Qualche riflessione in forma di domanda e risposta (Caporali)

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Autore: Fausto Caporali organista titolare del Duomo di Cremona

 

 

1-C'è spazio per la musica d'organo nella liturgia d'oggi?

 

 

Le disposizioni sono chiare: la musica è ancella dell'azione liturgica e su di essa modella i propri interventi; i tempi sono ristretti, ma soprattutto non si concede che la musica d'organo (o meglio, la musica in generale) diventi essa stessa rito, ossia che prolunghi un momento ad libitum; ne consegue che l'esecuzione del brano storico è soggetta a limitazioni che contrastano con la natura stessa dell'esecuzione (derivando l'artisticità dalla forma musicale), o ci si affida all'improvvisazione, che crea dal canto suo problemi di artisticità e/o di inadeguatezza di contenuti.

 

 

La stessa brevità dei tempi a disposizione non permette la possibilità del fare artistico; il versetto o il piccolo preludio non possono arrivare alla strutturazione artistica, o quanto meno non è ricevibile una richiesta istituzionale di questa portata. Se l'arte è forma (non si prende in considerazione la dissoluzione della forma modernamente attuata perché nega nei termini la possibilità di comunicazione e di intesa positiva), la forma deve avere la possibilità di strutturarsi nel tempo; l'arte nell'epoca contemporanea non è morta, se non nel senso della cosiddetta musica storica (che ripete musica di altre epoche e risponde a criteri artistici di altre epoche) o della cosiddetta avanguardia (che si nega al pubblico); l'arte ha cambiato semplicemente aspetti e la musica d'organo è altrettanto semplicemente sganciata da essa perché non ha modo di adeguarsi al tempo presente (sia perché è imbrigliato dalle disposizioni ecclesiastiche, sia perché non cerca più nulla di nuovo, sia perché eleva il suo passato a modello). Il suonare prima o dopo la liturgia è possibile solo se la comunità conferisce importanza e attenzione a quel momento, altrimenti suonare per nessuno prima e dopo, o suonare brevemente, non arriva a realizzare la possibilità di comunicazione artisticamente articolata.

 

 

2- E' positivo per il mondo organistico il restauro degli strumenti antichi?

 

 

Il restauro degli strumenti antichi, oggi attività di gran lunga predominante in Italia, anche se rimanda ad un fare artigianale di alta qualità, non corrisponde al sapere dell'organista di oggi; ciò che deriva dalla formazione scolastica nazionale e internazionale di un organista non trova realizzazione nello strumento se non nella direzione di una ricostruzione storica troppo spesso distante dal presente. La parte migliore delle sue conoscenze (i grandi autori della storia della musica) spesso non si esplica se non episodicamente o marginalmente sulla gran parte degli strumenti storici. A fronte di una fattura eccellente dello strumento vi è una produzione musicale coeva che è stata scadente o inconsistente o legata a stilemi impropri rispetto al sentire di oggi. Restaurato lo strumento ci si pone il dilemma di che cosa vi si può suonare. La risposta potrebbe essere di comporre e/o improvvisare, ma ciò che è più difficile, rispetto all'eseguire, non ha corso perché si trova ad essere nell'ambito di un'arte che non essendo richiesta e/o ospitata istituzionalmente, non ha neppure motivazioni d'essere ricercata con la fatica dei particolari. Oltretutto, riferendoci alla liturgia, l'organista ha un solco praticamente obbligato quando si trova a suonare su strumenti storici (gli adattamenti essendo troppo problematici se non impossibili), e arriva a riproporre quella musica che la chiesa a più riprese ha voluto estromettere dal rito; le stesse ricostruzioni dello strumento arrivano a ignorare del tutto le disposizioni dell'inizio del secolo XX riguardo alla tipologia dello strumento. Delle due, l'una: o la chiesa ha sbagliato allora quando è intervenuta a correggere strumenti e musica, o sbaglia ora ad assistere alla esatta ricostruzione di essi, quasi che nulla sia successo; in più, il corrispettivo musicale culturale consiste, come era al tempo, in una letteratura non originale, limitata e limitante. Per esercitare un servizio a livelli accettabili culturalmente occorre ricorrere ai tanto vituperati strumenti ceciliani o eclettico-sinfonici e ai troppo pochi strumenti di nuova costruzione. Naturalmente non sfugge che vi siano disposizioni di legge cui nessuno può sottrarsi, ma manifestamente essi derivano da un assenza di poetica artistica (la salvaguardia come museo) e di idealità liturgica (ciò che è superfluo o ininfluente liturgicamente non segue direttive innovative). L'ex lege inoltre, indirizza oggi primariamente al ripristino di stadi storici di uno strumento, escludendo quasi di norma altre scelte e prescindendo da portati culturali aggiornati o da soluzioni originali; la liturgicità non è considerata, la creatività non è favorita, la storia è fermata in un passato reso superiore di fatto al presente e non vi è evoluzione ma quasi solo incapacità o impossibilità di agire originalmente nel presente.

 

 

3-Il ripristino dei temperamenti antichi può giovare alla liturgia?

 

 

Sempre più i restauri sono accompagnati da accordature temperate in modo inequabile; è chiaro che, nel momento in cui si ripristina la fisionomia di uno strumento riportandolo a una data epoca, si arriva di conseguenza ad estendere i parametri anche all'altezza dei suoni (secondo ipotesi la cui scientificità, nei casi specifici, è tuttavia da dimostrare). Vi sono stati tentativi per convincere che ciò non reca alcuna conseguenza sugli interventi dell'organo nella liturgia di oggi. Nessuno però è arrivato a dare soluzioni a una questione che non può essere risolta nei termini dati: se un temperamento non prevedeva l'uso di date tonalità, non si vede come possa permetterlo oggi quando quelle tonalità sono tuttavia impiegate. La questione non spetta all'organista più o meno abile nel trasporto: egli deve usare le tonalità permesse dall'accordatura. Neppure potrà suonare con strumenti, la cui costruzione oggi risponde tecnicamente al temperamento equabile. I temperamenti non si sono evoluti per mezzo di tabelle matematiche: queste erano soluzioni teoriche per allargare lo spettro delle tonalità praticabili; gli organari non usavano come oggi, purtroppo, strumenti elettronici per realizzare accordature; i teorici ragionavano sui numeri e stilavano tabelle, mentre gli organari semplicemente fornivano all'organista, forse su espressa richiesta e sicuramente regolandosi con la musica per strumenti, le tonalità d'uso, prevedendone alcune ed escludendo quelle meno impiegate. L'orecchio poco alla volta si è assuefatto ad accordi meno puri, ma non è con il far sentire o con lo spiegare all'ascoltatore che il tal accordo suona meglio che si procede nella storia, né, tantomeno, è il ridurre lo spettro sonoro ad aiutare l'ideazione moderna; il pubblico, più che essere convinto di una cosa ovvia, vuole musica e si ritorna fatalmente alla domanda di quale musica si può suonare con temperamenti antichi per fare in modo che l'ascolto sia apprezzato e rinnovato. Anche qui, il corrispettivo culturale è una musica la cui artisticità è decrittata solo dallo specialista o, addirittura, è di importanza marginale. Nella liturgia l'organista deve mettere da parte le sue abilità e usare quelle poche tonalità possibili, ignorando le eventuali necessità pratiche. Si ripropone il caso di possibilità non date nella natura stessa della questione e di una storia che procede all'indietro sperando che il pubblico segua l'intendimento intellettuale, senza che i contenuti musicali siano poi fruibili concretamente nella sensibilità attuale.

 

 

4-L'organista ha possibilità di intervenire con proprie richieste?

 

 

Salvo rarissimi casi, l'organista oggi non ha possibilità di vedere realizzate propri desiderata sia nella liturgia, in cui non vi è spazio per rendere consistente i propri interventi, sia nel caso di restauri, in cui egli deve di solito trovarsi in sintonia con indirizzi dati a priori. Per ciò che riguarda la liturgia, da una possibilità estremamente ampia di fare musica, come era nel secolo XIX e prima, si è passati a un sostanziale riempimento e incorniciamento di momenti o poco più. L'artisticità è passata nel concerto, in cui non vi sono limiti di tempi e mezzi. Forse si possono scoprire nuovi modi di far musica nella liturgia, ma certo non ragionando al minimo, come sembra essere d'obbligo oggi; eppure, con disponibilità reciproche, si possono scoprire nuove maniere di combinare musica e parole, nuovi interventi, nuovi modi di accompagnare l'assemblea, ecc., se solo la creatività ha possibilità di libero corso e le sonorità lo permettessero. Non vi è possibilità di chiedere nuovi suoni: salvo nel caso di costruzione di nuovi strumenti, per la maggior parte dei casi (restauri, copie, ecc.), l'unica direttiva praticata, dall'alto, è quella filologica (consistente perlopiù in ricostruzione di parti -dunque falsi moderni) di chiedere e di realizzare la musica che più gli è consona. La funzione di protagonista nell'arricchimento della liturgia e nella progettazione dello strumento è dunque scomparsa o ridotta a quasi nulla; l'organista non ha più possibilità di intervenire secondo propri convincimenti.

 

 

5-L'indirizzo storico filologico può risolvere i problemi della presenza dell'organo nella cultura odierna?

 

 

L'organo sembra estraneo alla cultura moderna; il fatto che abbia un suo pubblico, non scalfisce minimamente le apparenze di un mondo chiuso e rivolto a epoche lontane. Le ricostruzioni filologiche, per quanto necessarie alla conservazione di un passato che va conosciuto e rispettato (ma certo si vorrebbe che non diventasse totalizzante, come in realtà sta avvenendo), arrivano a fargli parlare una lingua in ritardo sui tempi e, in fin dei conti, accessibile a pochi. L'idea che tutti gli strumenti in cui vi sia una stratificazione antica vadano ripristinati ex lege non si lega a un'effettiva consonanza con l'ascoltatore e con la liturgia; se la musica che si faceva sullo strumento antico era ben poco artistica e ben poco liturgica (accompagnava solo solisti, oltretutto), resta difficile ottenerla oggi, a parità di premesse. Eppure ben si sa che la cultura di oggi ha bisogno di grande musica (di grandi autori della storia della musica, appunto), di spettacolarità, di abilità e suoni nuovi. Il canale può essere quello del concerto, sicuramente, come è prassi là dove vi è una grande cultura organistica, non chiusa sulla minuzia storica ma aperta alla grande esecuzione, ma lo può essere anche la liturgia, laddove si maturi il convincimento tanto di aderire all'ascoltatore, quanto di inventare nuovi spazi e contributi nella liturgia: è qui dove si crea la sensibilità e la necessità, nell'intervento periodico e qualificato e nella ricerca di nuove forme più che nel concerto una tantum.

 

 

6- E' necessario il riconoscimento normativo?

 

 

E' fondamentale l'inquadramento istituzionale, per il semplice fatto che l'arte, da sempre, è corrisposta (anche oggi, nei campi più dinamici); proprio la remunerazione ne attesta la necessità. In mancanza di essa, tutto è possibile, anche il dilettantismo. A questo punto sorge spontanea la richiesta di una spiegazione del fatto che i restauri sono finanziati da organismi centrali e periferici (CEI, Stato, Parrocchie), con costi spesso fuori dalla libera concorrenza, mentre la figura dell'organista non ha ancora riconoscimenti ufficiali, con tutte le possibilità e flessibilità offerte dalle normative attuali. Evidentemente la persona che fa funzionare lo strumento conta meno dello strumento stesso, e mentre gli organi fra qualche anno saranno nelle stesse condizioni, per gli organisti non vi sono possibilità concrete di impiego se non fortuitamente e occasionalmente. Anche questo è un segnale; non si vorrebbe che questo rispecchiasse una considerazione nei confronti degli artisti che, per contro, sarebbero disposti a mettere la loro vita al servizio della musica in chiesa.

[alle stesse domande risponde Lorenzo Marzona]

 

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