[L'organo "Fratelli Lingiardi" op. 145 (1865) della chiesa parrocchiale arcipretale dello Spirito Santo in Croce Santo Spirito presso Cremona]
La Chiesa cattolica e gli organi storici [*]
Sulla musica sacra e la condotta delle celebrazioni liturgiche, una storica Enciclica pose un punto fermo nel 1903:
«Tra le sollecitudini di ogni chiesa è quella di mantenere e promuovere il decoro della casa di Dio […] nulla deve concorrere che dia ragionevole motivo di disgusto o di scandalo […] nulla che direttamente offenda il decoro e la santità delle sacre funzioni e sia indegno della Casa di orazione e della maestà di Dio […] la musica sacra concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche […] deve possedere nel modo migliore le qualità che sono proprie alla liturgia e, precisamente la santità e la bontà delle forme […] deve esser santa, e quindi escludere ogni profanità, non solo in sè medesima, ma anche nel modo onde viene proposta da parte degli esecutori […] deve essere arte vera […] la Chiesa ha sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti, ammettendo a servizio del culto tutto ciò che il genio ha saputo trovare di buono e di bello nel corso dei secoli […] siccome la musica moderna è sorta precipuamente a servigio profano, si dovrà attendere con maggior cura perché le composizioni musicali di stile moderno che si ammettono in chiesa, nulla contengano di profano». (Motu proprio di san Pio X papa, «Inter sollicitudines», 22 novembre 1903).
Dal Concilio Vaticano II gli organisti vivono realtà difficili. Non che prima fossero rose e fiori, ma almeno anche nei più piccoli borghi il loro ruolo, la loro immagine e la loro responsabilità orbitava in acque dignitose: dall’organista liturgico-amatoriale al blasonato organista liturgico titolato, addirittura vincitore per concorso dell’incarico e in tal caso ovviamente retribuito (poco!).
Le direttive conciliari, male interpretate, hanno determinato una nuova situazione: l’organista in genere è un volontario, spesso impreparato
e non retribuito. Non ha studiato organo né composizione organistica, né la liturgia; spesso è un pianista di poca perizia, che sa poco di ritualità liturgica e ancor meno di improvvisazione e accompagnamento polifonico-vocale. Nella sua buona fede (ma di questa è complice il committente!) fa quello che sa e può, latore di quel non rispetto del luogo sacro, che è sacrilegio.
Purtroppo sono molto diffuse orecchie incolte ed insensibili, che non discernono da una funzione irrispettosa del luogo sacro che offende, al sacro fuoco perverso del volontariato ambizioso, ma privo di serio fondamento musicale. Ci si consola poiché mala tempora currunt. E la consolazione accomuna i disperati della musica: organisti poveri, vocalisti incolti, volgari e diseducati, maestri di coro (oggi si chiamano animatori liturgici), cori improvvisati e disorganizzati, compositori nostalgici di festival sanremesi caduti in disgrazia, strumentisti (ahimé le chitarre!) brutali dilettanti, poeti da strapazzo, inventori di testi pietistici.
E l’autorità della Chiesa? Condivide ed acconsente, oppure, e questo è sommamente grave, constata ma ignora di sapere.
Ormai è tempo di nostalgie: si invoca un nuovo Motu proprio, che nei primi anni del Novecento, ‘con le buone maniere’ di Pio X mise le cose a posto... e tutti zitti! Questa è ingenua nostalgia, ancor più macroscopica a fronte della presenza di un Pontefice Emerito, musicista autentico e vero, tradizionalista, teologo, proveniente da una famiglia di musicisti, innamorato della musica sacra, dell’organo, estimatore della creatività di Lorenzo Perosi, pungolatore, attraverso le sue dichiarazioni, del rispetto del luogo sacro attraverso la musica.
Ma la dimensione del presente, in seno alla Chiesa, volge altrove, presa da problematiche serie, nel gorgo dell’anticlericalismo, nella dialettica populista, nel confronto sociale irreligioso ateo e blasfemo, nella convivenza con altre fedi, nella ribellione popolare, nell’insofferenza per i valori spirituali, nel malinteso senso dell’adesione ad una fede sincera.
Ne fa le spese ‘la Musica’, sia essa sacra o religiosa, ed i suoi attori, compositori, poeti, organisti, maestri di coro, vocalisti, liturgisti musicali. Essi ‘non sono’, non servono, anzi ‘guastano la festa’, depositari di una tradizione, latori del bello, testimoni dell’innalzar l’arte musicale al Supremo, veri protagonisti dell’offerta spirituale attraverso l’arte dei suoni.
Tuttavia ‘non tutto il mondo è paese’. Nei paesi civili, anche in confessioni ortodosse, protestanti, luterane, calviniste, battiste, avventiste, mormone, anglicane, evangeliche, valdesi ‘la musica suona in ben altro modo’.
Forse la Chiesa cattolica romana, universalmente diffusa, è l’unica che ha sposato la volgarità musicale, l’abbandono degli organi, la ghettizzazione di compositori, direttori di coro, vocalisti ed organisti optando per la musica da discoteca, gli organi elettronici coniugati con gli strumenti rock-leggeri, i cantautori disoccupati nei festival e rifugiatisi furbescamente nelle celebrazioni liturgiche, gli editori, altrettanto disoccupati nella ‘musica dei giovani’, ma rapaci nel vendere, sempre a quelli con ‘le orecchie d’asino’ i loro satanici prodotti poetico-musicali.
La stonatura dell’arte musicale prosegue con l’aspetto didattico, risibile se si considera che nei nostrani Conservatori di musica ancora si conferiscono diplomi per organisti liturgici i quali ancora studiano il canto gregoriano ed il suo accompagnamento, l’improvvisazione e compongono mottetti su testo latino. Vien da ridere, o peggio da piangere.
In ogni caso l’esportazione di tali organisti ancora può verificarsi, ed è ciò che comunemente accade, semprecché il malcapitato organista ... non appenda l’organo al chiodo. Sì perché oggi ‘organista’ ha significato di ‘concertista’ e ciò spiega il profluvio indiscriminato di concerti d’organo a proposito ed a sproposito.
Tutela degli organi antichi: così recita la legge tra lo Stato e la Chiesa Cattolico-romana, D. P. R. 26 settembre 1996, n. 571 - Esecuzione dell’intesa fra il Ministro per i beni culturali e ambientali ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 13 settembre 1996, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche.
«Vista la legge 25 marzo 1985, n. 121, recante ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede: Il Ministro per i beni culturali e ambientali ed il presidente della Conferenza episcopale italiana concordano sulle modalità previste dalle seguenti disposizioni: articolo 5. 1. Il vescovo diocesano presenta ai soprintendenti, valutandone congruità e priorità, le richieste di intervento di restauro, e di conservazione concernenti beni culturali di proprietà di enti soggetti alla sua giurisdizione.»
L’accordo Italia-Santa Sede del 1984 prevede che «gli organi competenti delle due Parti» pervengano a specifici accordi circa i beni culturali di interesse religioso; le normative statali e regionali riguardanti la materia contengono numerosi riferimenti ad autorità ecclesiastiche, quali la Conferenza episcopale italiana, le conferenze episcopali regionali ed i vescovi diocesani. I beni culturali ecclesiastici esistenti in Italia sono soggetti alle universali della Chiesa ed alle disposizioni del Codice di diritto canonico promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983. La CEI emise disposizioni che vennero promulgate il 14 giugno 1974 sotto il titolo Tutela e conservazione del patrimonio storico artistico della Chiesa. Norme dell’Episcopato italiano; con tali norme i vescovi si proposero di «promuovere una maggiore intesa con le autorità statali» in un clima di armoniosa e mutua collaborazione; i vescovi avvertirono l’esigenza di porsi come diretti interlocutori delle autorità civili. Il documento che vede la luce il 9 dicembre 1992 sotto il titolo I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti, pur mancando di valore legislativo, è tutt’altro che privo di autorevolezza; si propone in particolare «di estendere organicamente l’attenzione a tutti i settori dei beni culturali» e di dare «particolare rilievo a quei problemi che negli ultimi anni sono venuti acquistando notevole importanza» collocandosi «nella prospettiva della collaborazione con le istituzioni civili e con le molteplici realtà che operano nella società italiana».
L’art. 12 dell’Accordo concordatario del 1984 - oltre a impegnare la Santa Sede e la Repubblica italiana a collaborare «nel rispettivo ordine […] per la tutela del patrimonio storico ed artistico» - prevede che «al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso» gli organi competenti delle due Parti concordino «opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche». L’intesa si propone che «i competenti organi centrali e periferici del Ministero» invitino «i corrispondenti organi ecclesiastici» ad «apposite riunioni» per «la definizione dei programmi o delle proposte di programmi pluriennali e annuali di interventi per i beni culturali e i relativi piani di spesa». Non vi è alcuna espressa previsione di intese od accordi, salvo che per «interventi ed iniziative che prevedono, in base alla normativa vigente, la partecipazione organizzativa e finanziaria rispettivamente dello Stato e di enti ed istituzioni ecclesiastici, oltre che, eventualmente, di altri soggetti».
Il territorio del nostro Paese è ripartito in sedici regioni ecclesiastiche soggette all’autorità delle rispettive conferenze episcopali regionali, composte dai membri della CEI. A tali conferenze compete il mantenere «rapporti con e autorità civili le con le realtà culturali, sociali e politiche delle regioni civili».
Nel D. L. 31 marzo 1998, n. 112, «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del
Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59» si dispone che un membro designato dalla rispettiva conferenza episcopale regionale faccia parte della
«commissione per i beni e le attività culturali» da istituirsi in ogni regione a statuto ordinario (sono escluse le regioni autonome a statuto speciale, che possiedono ordinamenti non dello Stato in materia di tutela dei beni artistici e storici). Il vescovo diocesano ha tutti i poteri necessari allo svolgimento del suo ministero; «il compito di coordinare, disciplinare e promuovere quanto attiene ai beni culturali ed ecclesiastici spetta al Vescovo che, a tale scopo si avvale della Commissione diocesana per l’arte sacra e i beni culturali e di un apposito Ufficio presso la Curia diocesana».
È espressamente stabilito che «tutte le richieste di intervento di restauro, di conservazione o quelle di autorizzazione, concernenti beni culturali» di proprietà di enti ecclesiastici vengano presentate ai soprintendenti esclusivamente tramite il vescovo diocesano, che ha il compito di valutarne previamente «congruità e priorità». Gli organi statali si troveranno a dover esaminare richieste già attentamente vagliate dall’autorità ecclesiastica. In base a quanto previsto in precedenza storica dall’art. 8 della legge 1089/1939 «i provvedimenti amministrativi concernenti i beni culturali appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche» siano assunti dai competenti organi ministeriali «previa intesa con l’ordinario diocesano competente per territorio e comunicati ai titolari tramite l’ordinario stesso».
La revisione del concordato ‘Craxi-Casaroli’ del 1984 ha sancito nuove normative peraltro vaghe e diplomatiche con approfondimenti sibillini
e da interpretare. Nella legge in oggetto mancano chiare indicazioni comportamentali, sia da parte dello Stato, sia della Chiesa per quanto concerne i comportamenti da assumere in caso di interventi di restauro agli organi antichi da parte dei maestri d’organo. Le Soprintendenze, al di là delle indicazioni della legge in oggetto, continuano a spadroneggiare con arroganza e prepotenza approfittando della relativa competenza ed autorevolezza delle Commissioni diocesane di musica sacra: occorre riconoscere che la legge n. 1089 del 1939 pose rigide norme per la nomina degli Ispettori onorari preposti alla tutela del patrimonio, regole che la Chiesa non seppe emanare.
Ne consegue che al presente gli Ispettori onorari sono stati privati del potere di controllo delle opere d’arte ubicate nei luoghi di culto e le Commissioni diocesane, spesso popolate da incompetenti, spesso agiscono con presunzione.
La situazione al presente è questa: le Soprintendenze hanno esclusivamente potere consultivo e non decisionale nelle scelte delle botteghe organarie coinvolte in interventi di restauro. I depositari dei beni devono presentare alla Diocesi i preventivi di restauro a libera scelta, sia numericamente, sia a livello individuativo degli artefici. Indi il Vescovo dovrebbe presentare i progetti alla Soprintendenza per eventuali pareri inerenti la bontà dei progetti di restauro (ma ciò non è obbligatorio). Questa non ha né l’autorità per bloccare i progetti, né per indicare botteghe organarie. Gli stessi tempi di realizzazione dei lavori sono dettati dalla Diocesi. Soltanto allorquando alla presenza di un organo di rilevante valore storico il committente intende avvalersi di un finanziamento statale, la Soprintendenza, giustamente, ha il dovere di controllare il progetto, giudicare la valentìa della bottega ed inoltrare la richiesta alle strutture centrali per ottenere il finanziamento.
Al riguardo l’esperienza storica dal 1939 in poi ha dimostrato che le sovvenzioni sono concesse, per endemica carenza di fondi, quasi sempre ad organi rinascimentali di blasonati maestri d’organo!
In un’atmosfera di poca chiarezza della revisione del concordato, dal 1984 innanzi, ne sono accadute di tutti i colori! L’equivoco più frequente ha radici nella considerazione dell’uso dell’organo finalizzato alle celebrazioni liturgiche, aspetto che ha consentito abusi e ‘delitti’ di ogni genere. Valga un esempio: si può concepire il restauro di un organo accordato secondo i temperamenti antichi, quando nei luoghi sacri si cantano canzonette a temperamento equabile? La legge del 1939 tutelava gli strumenti musicali ubicati nei luoghi sacri, ma esclusivamente nell’aspetto strutturale esterno, cioè la cassa; nessuna precisazione riguardava l’anima dell’organo nei complessi meccanismi d’azione e negli esiti timbrici. I disinformati, hanno optato per l’ammodernamento degli organi distruggendo ed alienando opere d’arte eccelse.
Quella esposta è in sintesi la situazione; da cui si potrebbe concludere che per coerenza e rispetto, ma anche per decenza umana, la Gerarchia non dovrebbe offendere i musicisti che gravitano intorno alla religione. Sono artisti fragili e vulnerabili, e dovrebbero poter sopravvivere con l’arte musicale che hanno scelto per vocazione nell’alveo della musica sacra. Malauguratamente, almeno al presente in Italia, rappresentano l’effimero. A quando, essendo pressocché defunti, una doverosa risurrezione di essi incastonata in una adeguata riforma della musica sacra?
[*] contributo apparso sul numero II/48 (p. 271) del periodico «Informazione Organistica e Organologica» per cortese licenza del direttore responsabile prof. Pier Paolo Donati (del quale si riporta qui in calce il relativo Editoriale) nonché dell'autore m.° Arturo Sacchetti: li ringraziamo entrambi per la cortese disponibilità.
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LA VIA ITALIANA ALLA RICERCA ORGANOLOGICA [°]
Nelle venti annate della Nuova serie della rivista «Informazione Organistica e Organologica» si contano due Editoriali: il primo del 2008 è una Lettera aperta al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali per sollecitare una legge sui Beni Musicali, quello del 2011 è la presa d’atto che l’ANVUR ha inserito il periodico tra le riviste di musicologia, questo del 2021 è l’annuncio di un ampliamento del programma editoriale. Oltre agli studi sugli strumenti che hanno dato voce alla letteratura cembalo-organistica del Rinascimento e del Barocco, la rivista ospiterà ricerche su clavicordi-regali-pianoforti-armonium e sugli strumenti che a questi sono legati nella storia della musica, a cominciare dagli archi.
In una musicologia concepita come parte integrante della storia della cultura, l’organologia traduce i dati tecnici in significati artistici. Difatti, lo strumento rispecchia gli ideali timbrici dei costruttori e il mondo sonoro del passato, ed è fonte di conoscenza per giungere ad esecuzioni filologicamente corrette, ovvero «storicamente informate».
I cultori italiani della disciplina godono della presenza degli strumenti originali sul territorio, dei contratti di costruzione negli archivi, delle composizioni a loro destinate nei fondi musicali; testo e contesto, la cui frequentazione induce ad idee e progetti di ricerca originali, ne consente la verifica della fondatezza, ne permette la documentazione. Per questo, da qualche tempo l’Italia non è più al margine di una sorta di impero delle conoscenze espresse per solito in inglese, ma in questo campo si avvicina al suo centro, come dimostra il crescente numero di studiosi che soggiorna nella Penisola per attingere alle fonti originali.
Una nuova rubrica verrà dedicata alle notizie organologiche provenienti da mondi lontani, come l’America Latina dove continuano a scoprirsi nei musei e in collezioni private strumenti a tastiera di sicuro interesse, e l’Estremo Oriente dove negli istituti di formazione si aprono dipartimenti di musica antica europea.
Il fatto che in questo primo numero compaia un articolo con rilevanti acquisizioni organologiche sul violino del Sei e Settecento, nonché sui coristi praticati nel tratto di storia che innova il concerto, appare di buon auspicio; la circostanza che la scoperta trovi conferma nell’iconografia musicale, disciplina che ha dato modo di illustrare in questa rivista dati ignorati e significativi di tecnica costruttiva sull’arte degli organi nel Quattrocento, assicura sulla bontà del metodo di ricerca adottato.
[°] Editoriale del n. II/48 del periodico «Informazione Organistica e Organologica»