G.B. Pescetti - Complete Keyboard Music
Organista: Paolo Bottini
Organo basilica di S. Giorgio Maggiore di Venezia
Organo chiesa di S. Cassiano Martire di Venezia
Clavicembalo Debiaggi presso Casa d'Organi Giani di Corte de' Frati (CR)
Brilliant Classics - 95438 (2CD) - DDD - 2017
Abbiamo con piacere ricevuto una recentissima uscita della casa discografica Brilliant Classics che ci ha interessato molto. Si tratta dell'integrale delle Sonate (per cembalo e/o organo) di Gio Batta Pescetti, autore veneziano della prima metà del Settecento che viene spesso citato in coppia con Baldassarre Galuppi per il fatto di essere stato, insieme a lui, allievo di Lotti e per aver tentato, come lui ma con maggiore fortuna, una carriera artistica a Londra.
Pescetti, come tanti altri musicisti di quell'epoca, iniziò molto giovane la sua carriera musicale, debuttando a Venezia con un'opera composta a soli ventuno anni. Da lì iniziò una buona carriera che lo portò dapprima a lavorare per diversi teatri italiani e, nel 1730, addirittura a Roma, dove mise in musica una "festa di teatro" organizzata per la nascita dell'erede al trono di Francia. Quattro anni dopo, seguendo la strada già tracciata da altri musicisti italiani, si reca a Londra, dove rimarrà per quattordici anni assumendo dapprima la direzione del Covent Garden (succedendo a Porpora) e, poi, del King's Theatre; in quegli anni si distingue anche per le sue composizioni strumentali e, in particolare, per le sue "Sonate per Gravicembalo", pubblicate nel 1739. Ritornato in Italia nel 1749, la sua fama di ottimo musicista lo porta a scrivere diversi lavori per alcuni teatri italiani, tra cui "La Pergola" di Firenze, ed anche stranieri (nel 1760 lo troviamo a Dresda e a Praga, dove dirige personalmente una sua opera teatrale). Stimato ed apprezzato cembalista ed organista (a quel tempo le due figure erano pressochè coincidenti), Pescetti concorre anche per ottenere un posto di organista e maestro di cappella, dapprima presso la Basilica di San Marco di Venezia (nel 1750) e, poi, anche a Firenze ma, in entrambi i casi, gli vengono preferiti altri musicisti e sarà solo nel 1762 che otterrà, anche grazie all'interessamento di Galuppi, l'incarico di secondo organista a San Marco, incarico che terrà fino alla morte, avvenuta nel 1766.
Compositore assai prolifico per ciò che riguarda le opere teatrali (ne compose ventuno) e quelli che allora si chiamavano "pasticci" (che, in pratica, erano pezzi di composizioni di altri autori messi insieme con variazioni di testo ed adattamenti; si trattava di una pratica musicale "battezzata" in Inghilterra e molto praticata anche da Haendel), Pescetti -che era molto apprezzato come cembalista- non ha lasciato molto in questo campo; oltre alle sonate "inglesi" (nove in tutto alle quali, come d'uso allora, l'autore ha collegato in appendice alcune trascrizioni di altri brani come, ad esempio, la Sinfonia de "Il Vello d'Oro", suonata al cembalo da Bottini in questo disco), Pescetti ha lasciato un manoscritto (conservato a Dresda presso la Sachsische Landesbibliothek) contenente altre sei sonate per cembalo, composte precedentemente all' anno 1756 e che costituiscono lo "zoccolo duro" della produzione strumentale conosciuta di questo autore. Nel disco che recensiamo oggi Paolo Bottini ci presenta interamente queste due serie di Sonate e vi aggiunge anche ulteriori quattro sonate (denominate "Sonate da Organo") ritrovate in manoscritto presso il Conservatorio di Venezia, pubblicate da Sandro Dalla Libera nel 1962 e quasi certamente scritte -a differenza delle altre- appositamente per l'organo da Pescetti nella forma del movimento unico.
Stilisticamente parlando, le due raccolte di Sonate presentano spunti musicali di diversa impostazione. Nella raccolta londinese l'impostazione predominante, a parte alcuni incipit di carattere spiccatamente haendeliano, è molto simile a quella delle sonate per cembalo di Benedetto Marcello, con un numero di movimenti variabile (ce ne sono due con due movimenti, quattro con tre movimenti e tre con quattro movimenti, anche se l'Adagio della seconda sonata -abbastanza indefinibile armonicamente e brevissimo- può essere considerato più che altro un episodio di collegamento tra Andante ed Allegro) e con schemi formali che presentano quasi sempre una seconda parte (in ritornello) che sviluppa in un certo modo il materiale tematico, molto spesso con tratti di spiccato toccatismo che ritroviamo presenti anche nelle sonate di Galuppi. Alcuni critici trovano in queste sonate anche un'affinità stilistica con Scarlatti (che appena l'anno precedente, nel 1738, proprio a Londra aveva pubblicato i suoi "Essercizi per Gravicembalo") ma le caratteristiche essenziali di queste sonate sono la fantasia e l'inventiva dello sviluppo tematico contrapposte ad una fondamentale "povertà" espressiva circa i tempi lenti, che raramente presentano le caratteristiche proprie degli "Adagio" della scuola veneziana di quel tempo, limitandosi ad un'espressività più che altro di tipo vocale o violinistico. Le sonate di Dresda, invece, testimoniano un'evoluzione sia stilistica che formale verso quello che si definisce "stile galante", dove gli sviluppi melodici ed armonici si presentano più definiti e -soprattutto- completi ed organici nella loro strutturazione. Se nelle sonate di Londra è ben individuabile un lavoro di ricerca e di elaborazione in cui un Pescetti ancora giovane (aveva allora trentacinque anni) cerca di conciliare una scuola di tipo spiccatamente "classico" e, per certi versi, contrappuntistico con le nuove (per quei tempi) mode dell'incipiente musica "galante", nelle Sonate di Dresda (composte quando l'autore aveva ormai cinquant'anni) l'evoluzione si mostra completa e ben definita e, possiamo dire, è in queste sonate che appare evidente la "maturità" musicale dell'autore, che con queste opere si guadagna un posto di preminenza tra le personalità musicali della sua epoca (e, tra le altre cose, bisogna anche sottolineare il fatto che tra gli allievi di Pescetti ci fu anche Salieri). Le quattro Sonate "per organo", invece, sono tutte costituite da un unico movimento e risultano, per struttura e caratteristiche, specificatamente dedicate a questo strumento (vi si trovano anche evidenti riferimenti all'utilizzo del pedale) e rappresentano l'unico riferimento certo all'attività come organista di Pescetti.
Paolo Bottini non è nuovo ad esperienze discografiche di ottimo livello e, talora, anche al di fuori dei "solchi battuti" della solita musica preconfezionata e di facile ascolto; ne abbiamo già qui su queste pagine apprezzato le doti in alcune occasioni e, tra l'altro, prima o poi ci occuperemo anche della sua "lettura" organistica delle opere di Ferruccio Busoni (iniziativa, tra l'altro molto particolare e di grande interesse); in questo doppio disco, egli ci propone un autore che, seppur non di prima fascia nel panorama internazionale, rappresenta un ben determinato periodo della storia musicale non solo italiana (e veneta) ma, anche, europea; un significativo esempio di come gli orizzonti musicali europei di trecento anni fa fossero ben più aperti, interconnessi e senza barriere rispetto ad oggi.
L'interpretazione di Bottini è chiara, molto pulita e particolarmente equilibrata, con un giusto e sapiente dosaggio di tutte quelle caratteristiche tipiche della musica cembalistica settecentesca che egli riesce a trasportare sull'organo senza nulla perdere nè per ciò che riguarda gli aspetti più brillantemente virtuosistici nè rispetto ad un'ispirazione che, nel caso specifico, pur partendo da un'origine di tipo squisitamente "classico" (o, secondo alcuni critici, barocco), si traghetta con naturalezza e spontaneità in un periodo storico-musicale del tutto nuovo, in un'apertura d'orizzonte in cui Pescetti riesce a trovare una sua perfetta collocazione musicale di ampio spessore e di ottima rinomanza. Bottini dimostra in questo disco di saper gestire molto bene tutto il bagaglio (oggi viene definito "background") storiografico e musicologico che accompagna queste composizioni, confermando le sue doti di ottimo organista e di accuratissimo musicista. In questo compito, peraltro svolto molto bene, egli si avvale dell'utilizzo di due strumenti che per questo genere di musica, ça va sans dire, ci vanno a nozze e rappresentano una specie di "summa" di quella che è stata una delle migliori scuole organarie europee del passato, quella veneta. Per l'incisione di queste sonate, Bottini si avvale degli strumenti storici realizzati, rispettivamente, nel 1750 e nel 1743, dal grande organaro croato-veneto Peter Nakic, meglio conosciuto come Pietro Nacchini, per le chiese veneziane di San Giorgio Maggiore e di S. Cassiano Martire, il primo dotato di una tastiera e pedaliera, rimaneggiato da Bazzani nell'Ottocento e poi definitivamente restaurato da Zanin nel 1990 (con 18 registri) ed il secondo con due tastiere e pedaliera, restaurato sempre da Zanin nel 2004, che su una base di 12 piedi presenta una trentina di registri suddivisi tra "Organo Grande" ed "Organo Piccolo"; inutile dire che entrambi questi strumenti, con le loro caratteristiche peculiari tipiche dell'organaria veneta ed assolutamente coevi all'epoca in cui visse ed operò Pescetti, costituiscono la scelta migliore possibile per la riproposizione delle opere di questo autore. Da sottolineare il fatto che per la "decima" Sonata (addendum alle sonate di Londra) Bottini utilizza un clavicembalo realizzato da Debiaggi nel 2000 attualmente conservato nell'auditorium della Casa d'Organi Giani di Corte de' Frati (CR).
Le registrazioni di questi brani sono state effettuate tra Dicembre 2015 e Febbraio 2016 e, per ciò che riguarda il brano al cembalo, nel Maggio 2016 e si avvalgono dell'opera di Federico Savio, attualmente uno dei migliori tecnici del suono presenti ed operanti nel panorama europeo e che nella sua grande passione e profonda conoscenza dell'organo trova tutte le motivazioni artistico-musicali per rendere sempre in modo stupendo tutte le sfumature di qualsiasi strumento. Possiamo dire, a questo proposito, che -avendolo apprezzato all'opera in più di un'occasione- il suo "modus operandi" è quello di un bravissimo tecnico che non si ferma alla pura registrazione dei suoni ma integra il tutto con una valutazione attenta, accurata e rigorosissima delle caratteristiche degli strumenti su cui deve "operare", riuscendo sempre a renderceli particolarmente vivi ed a sottolinearne anche le particolarità timbrico-foniche più nascoste senza dover ricorrere ai vecchi "trucchi del mestiere" che troppo spesso ancora oggi troviamo in diverse produzioni discografiche anche di case discografiche molto prestigiose. Ed ecco che l'ascolto di queste musiche si rivela oltremodo "naturale" (Savio infatti predilige sempre proporre un "punto d'ascolto" il più vicino possibile alle condizioni di un ascoltatore seduto in chiesa) ma ricchissimo di sfumature che rendono pienamente le caratteristiche di questi due stupendi organi veneziani.
Abbastanza curata la veste tipografica, molto esauriente e completa nei testi a corredo (purtroppo solo in lingua inglese) di solida sostanza e senza troppi fronzoli iconografici. Il tutto per un doppio disco che non può mancare nella nostra discoteca organistica.
