Louis VIERNE

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Louis VIERNE (1870-1937) - L’organista poeta

 

di Giorgio Benati

 

 

 

 

L'8 ottobre 1870 nasceva a Poitiers il grande organista e compositore Louis Vierne che sarà poi per ben 37 anni, dal 1900 al 1937 anno della sua morte, organista titolare del grand’organo di Notre-Dame a Parigi e fra i maggiori compositori e improvvisatori del periodo.

 

La sua fu una vita musicale sì molto intensa e prestigiosa, con 1750 concerti d’organo in Europa e negli USA e una ammirata attività compositiva, ma anche travolto da una natura ostile (quasi cieco fin dall’infanzia a causa di una cataratta congenita inoperabile), la morte in guerra nel primo conflitto mondiale dell’amato fratello René e del figlio primogenito Jacques, una vita sentimentale infelice (soffrì molto per la separazione dalla moglie Arlette) e precarie condizioni di vita (nel 1936 e 1937, grazie ai buoni uffici del conte e della contessa Stanislas de Castellane, gli fu assegnata una rendita di 10.000 franchi che il Comune di Parigi concedeva ad alcuni artisti bisognosi).

 

Si rifugiò nella musica, «La credo capace di rendere gli uomini migliori, attraverso l’esistenza di un amore universale», e ci lasciò un patrimonio musicale di assoluta bellezza.

 

Come non ricordare da subito la meravigliosa Sonate pour piano et violon op. 23 (1908) dedicata al suo primo interprete il grande violinista Eugène Ysaÿe il quale poi la portò in tournée con il celebre pianista Raoul Pugno, sonata degna di apparire accanto a quelle di Fauré, Franck e Lekeu nei suoi concerti. È questa una delle opere più importanti della scuola francese del Novecento. Sappiamo che Vierne studiò anche in modo approfondito il violino all’Istituto per i giovani ciechi di Parigi (Institution des jeunes aveugles) negli anni 1881-90. Rimarchevole anche la Ballade pour violon et orchestre op. 52, dedicata a Jacques Thibaud altro grande violinista del periodo. Notevole la sua produzione di cui citiamo altresì la Sonate pour violoncelle et piano op. 28 (1911) con dedica a Pablo Casals; il Quintette pour piano et cordes op. 42 (1917) “A la mémoire de mon fils Jacques” morto in guerra, come dicevamo; la Symphonie d’orchestre en la mineur op. 24 (1908) dedicata a Gabriel Fauré; il Poème pour piano et orchestre op. 50 (1925) dedicata al noto pianista spagnolo José Iturbi, che nel 1926 le diede una prestigiosa prima esecuzione ai celebri Concerts Lamoureux a Parigi; all’ode lirica Vertice op. 41 (1917), per tenore solista e orchestra che Vierne scrisse per il “poetissime” Gabriele, come lui chiamava Gabriele d’Annunzio, in ricordo del loro incontro; sempre del 1917 sono le Spleens et Détresses op. 38 (1916), nove liriche per canto e pianoforte o orchestra su poesie di Paul Verlaine. Vierne stimava particolarmente Verlaine di cui ricordava, nelle sue Mémoires, un giovanile incontro nella tribuna dell’organo di Saint-Sulpice:

 

“[…] Il poeta di Sagesse era venuto un giorno dell’inverno del 1895 […] seduto in un angolo della tribuna, gli occhi fissi, nella postura pietrificata che era per lui usuale […] era passata un’ora senza che proferisse una parola. Dopo la fine dei vespri venne da me e, senza diserrare i denti, mi fissò profondamente e poi se ne andò”.

 

 

Nonostante oggettive difficoltà di vista e di scrittura data la sua congenita malattia, l’ambito compositivo di Vierne ha riguardato un ampio spettro di interesse come il pianoforte, il sinfonico, la liederistica, la musica da camera, la musica liturgica con un catalogo che comprende 62 numeri d’opera più altri 5 senza opus.

 

Ma il suo grande interesse è stato soprattutto quello dedicato al mondo dell’organo e della sua attività di organista al servizio nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Tre essenzialmente le forme prescelte: la symphonie, le pièces libres e la messe basse. La fuga, forma di riferimento per ogni organista-compositore, venne da lui considerata solo sporadicamente: oltre a una fuga completa nella Prima Sinfonia, appaiono poi solo due inizi di fuga, uno nell’Allegro della Quarta Sinfonia, l’altro nell’Introït della prima Messe basse op. 30. Certamente fu una scelta obbligata consigliatagli dal gigantesco strumento di cui disponeva (un Cavaillé-Coll di 93 registri e 5 tastiere) collocato su una navata immensa che poco si adattava a ricevere dettagli minuziosi e che, invece, meglio si adeguava ad amalgami e sonori registri solistici. Giustamente è stato detto che l’organo di Notre-Dame de Paris è fatto per l’affresco, non per la miniatura. 

 

Questo il catalogo della sua produzione per l’organo e con l’organo: 6 Symphonies, 24 Pièces de fantaisie, 24 Pièces en style libre, due Messe basse op. 30 e 62 di cui la seconda, Messe basse pour les défunts, è stata l’ultima opera da lui composta. Vierne ha, inoltre, scritto e pubblicato numerosi pezzi staccati per organo. Due di loro sono apparsi nella collezione L’Orgue moderne prima del 1900: sono un Allegretto en si mineur op. 1, un Prélude funèbre op. 4, una Communion op. 8. Nella raccolta antologica Maîtres contemporains de l’orgue a cura dell’Abate Joubert, nel volume n. 2 (1914) troviamo un Prélude in Re maggiore e nel volume n. 7 (1914), un altro Prélude in Fa diesis minore. In un’altra raccolta antologica Archives de l’Organiste del 1910 troviamo una Entrée. Nel 1931 riunì tre opere scritte in momenti diversi in un Triptyque op. 58: Matines, CommunionStèle pour un enfant défuntImportante anche la Marche triomphale op. 46, composta nel 1921 per la cerimonia del centenario di Napoleone I e scritta per tre trombe, tre tromboni, tre timpani e un grande organo.

A tutto questo vanno poi aggiunti alcuni brani senza opus: Verset fugué sur "In exitu Israël"; Prélude in Fa diesis minore e Trois Improvisations (reconstituées d’après le disque par Maurice Duruflé). Il Final dalla Prima Sinfonia è stato dall’autore trascritto per organo e orchestra e ce ne rimane una copia manoscritta a cura di Madeleine Mallet-Richepin, sua allieva e amica (1898-1962). Altresì, l’organo è presente anche in questa produzione liturgica: Tantum ergo op. 2; Ave Maria op. 3; Ave verum op. 15; Messe solennelle op. 16 per coro a 4 voci e due organi o orchestra; Les angelus op. 57 per canto e organo o orchestra.

 

L'estetica di Vierne si basava su un assioma preciso: «Mi piace nella musica quello che commuove, non quello che sorprende, tanto meno quello che esplode». Questo era il suo credo nella musica. L’elemento centrale in tutta la sua musica è il tema, portatore di un sentimento. Poi, ci scrive in una lettera:

 

“[…] Scegli la forma che si adatta alla traduzione del sentimento. Troppo spesso gli viene attribuita una funzione fuori luogo, come se la struttura stessa fosse in grado di attirare idee. Solo il sogno genera l’opera d’arte. Essenzialmente dionisiaca, la musica prende in prestito la sua forma da Apollo solo per essere percepibile. Apollo rimane l’intermediario; la vita è in Dioniso”.

 

Vierne era un romantico, nella sua vita come nell’arte. Aveva ereditato due tendenze opposte, quelle di César Franck e Charles-Marie Widor, dei quali era stato allievo (ma anche di Alexandre Guilmant), che gli avevano insegnato, il primo la musica e l’altro il mestiere. Di Widor lo affascinava la perfezione formale e le capacità di scrittura mentre di Franck lo attirava la carica espressiva, così densa di effusioni e di profumo spirituale, e la “forma ciclica” in cui vedeva in essa il vantaggio di un rafforzamento dell’unità tematica.

 

Nella maturazione si avvicinò all’estetica romantica di Schumann, per il romanticismo delle idee, e di Wagner per l’estetica in generale di cui assimilò il cromatismo esasperato e molti dettagli armonici. Sulle influenze ci è rimasta una sua diretta testimonianza lasciataci a vent’anni:

 

“Avevo elevato all’altezza degli dei sovrani Bach, Beethoven, Mozart, Schubert, Schumann, Franck. Resistevo ancora a Wagner, la cui filosofia trovavo confusa, la sua poesia nebbiosa, la musica di grande bellezza ma disseminata di infinite divagazioni e di una tensione troppo costante verso il sublime: non ero ancora maturo per indovinare la meraviglia quasi sovrumana di un’arte del genere. Ho amato Lalo, ho scoperto Fauré; Saint-Saëns mi sembrava un artista prodigioso; avevo tenerezza per Gounod, ammirazione per Bizet, e non ero immune al fascino di Manon”.

 

Successivamente, Wagner si è rapidamente unito a loro. L’ascolto del Tristan und Isolde, in particolare, ha messo Vierne in uno stato di ipnosi. Era l’opera che avrebbe sempre voluto comporre anche lui. Se ne cibò con sazietà e la Quinta Sinfonia ne è una testimonianza precisa.

 

Dei moderni stimava molto Debussy, «[…] Genio non esente da influenze […]. È l’uomo delle impressioni idealizzate. Creatore di atmosfere vaporose, orizzonti sfocati, atmosfere delicate e sfumature sottili […]»; di Ravel diceva «d’avoir fumé les mégots de Debussy» (“di aver fumato i mozziconi di Debussy”) e si ostinava a vedere in Stravinskij «un sauvage en veston» (“un selvaggio in giacca”). Aveva invece un vero culto per Gabriel Fauré che simboleggiava esattamente il suo ideale estetico perché aveva saputo racchiudere la più raffinata sensibilità nelle forme più perfette. Sulle avanguardie del periodo disse: «Non mi sono mai piaciute queste atmosfere d’avanguardia». Sui virtuosi: «Che un virtuoso sappia leggere, è accettato; che sappia scrivere, è strano; che superi il certificato elementare, è sospetto. “Sciocco come un musicista”, dicono. Ahimè ... Ma anche […] senza dubbio, ci vuole tecnica, una tecnica splendida. Ma occorre anche, e soprattutto, essere capaci di un po’ di amore, di cultura, di sentimenti ... Chi non ama non può produrre […]».

 

Fu un insegnante eminente, molto scrupoloso, con allievi che provenivano da molti Paesi ed ebbe degli alunni illustri, fra cui Marcel Dupré, Maurice Duruflé, Gaston Litaize, Lili e Nadia Boulanger, André Fleury. Fu allievo e poi assistente sia di Widor sia di Guilmant nella classe d’organo del Conservatorio nazionale di Parigi, senza percepire alcun compenso.

 

Fisicamente era piuttosto basso, con mani molto delicate. Aveva lineamenti di grande nobiltà con una naso borbonico, la testa leggermente rialzata, la bocca semiaperta sormontata da grandi baffi, abbastanza lunghi per il tempo. Vestiva sempre elegantemente adornato con un papillon nero. Lo sguardo era bello e non dava l’impressione di cecità; gli occhi, spalancati e azzurri, erano appena oscurati da una specie di velo. L’occhio sinistro era perso; l’occhio destro conservava una certa visione, grazie alla pupilla artificiale realizzata dal dottor de Wecker nel 1876. Fumava molto e soffriva di palpitazioni cardiache. Insegnava o studiava sempre dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 17 e preferiva dedicarsi alla composizione in fascia serale/notturna e durante le vacanze estive.

 

Morì all’organo di Notre-Dame la sera del 2 giugno 1937, colpito da un’embolia, durante un concerto che divideva con il suo amato allievo, assistente e amico Maurice Duruflé. Questo quanto hanno riportato le cronache:

 

“Aprì lui il concerto eseguendo il suo Triptyque op. 58 poi proseguì Duruflé. Fu poi consegnato a Vierne il pezzo di carta su cui era stato trascritto in Braille il tema scelto per l’improvvisazione, quello dell’Alma Redemptoris Mater. Pensò per un momento, predispose la sua registrazione e, in silenzio, si preparò a improvvisare. All’improvviso barcollò, sussurrò poche parole e appoggiò un piede su una nota del pedale che prese a suonare …”.

 

Due giorni dopo, la bara fu portata a Notre-Dame, dove gli amici, i parenti e gli studenti del Maestro hanno vegliato su di essa per tutta la notte successiva. I funerali si sono svolti sabato 5 giugno in cattedrale e i discorsi commemorativi sulla sua tomba nel cimitero di Montparnasse.

 

Vierne ha resistito alla prova del tempo senza pagare il prezzo della sua gloria in vita con l’oblio dopo la morte come spesso avviene. Anche le avanguardie post bellum, dal 1945 in poi, con le loro ambizioni distruttrici e le incredibili sciocchezze compositive che ci hanno propinato, hanno per nostra fortuna ignorato che molti organisti lo continuavano a eseguire e amare. Ora sembra partita per l’organo una Vierne renaissance augurandoci che abbracci anche l’ampio patrimonio compositivo che ci ha lasciato e che abbiamo in parte ricordato. Che risuoni la sua musica e la sua essenza di musicista poeta.

 

- tratto da «BRESCIA MUSICA - BIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA MUSICALE DELL’ASSOCIAZIONE FILARMONICA “ISIDORO CAPITANIO”», ANNO XXXIV N° 170 - DICEMBRE 2020

 

 

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