Per una Rifondazione del Canto Sacro
“Ogni elemento torna alla sua origine”: questo principio regola molte vicende della vita vegetale e animale; pende, come una spada di Damocle, sull’esistenza umana: “Ricordati, uomo, che sei polvere e polvere ritornerai”.
Ma è anche un principio ispiratore: quando un Ordine religioso o una qualsiasi istituzione avverte segni di stanchezza o degrado morale, ripensa ai suoi inizi e sente di dover tornare alle proprie origini. Stiamo parlando del canto, parte viva delle nostre celebrazioni eucaristiche: siamo tutti d’accordo nel deprecarne l’attuale situazione.
L’ultimo Concilio della Chiesa Cattolica, il Vaticano II, ha evidenziato chiaramente che la partecipazione dell’Assemblea non è piena se rimane muta al canto liturgico. Per ottenere che il popolo canti, ci siamo affrettati a bandire dalle liturgie il glorioso repertorio musicale, gregoriano o polifonico, antico o moderno; e anche quello popolare, quel poco che ancora la gente ricordava. Di distruggere siamo stati capaci.
Dopo il Concilio ogni gruppo ecclesiale ha creato un proprio repertorio, ricco di migliaia di canti sacri, proponendolo all’uso della Chiesa universale. Centinaia di parolieri e musicisti hanno diffuso nuove creazioni, sono divenuti famosi, qualcuno se ne è anche arricchito. Ma l’Assemblea è rimasta muta, perché noi, musicisti e parolieri, non abbiamo accolto interiormente l’invito dello Spirito al rinnovamento; non abbiamo deposto la vecchia mentalità: far piacere alla gente, seguire la moda del giorno, parlare di cose della terra, glorificare noi stessi. Abbiamo fatto come gli altri artisti: architetti, che hanno disegnato una grande chiesa, e non credevano in Dio; pittori, che hanno dipinto un Crocifisso, e non andavano alla Messa. E l’Assemblea è rimasta muta.
Di chi è la colpa?
“La gente è pigra, non apre bocca, non sa cantare”. No, questo non è vero: la colpa non è della gente. È da secoli che abbiamo impedito alla gente di cantare. L’architettura stessa delle chiese lo dimostra.
Perché tante chiese medievali hanno la cripta? Non per il seppellimento di qualche santo abate, ma per celebrazioni eucaristiche frettolose e a bassa voce: la servitù e i monaci di basso rango, quelli che non avevano voce in Capitolo, assistevano a una breve celebrazione della santa Messa, per poi tornare sollecitamente ai loro servizi; mentre nella chiesa superiore i Signori, l’Abate e i Monaci d’alto rango godevano dei gorgheggi dei monaci cantori.
Perché nelle chiese del Rinascimento e dei secoli posteriori la cantoria e l’organo sono posti in alto? Certo, per far sentir meglio la loro voce; ma il fatto è che la cantoria era stretta perché era sufficiente ai due o tre, addetti alla produzione del suono. Nella Messa solenne l’Assemblea doveva tacere. Del resto si cantava solo in latino; la lingua volgare a Messa non era ammessa. La cosa non dispiaceva a nessuno.
Infatti dalla cantoria pioveva una musica sempre nuova, aggiornata sull’onde dei successi teatrali del momento. L’uditorio si beava di ascoltare un Kyrie sul tema dell’ouverture della Semiramide di Rossini; un Credo sull’aria del “Là ci darem la mano” del Don Giovanni di Mozart; e, alla Comunione, un motivo riciclato dalla romanza “Infelice, il veleno bevesti!” della Lucia di Lammermoor di Donizetti. È stata una tradizione secolare, dalla quale la Chiesa italiana non è mai riuscita a liberarsi, neanche ai tempi di San Pio X.
Del resto la tradizione ha continuato, adattandosi a portare in chiesa lo stile delle canzonette del momento o, ai nostri tempi, melodie adatte più alla colonna sonora dei film, che al canto appropriato per la divina liturgia.
Con quale desacralizzazione, è facile intuirlo. Infatti a riceverne danno è la musica; ma per i testi le cose si son messe molto peggio. Ma andiamo al dunque: all’Origine, appunto.
La Parola di Dio dimori fra voi
Cosa cantavano le comunità cristiane al tempo della prima evangelizzazione apostolica? Ce lo dice San Paolo nella Lettera ai Colossesi: “La Parola di Cristo dimori fra voi abbondantemente…, cantando a Dio di cuore e con gratitudine inni, salmi e cantici spirituali” (Col 3,16). San Paolo stesso e Sila, quando furono messi in prigione a Filippi, “verso mezzanotte, in preghiera, cantavano a Dio” (Atti 16,25).
Non abbiamo difficoltà a sapere cosa fossero quegli inni. Li abbiamo nelle Lettere: ai Colossesi (1,13 – 20), agli Efesini (1, 3 – 14; 1, 20 – 23; 2, 14 – 18), ai Filippesi (2, 6 -11); e anche in 1Pt 2, 21b – 25), come pure in tanti capitoli dell’Apocalisse.
Gli Apostoli con quale musica cantavano questi inni? Li cantavano come li avevano sentiti cantare nelle sinagoghe dei loro villaggi; e come erano abituati a fare quando leggevano la Parola di Dio, o intonavano i Salmi: su un semplice modulo melodico. Davano importanza alla Parola: annunciavano il mistero di Cristo, nascosto nei secoli, ora rivelato nella pienezza dei tempi. La Parola era sublime, affinché ogni ginocchio, in cielo, in terra e negli inferi, si pieghi; e ogni lingua canti che Gesù è il Signore.
E poi c’erano i “cantici spirituali”. Nulla di arcano! Chi ha partecipato alla preghiera dei Gruppi del Rinnovamento nello Spirito, ha goduto dell’armonia di quella invocazione, appena intonata, con cui ognuno loda il Signore, magari con qualche parola “in lingue”, suggerita dal soffio dello Spirito Santo. Una cosa del genere avvenne negli anni ’70 del 1900, quando il Card. Léon-Joseph Suenens (1904-1996) radunò un grande gruppo del Rinnovamento nello Spirito intorno a San Paolo VI. I convocati, tra la costernazione del Cardinale, cominciarono a pregare con uno di quei “cantici spirituali”. San Paolo VI ne fu rapito. Disse: “Sembra di stare in paradiso”.
Ora in questo libro sono raccolti dei Salmi e degli Inni, tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento.
La realtà da affrontare è questa: l’Assemblea non apre la bocca. Ebbene, non perdiamo tempo, dicendo che sono tutti ignoranti, che vanno educati. Smettiamo di fare i pedagoghi, i maestri di quanto non sappiamo. Del resto i portuali di Corinto, i gioiellieri di Efeso, erano più esperti nel canto dei Cristiani delle nostre Assemblee festive? E soprattutto: Gesù non ha affidato all’arte, allo spettacolo, allo splendore dell’oro, alla tecnica, il compito di evangelizzare il mondo. L’ha affidato alla Parola: “Andate e predicate”.
Il Gusto di pregare insieme
Ebbene, anche per la Santa Messa riprendiamo in mano la creatrice Parola di Dio. Offriamo ai fedeli i testi già usati dagli Apostoli. Cominciamo con il proclamarli tutti insieme, o a due cori alternati: fortemente, con la potenza del tuono, finché non sorga nell’Assemblea il gusto di dire insieme, con gioia, quelle sublimi ed eterne Parole, l’orgoglio di sentirsi Popolo di Dio, Popolo sacerdotale.
In un secondo momento, quando tutti, ma proprio tutti, avranno unito la propria voce al grido di lode, intoniamo quegli stessi testi su un modulo musicale, come i toni gregoriani, o qualcuna delle formule melodiche che, negli ultimi anni, si sono moltiplicate.
Quando tutta l’Assemblea avrà fatto proprio il canto della Salmodia, cominciamo ad inserire dei canti semplici, non troppo estesi nell’ambito dei suoni, dato che i frequentatori più numerosi delle nostre liturgie sono anziani e bambini, gente con poche note in gola.
In seguito riprenderemo a intonare i canti che, per qualche tempo, avevamo sospeso, tenendo sempre presente che il Canto Gregoriano è il modello supremo del canto liturgico; esso infatti, modulato sulla Parola, si snoda su un ritmo, libero come le onde del mare, mosse da quel vento, che “soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va” (Gv 3, 8): è il soffio dello Spirito che dà vita alla Parola.
Non ripetiamo l’errore degli ultimi secoli, quando in chiesa veniva riportato il mondo dell’Opera lirica; non ricorriamo allo stile delle canzonette, della musica commerciale o dei film, musica che affonda le radici tra i soldi, lo spettacolo, l’esibizionismo, il divertimento, il ritmo martellato; non certo nell’insegnamento degli Apostoli: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo” (Rm 12,2); “Non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza...; diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta” (1Pt 1, 14 s).
Se nella chiesa ci sarà un coro, i cantori non si mettano in un luogo distinto, evitino la pedana e lo scalino più alto; e qualsiasi atteggiamento teatrale o concertistico; si distribuiscano fra la gente.
Infine, quando l’Assemblea avrà ripreso il suo diritto a cantare e sarà così potente, che nessuno sarà capace di rubarglielo, il coro, i musicisti, aggiungano pure le loro armonie e i loro strumenti: sarà la Rifondazione della Musica Sacra.
Anche la Storia della Musica rivivrà una nuova stagione, meravigliosa come quella fiorita dopo la Riforma di Lutero: i Corali, semplici e angolosi, cantati da tutta l’Assemblea, dettero vita a composizioni, Passioni e Oratori firmati da J. S. Bach, G. F. Haendel, R. Schumann, F. Mendelssohn.
Ma è necessario che il Canto Sacro torni alla sua origine: l’origine apostolica.
[testo tratto dal sito internet lausplenafoundation.ch ]