffatti termini, con la pretesa di vedersi riconoscere una qualche sorta di legittimità.

 

La seconda, collegata in qualche modo alla prima, non è da meno, anche se più sviluppata nelle argomentazioni, e riguarda gli intervalli musicali del temperamento mesotonico e la loro attitudine nei confronti della musica popolare, ragion per la quale esso dovrebbe sic et simpliciter diventare strumento di pastorale tra le mani così poco musicali degli ecclesiastici italiani. La “natura jeratica, oggettiva ed impersonale del rito” per il Dottor Mischiati si sposerebbe dunque amabilmente con il carattere dell’accordatura per terze maggiori pure, carattere che il sistema mesotonico conferisce agli strumenti, pretendendo con ciò dimostrare un’affinità che in verità non è dato di vedere.

 

L’adozione del temperamento di tipo mesotonico negli organi restaurati, tanto caldeggiata dal Dottor Mischiati, è un evento di portata non trascurabile, la cui sistematica diffusione presso la maggior parte dei restauratori d’organo in Italia ha creato vistose deformazioni nel pensiero della maggior parte degli operatori, con effetti a dir poco sorprendenti, quand’anche perversi. La tesi dell’illustre organologo, secondo la quale […] “il ripristino di questo temperamento non è atto volontario o arbitrario dell’organaro restauratore […], ma consegue naturalmente (oserei dire necessariamente) al restauro e al riordino delle canne.” […] assume un valore del tutto specifico e necessita di alcune considerazioni. Sarà dunque opportuno chiedersi che cosa si faceva in questo ambito prima dell’avvento di quegli strumenti, a lungo ricercati, che hanno consentito di compiere significativi passi in avanti in quest’ambito così specifico ai fini della determinazione delle altezze dei corpi sonori, la più esatta possibile.

 

Dom Bedos, il grande e sapiente benedettino, nel suo celebre trattato al quale si è soliti far riferimento [1] si è interessato del problema del dimensionamento dei corpi sonori (detto altrimenti parametrazione), descrivendo per primo un metodo in uso all’epoca per la determinazione dei diametri o circonferenze delle canne labiali. Sufficiente nella pratica, questo metodo non poggiava né sul ragionamento, tantomeno su qualche teoria! Dom Bedos, e tutti gli altri costruttori dei quali egli descrive il modo di operare, stabilivano una progressione geometrica per la lunghezza delle canne, esprimibile con la formula r = 122.

 

I valori ricavati da tale rapporto venivano riportati su di un regolo, partendo dallo stesso punto per ogni valore, elevando delle perpendicolari ad ogni divisione così ottenuta. Successivamente, prendevano le dimensioni ritenute adeguate per i diametri e circonferenze della prima e quarantanovesima nota del registro, misure principalmente estrapolate da registri già realizzati su tali progressioni, trasferendone i valori relativi sulle perpendicolari corrispondenti, riunendo i punti così ottenuti con una retta la cui intersezione con le perpendicolari intermediarie determinava i diametri e le circonferenze. Occorrerà altresì ricordare che non esisteva alcuna preparazione delle canne dal punto di vista dell’accordatura, essendo tutte accordate in tondo, ricevendo ogni registro la sua accordatura definitiva solamente dopo molti … tentativi (sic!). All’epoca di Dom Bedos, questo sistema empirico poteva bastare alla maggior parte dei casi, nonostante le sue imperfezioni, ed è sostanzialmente con questo metodo che si son realizzati tutti i registri degli organi sparsi per ogni dove.

 

Il significato di quanto appena detto è facilmente comprensibile. Le altezze dei corpi sonori così ottenute erano lungi dal possedere quei requisiti di esattezza che, al contrario, si cercava affannosamente di perseguire nell’intento evidente di rendere la costruzione dell’organo musicale meno approssimativa e casuale di quanto non fosse stata fino a quel momento. Gli effetti di queste altezze empiriche sull’accordatura degli organi sono facilmente intuibili e la domanda che ci si dovrebbe porre è la seguente: “Quanto valore può avere la frequenza di un determinato suono inserita nel contesto di una scala tonale se il trasduttore sonoro che lo produce è stato realizzato con tale criterio?”. Paradossalmente, si può ritenere che qualsiasi tipo di accordatura realizzata su un materiale sonoro di foggia approssimativa non potrà che essere a sua volta approssimativa, impedendo di fatto la realizzazione di qualsivoglia temperamento senza una appropriata manipolazione dei corpi sonori. La pratica musicale e quella costruttiva per fortuna aiutano a comprendere e contenere le oscillazioni che, prese singolarmente, rischierebbero di apparire incontrollabili.

 

 

Da quanto appena esposto, si può facilmente dedurre che l’accordatura degli strumenti a tastiera del tipo degli organi musicali possedeva né più né meno i tratti di un evento legato al più banale empirismo o, se si preferisce, alla pratica che l’esercizio della professione conferiva a questo o quel costruttore, pratica oltremodo variabile secondo le latitudini, gli usi e i costumi [2]. I risultati, quanto a caratteri dell’accordatura di questi manufatti, sono abbondantemente stigmatizzati nelle vicende che hanno visto protagonisti i più grandi esponenti dell’arte musicale, primi tra tutti Frescobaldi e Johann Sebastian Bach. Nelle loro disamine sulla questione i due grandi maestri non hanno mancato di lasciare osservazioni oltremodo istruttive, alle quali volentieri rimando per una maggior comprensione del problema. Non ci stupiremmo di sapere, quindi, che Girolamo Frescobaldi (1583-1643), “esperto” d’organi, di strumenti da tasto e di composizione musicale, avesse conosciuto il temperamento equabile, e lo volesse per l’accordatura dell’organo della Basilica di San Lorenzo in Damaso a Roma. Attribuirgli il fatto di aver accettato di convincere il cardinale Barberini ad accordare gli organi di quella chiesa con il temperamento equabile solo “con l’offerta di frequenti bevute”,  come qualcuno malamente insinua, è solamente un tentativo assai misero di denigrare quello che fu un vero gran maestro, amato da molti, gioia e vanto della nostra terra d’Italia, tentativo messo in atto non fosse altro che per semplice invidia da parte di qualche maldestro teorico. Era, con ogni probabilità, una delle tante vittorie del partito dell’inequabile, a quell’epoca evidentemente assai forte, ben rappresentato da Giovan Battista Doni (1594 – 1647), per sua stessa ammissione musicista di scarsa esperienza (…“rimettendomi sempre al giudizio di quelli che meglio possiedono queste materie…”) e notoriamente ostile a quel tipo di temperamento…“dissonante”. Una vittoria che sfugge alla comprensione dei musicisti “pratici” [3], oppure la semplice constatazione che per addivenire ad un temperamento equabile occorrevano orecchie e mani migliori di quelle disponibili al momento.

 

Nessuna differenza sostanziale nell’approccio al problema da parte di Johann Sebastian Bach, l’autore del “Clavier ben temperato”, una raccolta di 48 Preludi e Fughe scritte in tutte le tonalità maggiori e minori consentite dal sistema temperato equabile. Sebbene non abbia scritto nulla più di qualche appunto, in occasione dei suoi celebri collaudi d’organo, è nota la sua opinione in materia riferita da persone che lo conobbero e apprezzarono senza riserve vita ed opera. Il compositore e organista - oltre che teorico - tedesco Georg Andreas Sorge (1703-1778) scrive, al riguardo, quanto segue:

La maniera di temperare di Silbermann non può coesistere con la odierna pratica. Che questo corrisponda alla pura verità, chiamo a testimoni tutti i musicisti imparziali ed esperti in questa materia, specialmente il signor Bach di Lipsia, famoso in tutto il mondo. […] Se poi alcuni accordatori di strumenti o di organo accordassero anche soltanto come faceva Werckmeister cinquantasette anni fa, sarebbe già una buona cosa.”

 

Il Sorge attribuiva a Gottfried Silbermann l’uso di un temperamento di tipo mesotonico. Nello stesso periodo, Friedrich Wilhelm Marpurg (1718 – 1795), teorico e compositore, anch’egli tedesco, a proposito del sistema d’accordatura usato per i clavicembali da Kirnberger, uno degli allievi di Johann Sebastian Bach, si esprimeva in questi termini:

Lo stesso signor Kirnberger ha ricordato più di una volta, a me e ad altri, come il famoso Johann Sebastian Bach, nel periodo in cui egli aveva il privilegio di studiare con lui, gli avesse spiegato l’accordatura del suo strumento, e come il maestro espressamente gli avesse richiesto di rendere tutte le terze maggiori crescenti. […] Un temperamento senza terze maggiori pure non può contenere terze maggiori pitagoriche. Il maestro Johann Sebastian Bach, che non aveva un orecchio guastato da cattivi calcoli, deve pertanto aver sentito che una terza maggiore pitagorica è un intervallo molto sgradevole.”

 

La terza maggiore pitagorica (Do – Mi), ottenuta come tutti gli altri intervalli della scala mediante la divisione del glorioso monocordo, misura 81/64=1,2656! Il corrispondente intervallo, nel sistema temperato equabile corrisponde a 1,25993, mentre in quello dei rapporti semplici (o zarliniano) misura solamente 1,2500. Se dobbiamo credere alla richiesta di Johann Sebastian Bach, quanto riferito dal Marpurg sorprende non poco, essendo evidente la contraddizione dei termini della questione. Essendo le terze pitagoriche ben più grandi delle corrispondenti equabili e zarliniane, l’interrogativo su dove avrebbe dovuto mettere le sue terze il buon Kirnberger per accontentare l’orecchio del Maestro appare più che doveroso. Avrebbe dovuto posizionarle (le terze) forse ancora più oltre? È evidente che quelle terze dovevano essere troppo piccole, zarliniane per l’appunto, e quindi l’unico modo di accontentare l’esigente Bach era quello di renderle più equabili, se non addirittura pitagoriche. In effetti, il sistema d’accordatura usato dal diligente allievo Kirnberger conteneva una terza maggiore giusta (Do - Mi) del tutto priva di battimenti, e per tale motivo assolutamente inadatto alla musica del suo maestro, Johann Sebastian Bach. Un clamoroso errore, quello del Marpurg, che conferma implicitamente una sua caratteristica assai singolare per la quale divenne celebre, vale a dire un’insolita capacità di comprendere a rovescio quanto voleva indagare. È noto com’egli si ritenesse il primo e più grande allievo di Rameau in Germania, nonostante non avesse compreso la portata e il significato delle teorie del grande armonista francese. L’episodio suggerisce in ogni caso stimolanti riflessioni sul prodigioso udito di Johann Sebastian Bach, confermando implicitamente la sua preferenza nei confronti delle caratteristiche dell’intervallo di terza, verosimilmente accordata all’equabile, che qualifica com’è noto in maniera caratteristica l’armonia nella quale viene a trovarsi. Carl Philipp Emanuel Bach, il più celebre dei suoi figli, riferisce che il padre “non conosceva nessuna tonalità che si dovesse evitare a causa di un’accordatura imprecisa”. Il Maestro non amava molto discutere di numeri con gli accordatori, dunque, ma preferiva confidare sul suo orecchio e praticare personalmente il temperamento a lui più congeniale per giungere ai risultati che sappiamo. Ciò è confermato indirettamente dall’opinione di Lorenz Mizler, l’insigne filosofo ed allievo dello stesso Bach, studioso di cose matematiche inerenti alla musica, che nel 1754 scrive:

È vero che il nostro Bach non si occupava profondamente di considerazioni teoriche della musica, essendo di gran lunga più forte nella pratica.”

 

Sembra evidente che il cammino del temperamento, secondo i grandi maestri, non può che essere quello nel quale gli strumenti a tastiera, invariabili, vanno verso la ricerca del perfetto unisono con la voce umana. L’adozione sistematica dei temperamenti di tipo mesotonico e barocco, fortemente voluta quand’anche imposta dagli “esperti” in occasione dei restauri d’organi a canne o ricostruzione di copie “in stile” (organi o clavicembali), forza in una direzione opposta una materia che, al contrario, contiene in sé quanto di necessario al conseguimento di ben altri obiettivi. La stessa pratica strumentale conferma poi, se mai ve ne fosse bisogno, l’impossibilità oggettiva di addivenire ad un temperamento quale esso sia, per la presenza di fattori negativi che ne affliggono la determinazione. Basti pensare, a mo’ d’esempio, alle variazioni di temperatura che incidono negativamente in termini di stabilità sull’accordatura dell’organo a canne nel quale, com’è noto, abbondano le tipologie di registri le più disparate quanto a forme e materiali, distribuiti in leghe e spessori d’ogni genere. Per quanto attiene il pianoforte, non possono esser ignorati i fastidiosissimi problemi dovuti alla “inarmonicità” (o “disarmonicità”) delle corde vibranti d’acciaio, problemi che si manifestano in misura assai più ridotta nel clavicembalo. Nelle situazioni appena citate è impedita l’esatta definizione delle altezze di un temperamento, che quindi non può dirsi perfettamente realizzato secondo quanto stabilito dal dettato teorico. Nell’organo a canne, gli scostamenti in frequenza provocati dalle variazioni continue dei valori della temperatura ambientali, verosimilmente incontrollabili, quand’anche minimi obbligano l’accordatore a continue correzioni, soprattutto a livello del riparto. I buoni accordatori d’organo non possono che confermare tale infausta condizione, e ben conoscono il senso di frustrazione che accompagna i loro tentativi di realizzare qualsivoglia riparto in maniera corretta.

 

La scoperta di una formula che potesse determinare nella pratica quei parametri fondamentali legati all’accordatura, vale a dire altezza e diametro del corpo sonoro in rapporto alla frequenza, rappresenta un punto di svolta significativo. Deve essere riconosciuto ad Aristide Cavaillé-Coll (1811 – 1899) il merito di aver stabilito scientificamente attraverso le sue quattro formule [4] i principali parametri che concorrono a determinare il suono nelle canne d’organo, conseguendo una efficace rapidità esecutiva, tradottasi ben presto in metodo costruttivo. Tale metodo, riguardante principalmente la determinazione dei diametri, o più esattamente i diapason (successione) dei diametri per ogni famiglia di registro e le relative altezze dei corpi sonori, è tuttora in uso presso i migliori costruttori d’organo. A queste fondamentali conclusioni nel campo della costruzione dei corpi sonori degli organi si debbono aggiungere quelle, altrettanto significative, dello studioso francese Ch. Philbert, presentate in memoria all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1877, concernenti una formula riguardante la parametrazione dei registri ad ancia battente, completando in tal modo ogni aspetto relativo alla parametrazione dei corpi sonori di questa speciale macchina sonora.

 

Molti musicologi ed organologi non hanno mancato di scrivere sulla standardizzazione che, a loro dire, tale procedura avrebbe introdotto nella costruzione delle canne; l’accusa principale riguarda la sostanziale spersonalizzazione del lavoro dell’intonatore che il metodo comporterebbe. La pratica strumentale può bastare a smentire l’affermazione, se è vero che il procedimento derivante dall’applicazione delle quattro formule consegna all’intonatore molti più elementi per determinare esattamente il carattere del registro. Il problema principale è di sapere se l’intonatore è o meno in grado di gestire correttamente il procedimento, oltre che ovviamente i risultati della sua applicazione. L’avvento di una tale procedura non significa il raggiungimento di una perfezione costruttiva assoluta, come ogni buon costruttore ammetterà, poiché tali e tanti sono gli elementi che concorrono ad alterare e modificare il risultato di un sistema certamente valido qual è quello codificato da Cavaillé-Coll. I buoni accordatori d’organo riconoscono l’impossibilità - questa sì oggettiva - di realizzare un registro in modo tale da mettere nella giusta relazione l’altezza dei corpi risonanti con la relativa frequenza, stabilita teoricamente. È per questo che visitando l’interno di uno strumento, quale che sia il costruttore, capiterà di vedere qua e là all’interno dello stesso registro alcune canne con l’accordatore disposto correttamente, altre verosimilmente troppo lunghe o corte, e quand’anche il registro fosse accordato interamente in tondo non sarà dato di vedere la più perfetta omogeneità delle estremità distali superiori.

 

Dopo quanto esposto, occorre riflettere sull’oggettività di molte affermazioni avanzate da organologi circa l’esattezza e proprietà di questo o quel sistema d’accordatura che, non deve essere dimenticato, sussiste in assoluta relazione con le caratteristiche timbriche del singolo registro.

 

Nella sua esposizione, il Dottor Mischiati afferma che una volta …”riparate, rimarginate e risanate tutte queste manomissioni (quelle apportate dalla pretesa imperizia degli operatori, secondo la logica del nostro), la canna recupera la sua lunghezza e – assieme al lavoro di “tondatura” – la sua cilindricità.” Ma quale lunghezza e cilindricità dovrebbero recuperare queste canne, se non quella del tutto casuale assegnatagli da quei procedimenti empirici ed approssimativi descritti precedentemente? Altezza e cilindricità (diametro) sono due grandezze la cui espressione non può che essere matematicamente stabilita, condizione sulla base della quale determinare quegli effetti in termini di frequenza sonora (Hertz) e timbratura che sappiamo essere le prerogative più evidenti di un registro d’organo. In un ambito dominato dalla più evidente approssimazione, tale qual era quello della costruzione d’organi fino al XIX secolo, discutere di temperamento mesotonico, barocco, terze pure o meno, non ha in effetti molto senso. Dopo Cavaillé-Coll, ogni buon costruttore d’organi sa che il lavoro di predisposizione delle altezze e diametri dei corpi sonori si avvale delle sue formule decisive, e negarlo non può che essere motivo di grande amarezza, oltre che puro falso ideologico. Ogni buon costruttore sa che prima di queste formule l’accordatura era un evento del tutto empirico, come d’altra parte lo rimane per certi versi ancor oggi.

 

Discutere di commi e cents riferiti all’epoca precedente l’avvento di tali ausili è del tutto inutile e superfluo. Ma tant’è, oggi per addivenire ad una egregia accordatura mesotonica ci si può avvalere delle straordinarie memorie contenute nelle scatolette magiche conosciute come accordatori elettronici, con buona pace delle tradizionali orecchie dei sapienti accordatori dei tempi andati, capaci di eseguire per l’appunto “ad orecchio” il loro lavoro!

 

Il riordino delle canne, operazione che sembra preoccupare grandemente il nostro illustre organologo, è l’evento paradossalmente chiarificatore di una serie di passaggi che hanno come scopo principale quello di raccontare la storia delle trasformazioni di questo o quel strumento, ed anche di determinare approssimativamente quale poteva essere un’ipotetica accordatura di queste macchine sonore, sulla quale non è dato raggiungere certezze oggettive. Se così non fosse, si è portati a pensare che i costruttori d’ogni epoca avessero l’insana abitudine di costruire canne e disporle sui loro somieri senza minimamente accordarle, lasciando la determinazione delle altezze sonore al puro caso; come abbiamo visto precedentemente. Egli afferma che …”Queste infatti si presentano il più delle volte manomesse alla sommità con schiacciamenti, tagli, squarci, slabbrature, asportazioni di lembi di lastra, persino sforbiciate plurime che conferiscono l’aspetto di frangia al bordo della lastra stessa.” Il risultato del riordino non può essere letto in maniera univoca, poiché è vero che le trasformazioni apportate a questi manufatti non sempre sono opera di ciarlatani; al contrario, spesso hanno rappresentato nuove prospettive artistiche per quegli strumenti, prolungandone nel tempo le virtù che il loro artefice ha saputo assegnargli. Che al termine del riordino si scovino canne rimaste miracolosamente intatte ed altre accorciate e di molto non dice proprio nulla, se non della conferma che l’accordatura è sempre stata un evento affidato alla relativa pratica; un concetto che esprime massimamente tutti i limiti del caso, in positivo ed in negativo. Assumere i risultati del riordino come valori oggettivi non può che sminuire il valore stesso dell’opera di restauro condotta fino a quel punto, mortificando l’essenza stessa del bene oggetto di restauro che a partire da quel momento si ritroverà privo della sua memoria storica, oltre che ingessato in un abito che in nessun caso gli appartiene. Le altezze risultanti da corpi sonori rimasti integri nel tempo – cosa peraltro difficile da dimostrare – consegnano al nostro udito una serie di relazioni tonali (intervalli) sui quali siamo chiamati ad esprimere valutazioni soggettive. Il parere dell’organologo, per quanto illustre, non può in nessun caso sostituirsi a quello dell’interprete e del costruttore, soprattutto se come oramai è d’uso in Italia l’organologo non assommi in sé le doti necessarie a farne un …esecutore ed interprete!

 

Ciò che conta sapere, dunque, è se “Mesotonico è più bello!”. Al Dottor Mischiati non dispiacerà, spero, se dirò che “Mesotonico è più strano, e per di più nemmeno bello!”

 

Non importa se saranno pochi a condividere questa opinione; sulle “altezze” non v’è certezza, ed ogni buon organaro lo sa. Peccato non sia altrettanto per gli organologi e le Soprintendenze!

 

Luglio 1999

 

Francesco Finotti (Crespino – Rovigo)

 

Note al testo:

1 - L’Art du facteur d’orgues.

2 - Al contrario, l’esattezza che da alcune parti si invoca a giustificazione di questo o quel tipo di accordatura storica richiede un approccio scientifico che sarà conseguibile solamente in epoca recente, come avremo modo di constatare.

3 - Vittoria sapientemente colta dai teorici ed organologi, come insegna la storia recente.

4 - Memoria presentata all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1840.

 

 

 

Note:

I periodico «Arte organaria e organistica» è pubblicato dalla Casa Musicale Edizioni Carrara di Bergamo www.edizionicarrara.it
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