In ricordo di Peter Williams

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In ricordo di Peter Williams
 


L’annata XXVIII [del periodico "Informazione Organistica"] è dedicata all’illustre musicologo ed interprete WILLIAMS Peter (Frederic), scomparso nel 2016. Per onorarne la memoria, nella rubrica Saggi di entrambi i numeri compaiono articoli che un gruppo di studiosi italiani e stranieri pubblicano in ricordo del grande studioso britannico su temi che gli furono cari.

 

Su Peter Williams va detto che la qualità delle ricerche e degli studi apparsi in libri ed articoli nel corso di un cinquantennio, dal volume The European Organ, 1450-1850 pubblicato nel 1966 a quello su "Bach: A musical biography" di cui ha fatto in tempo a correggere le ultime bozze, si misura sulla rara capacità di recuperare il significato storico di un fatto musicale o la dimensione umana del compositore oltre il velo dei luoghi comuni, delle false tradizioni, delle opinioni acriticamente consolidate.
 

L’esame dei documenti e l’analisi delle opere, condotte con spiccato acume critico in uno stile essenziale e concreto venato di un suo speciale British sense of humour, ha prodotto spesso risultati tanto sagaci quanto sorprendenti, da lasciar basito il lettore. Nel campo degli studi su Johan Sebastian Bach di cui era specialista, è suo il dubbio avanzato con ottime ragioni sull’autografia e la destinazione strumentale della celeberrima Toccata e fuga in Re minore per organo, archetipo e pietra angolare di un mito sul Kantor che ha preso avvìo fino dall’agiografico necrologio gravemente lacunoso stilato dai figli; è suo il quesito se lo straordinario pathos di cui è pervasa la Passione secondo Giovanni possa o no riflettere le emozioni provate da Bach e dai suoi musici nell’assistere ai cruenti supplizi dei condannati a morte, dopo averli accompagnati per le strade di Lipsia al loro personale Calvario.
 

A determinare gli interessi di Peter Williams concorsero il dottorato di ricerca sull’organo e la letteratura organistica del periodo georgiano (1714-1830), la nomina nel 1968 a direttore della raccolta di antichi strumenti a tastiera della Russell Collection di Edimburgo, la frequentazione di Gustav Leonhardt e di altri musicisti applicati al recupero della prassi esecutiva rinascimentale e barocca. Da questi precedenti nasce la rivista «The Organ Yearbook» da lui fondata nel 1970, dove di annata in annata si può constatare come lo studio accademico dell’organo venisse elevato a nuovi livelli critici: per la letteratura con lo stabilire l’autenticità delle composizioni, la cronologia, il contesto, lo stile, la prassi esecutiva; per lo strumento che gli dava voce con le indagini sulle caratteristiche timbriche e tecniche delle varie epoche e scuole, il riesame delle fonti note e la valutazione dei nuovi documenti d’archivio.
 

I libri pubblicati da Peter Williams, e la rivista dal significativo sottotitolo "A Journal for the Players & Historians of Keyboard Instruments" da lui diretta fino alla morte, hanno costituito per il cultore della materia un punto di riferimento indispensabile per conoscere lo stato dell’arte, per misurare quanto la giovane disciplina dell’organologia crescesse nella considerazione del mondo universitario. Avendo compreso che la ricerca sulla musica ‘antica’ non poteva prescindere dall’impiego degli strumenti originali, l’apertura agli storici degli strumenti a tastiera rifletteva la consapevolezza che le loro caratteristiche e la particolare funzione svolta potevano offrire inedite conoscenze sul mondo sonoro del passato. Nel caso dell’organo, andava esplicitato come sullo strumento polifonico dotato di tenuta dinamica del suono l’organista potesse scegliere il timbro più adatto al brano da eseguire fino dalla seconda metà del Quattrocento, nonché disporre le parti dell’Orazione musicale su piani sonori distinti; come il pittore poneva in prospettiva i personaggi, e ne colorava le vesti.
 

Quando nel 1980 pubblica "A New History of the Organ from the Greeks to the Present Day" Peter Williams non sembra disporre di una particolare conoscenza della manifattura italiana, a cui provvederà in seguito visitando la Penisola come aveva fatto per altri santuari musicali europei: per sedersi sulla panca dell’organo, toccare la tastiera e camminare sulle orme dei grandi compositori, come usava dire. Dopo alcuni fuggevoli incontri, il primo che condusse a scambi di idee sulla disciplina avvenne al Convegno "Arte organaria italiana e germanica tra Rinascimento e Barocco", tenutosi nel 2004 fra Trento e Smarano realizzando un’idea della direzione artistica dell’Accademia di Pistoia. Nei convivi, le battute di spirito e l’intreccio degli spietati anatemi contro le mode e le follie della ‘nuova musicologia’ d’oltreoceano preludevano per solito a considerazioni sulla bontà del metodo storico filologico, bussola tra le secche delle incoerenze stilistiche e faro tra gli scogli dell’anacronismo; e capitava anche di valutare i nuovi dati tecnici offerti dalla ricerca, a contrasto delle valutazioni soggettive e delle legittimazioni antistoriche del gusto. Apprendere che intorno al 1600 anche in Italia si costruivano strumenti a due tastiere e pedaliera con registri propri, che quelli a tre corpi d’organo potevano esser suonati da due esecutori «in concerto», che al tempo del Frescobaldi erano in uso cembali «all’ottava bassa» e che gli organi romani potevano disporre di registri ad ancia di varia foggia, di Traverse «attappate», di flauti coperti, a fuso e «a cannello», di Cimbali «a due file» in odor di protocornetto, se nei Soprani si disponevano «42 canne de piombo per ripieno del flauto chiuso», gli accendeva lo sguardo in un’interrogazione che svelava il carattere del filologo chino sul fiume della storia a intravvederne le anse, nell’affidarsi al motto: «la fantasia fiorisce sul metodo».
 

Negli ultimi anni aveva preso l’abitudine di trascorrere le vacanze di Natale a Roma, con puntate a Napoli, Firenze, Bologna. Quando venne nella città toscana, assieme al comune amico che gli faceva da mentore nella capitale, ci recammo al Domenico di Lorenzo del 1509-21 della Santissima Annunziata. Dopo aver ascoltato varie pagine del Cinquecento, che dello strumento mettevano nel giusto risalto le caratteristiche sonore nell’uso appropriato delle tessiture del sedici, dell’otto e del quattro piedi, volle lui stesso saggiare alla tastiera la voce e la pronuncia dell’organo in tutta la varietà degli accenti che le vocali e le consonanti emesse dalle canne potevano esprimere in altri brani della letteratura: concludendo col dire che quel linguaggio gli era familiare, e ne comprendeva il senso. Più tardi, dinanzi a una tazza di tè, di quell’idioma universale proponeva altri esempi, illustrando al pianoforte osservazioni e commenti sul significato che potevano assumere; in una sequenza che appariva quale summa delle sue esperienze didattiche, come un sunto delle emozioni musicali da lui provate in una vita di studioso e di esecutore.
 

Il ritorno alla stazione di Santa Maria Novella fu caldo di confidenze ed intese, tanto che il gelido vento che andava spazzando una Città del Fiore insolitamente rigida non venne quasi avvertito, in quella domenica d’inizio d’anno di qualche tempo fa di cui è ormai impossibile programmare la replica.
 

Pier Paolo Donati

 

 

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Autore: 
Pier Paolo Donati
Qualifica autore: 
direttore del periodico "Informazione Organistica"