Ulisse MATTHEY - Le opere originali per organo e harmonium - Fausto CAPORALI - 3 c.d. Tactus

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Autore: Fausto Caporali organista titolare del Duomo di Cremona

Sezione CD

Fausto Caporali interpreta Ulisse Matthey (1876-1947)

La prima pubblicazione discografica interamente consacrata ad un grande organista italiano ancora troppo poco frequentato

Italia

 

Ulisse Matthey

(Torino, 17 aprile 1876 - Loreto, 6 luglio 1947)

 

Le opere originali per Organo e Harmonium

 

Fausto Caporali 

 

3 c.d. Tactus

 

 

CD 1

1. Preludio Festivo 6:43

2. Alla Madonna di Loreto 6:08

3. Elegia 3:00

4. In memoriam 5:01

5. Invocazione alla Madonna di Loreto 5:28

6. Preludio 4:39

7. Impressioni pastorali 6:47

8. Pastorale e musetta 5:45

9. Tempo di sonata 10:02

10. Preludio in mi minore 4:59

11. Contemplazione 7:42

12. Egloga 6:09

13. Meditazione 3:56

 

CD 2

1. Preludio 5:45

2. Giga 3:56

3. Preludio fugato 3:15

4. Offertorio 5:07

5. Pensiero ostinato 3:56

6. Visione 5:24

7. Marcia dei Re magi 7:43

8. Andante 2:39

9. Meditazione 4:14

10. Preludio e fughetta 5:26

11. Canto nostalgico 13:09

12. Elegia 5:58

13. Visione 6:08

14. Toccata-Carillon 5:41

 

CD 3

1. Marcia di nozze 7:52

2. Canto nostalgico (ii) 5:48

3. Elegia 7:27

4. Giga 5:42

5. Pastorale 5:14

6. Lamento 7:31

7. Elegia 6:37

8. Toccata fanfara 5:51

9. Studio di concerto 10:05

10.Toccata in si minore 7:35

 

Gli strumenti utilizzati:

 

Organo Mascioni op. 438, 1933 (V, 110), Roma, Sala accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra.

Organo Beniamino Zanin 1931, Gustavo Zanin 1986, 2017 (III, 50), Tricesimo (UD), Duomo.

Organo Balbiani-Bossi 1938 (restauro Chiminelli Bottega Organaria 2015), (II, 47), Chiari, Duomo Ss. Faustino e Giovita, (BS)

Organo Mascioni op. 881, 1966 – Restauro e ampliamento 2016 Fratelli Marin (III, 46), Arenzano (GE), Santuario del Santo Bambino Gesù di Praga.

Harmonium Alexandre, Paris (restauro 2016 Bottega Organaria di Cremonesi & D’Arpino, Soncino), Lodi, Chiesa dell’Olmo.

Harmonium Alexandre, 1896, Paris (restauro 2016 Fausto Conti), Cremona, Chiesa di San Girolamo.

Organo Tamburini-BalbianiVegezzi Bossi 1927/1955 (IV, 73), Caravaggio (BG), Santuario di Santa Maria del Fonte.

Organo Mascioni 1986 (III, 52), Cremona, Duomo.

Organo Mascioni 1948 (III, 57), Novara, Chiesa di S. Gaudenzio.

 

 

 

* * *

Presentazione del cofanetto di tre c.d. Tactus "Ulisse Matthey - Le opere originali per organo e harmonium"

 

di Fausto Caporali

 

Pubblicare un CD oggi potrebbe sembrare opera di un don Chisciotte della musica, con tutta l’apparenza di un’inutile fatica, considerando che spesso ci si rivolge a un mondo ristretto, praticamente senza prospettive e dentro a una contemporaneità musicale che percorre vie distanti anni luce; come spiegare il perché di un CD di musica per organo, infatti, di un autore pressoché dimenticato dai più, Ulisse MATTHEY?

 

In realtà, vi è più di una ragione per non disdegnare l’impresa. La prima è quella che si tratta di una documentazione nel senso più proprio del termine: i tre CD presentano in prima assoluta tutte le opere originali per organo e per harmonium di un musicista che è stato sicuramente il più importante in Italia nel periodo fra le due guerre, come testimoniano i suoi concerti, le sue perizie, le competenze a vasto raggio, la costante presenza sul territorio nazionale; anche nei confronti internazionali, laddove ne abbiamo testimonianze coeve, vi è assoluta frontalità di capacità e originalità davanti ai sopravvalutati organisti europei. Dunque, in mancanza delle registrazioni effettuate da Matthey stesso, -purtroppo, a quanto pare, andate irrimediabilmente perdute-, si può trovare un motivo di interesse nel fatto di avere a portata di mano un inventario sonoro di una determinata epoca organistica e organaria.

 

Una seconda ragione potrebbe essere quella che ci si trova davanti a un grande esponente della nostra storia organistica, messo da parte per tanti motivi, qualcuno anche rispettabile, qualcun altro meno, come quello per cui egli sarebbe appartenuto a quella generazione di organisti/organari che avrebbero distrutto il nostro patrimonio: in realtà è stata proprio la generazione successiva che, nell’operare una sorta di “restaurazione” di qualche periodo d’oro del nostro passato (musicalmente tutti da dimostrare) ha di fatto decretato la morte della nostra tradizione, atrofizzando l’idea di nuovo, facendo credere nella superiorità aprioristica del passato sul presente, isolandoci dalle correnti più vive del panorama internazionale (è appena il caso di ricordare che lo sforzo dei nostri riformatori primonovecenteschi fu proprio quello di aprire alle innovazioni europee preservando le peculiarità dell’organo italiano, nello stesso tempo vantando musicisti che circolavano in Europa e oltreoceano con una propria cifra espressiva, non succubi di mode orecchiate qui e là e alla lunga rivelantesi prive di consistenza scientifica).

 

Ulisse Matthey fu probabilmente l’ultimo organista “autentico” della nostra tradizione italica, ricco di tutti i carismi del musicista completo: compositore raffinatissimo (ciò che resta nella storia non è l’esecuzione di un autore più o meno famoso tradito inevitabilmente anche quando si afferma di rispettarlo, ma solo ciò che l’io creatore lascia del proprio vissuto, vero senso dell’interpretare), organologo sempre aggiornato all’attualità in tutta simbiosi fra ragioni espressive personali e dati organari (certo non appiattito su rifacimenti di un passato castrante e assai poco ispirativo), virtuoso incontestabile di esecuzioni di altissima difficoltà tecnica (cifra oggi quasi scomparsa in Italia, con il pubblico che non capisce quasi mai dove sta la bravura di un organista), improvvisatore senza patemi di sorta (altro aspetto quasi del tutto perso dopo anni di filologismo tanto sbandierato quanto inefficace), musicista liturgico mai in crisi di identità nell’armonizzare alte capacità con inevitabili necessità ancillari, didatta accurato e rigoroso, pubblicista informato.

 

Un altro motivo per presentare questo CD potrebbe essere il fatto di contenere musica eseguita con strumenti della nostra prima metà del Novecento, usati sovente dallo stesso Ulisse Matthey e scelti per la loro forma smagliante: i suoni ne escono nobili e pastosi, originali se si guarda alla storia precedente, capaci di sfumature che ci ricordano gli effetti orchestrali di allora, con le stentoreità degli ottoni o i cantati dei violini, la morbidità vellutata degli amalgami e le sottolineature di violoncelli vibranti o di delicate imitazioni di corni inglesi. Anche questa è storia, storia di alte idealità e realizzazioni ardite, storia anche di italianità orgogliosamente perseguita all’epoca; occorrerebbe preservarla, anziché soggiacere a pregiudizi che ormai stanno tarpando le ali chiudendoci in un museo localistico asettico fuori da qualsiasi futuro, difficile da rendere comunicativo, significativamente improduttivo ed estraneo all’attualità.

 

Forse basta non avere pregiudizi per addentrarsi in un mondo non semplice (ma chi era semplice all’epoca?), e certamente vi sono tesori ancora da rivalutare di quel periodo, se solo ci si riallacciasse alla nostra tradizione più vera e più feconda.

 

* * *

 

 

Ulisse Matthey nacque a Torino il 17 aprile 1876; iniziò a cinque anni lo studio del pianoforte, esibendosi come fanciullo prodigio nei salotti aristocratici e iscrivendosi poi al corso di pianoforte nel Liceo musicale della sua città; entusiasmatosi all’organo dopo aver sentito il nuovo strumento della chiesa di S. Giovanni Evangelista, su invito del compositore don Giovanni Pagella si dedicò allo studio dell’organo sotto la guida di Roberto Remondi, docente presso il Liceo musicale. In seguito, su consiglio di Giovanni Tebaldini, che aveva intuito il talento del giovane musicista, proseguì e concluse i suoi studi accademici con Arnaldo Galliera, titolare della cattedra di organo del conservatorio di Parma, diplomandosi il 4 luglio del 1900.

 

A Torino iniziò la sua attività di organista prestando la sua opera in varie chiese e ottenendo il posto di organista e maestro di cappella in S.Agostino. In questo periodo iniziò le sue attività di compositore, didatta e concertista.

 

Nel 1901 partecipò al concorso per il posto di primo organista nel Santuario di Loreto, riuscendo vincitore e prendendo ivi servizio dal maggio del 1902.

 

Accanto all’attività di organista liturgico iniziò una scuola di organo e di pianoforte che creò artisti di notevole rinomanza: Flavio e Arturo Clementoni, P. Pietro Carlucci, P. Caramelli, fra gli altri; sentendo il bisogno di perfezionarsi, si recò a Parigi per prendere lezioni da Alexandre Guilment; l’attestato che gli fu rilasciato dichiarava che Matthey «[…] è un artista di grande talento. […] è un esecutore abilissimo e potrà dimostrare perfettamente con l’esempio come si deve suonare la musica classica e moderna»; qualche anno più tardi volle perfezionarsi nel contrappunto e nella fuga prendendo lezioni a Milano da Vincenzo Ferroni. La sua fama si diffonde, è ormai concertista affermato, viene richiesto in Italia e all’estero, a Loreto la sua attività artistica viene favorita, è ricercato e stimato didatta: la sua figura viene accostata a quella di Marco Enrico Bossi, il capostipite della generazione di organisti impegnati nella riforma dell’organo italiano.

 

Proprio su interessamento di Bossi fu ammesso nei ranghi dei docenti del Liceo musicale di Torino dal 1 settembre del 1923; messa da parte l’attività di organista liturgico si dedicò particolarmente all’attività concertistica e a quella didattica, formando personalità musicali come Giulio Gedda, Sandro Fuga, Fernando Previtali, Nino Antonellini, Pietro Ferrari. A Torino restò attivo come insegnante fino al 1942, anno del suo pensionamento. Per l’anno scolastico 1942-43 ottenne un incarico come docente di Musica d’insieme (cattedra sostitutiva di quella d’organo, temporaneamente soppressa dal ministero), ma l’Istituto venne chiuso nel febbraio del 1943 a causa dei continui bombardamenti.

 

Resosi troppo pesante il clima bellico, decise di rifugiarsi a Loreto. Qui riprese l’attività di organista liturgico e di didatta; dopo aver superato problemi di salute, tra il 1945 e il 1946 riprese l’attività concertista, ma le sue condizioni peggiorarono poco alla volta fino alla morte, giunta a Loreto il 6 luglio 1947 per insufficienza miocardica. Nello stesso giorno si era unito in matrimonio con Maria Anconetani, da tempo sua collaboratrice domestica.

 

L’attività artistica di Ulisse Matthey è da collocare in pieno nella temperie culturale che vide sganciarsi il mondo organistico italiano dalla dipendenza dal melodramma romantico; i fermenti comparsi da tempo in Europa e coalizzatisi in Italia attorno alle figure di padre Angelo de Santi, don Guerrino Amelli e al movimento ceciliano a partire dagli anni settanta dell’Ottocento, avevano aperto nuovi orizzonti alla musica da chiesa; imbevuto nel contempo degli ideali di «grande musica» e di «vera musica religiosa», Matthey si adoperò fin dai suoi esordi a esplicare una tecnica esecutiva e compositiva che fosse innervata delle direttive ceciliane, senza cadere nel semplicistico e nel devozionale, ma attuandosi nel solco della grande letteratura europea più classicamente composta. Egli fece parte di quella generazione che a cavallo fra Ottocento e Novecento internazionalizzò il mondo organistico italiano prendendo spunto per la composizione dalle più avanzate correnti europee; i suoi riferimenti compositivi erano Debussy, Skrjabin, Respighi, e spesso le sue musiche mantenevano il respiro del poema sinfonico d’oltralpe. Stessa apertura vi fu per ciò che riguarda gli aspetti organologici dello strumento-organo, ora adeguato agli standard europei sia negli aspetti logistici che in quelli sonori e timbrici. La tecnica esecutiva di Matthey come quella degli altri protagonisti della transizione riformistica, Marco Enrico Bossi, Alessandro Pietro Yon, Raffaele Manari, Arnaldo Bambini, era di livello superiore, se non trascendentale nel suo caso, tesa a valorizzare le possibilità della nuova tipologia della consolle rinnovata, del tutto in sintonia con il virtuosismo europeo e con le possibilità delle nuove tecniche costruttive organarie. Accanto a una vena creativa originale esplicata ad altissimi livelli di difficoltà, vi fu in Matthey anche la consapevolezza della necessità della ripresa del passato antico e recente; i brani di esecuzione formavano il modello di atteggiamenti che alimentavano il presente: dal prediletto Bach, agli antichi italiani fin alle trascrizioni di autori come Skrjabin o Ravel, il suo mondo di riferimento era sempre la musica di alta concezione e di alto profilo, senza cadute di stile né concessioni alla trivialità o all’inconsistenza.

 

Fu molto richiesto per la progettazione, l’inaugurazione e il collaudo di nuovi organi, attività per la quale si adoperò in nome della modernità e innovazione logistica dell’apparato a disposizione dell’esecutore, della varietà di colori e sfumature timbriche intonate alle sonorità dell’orchestra tardo romantica, del mantenimento essenziale della tradizione italiana. Fece dotare il Liceo musicale di Torino di due organi moderni, uno da studio e uno da concerto (quattro tastiere, sessantotto registri, impiegato nelle registrazioni radiofoniche) costruito dalla ditta GiovanniTamburini nel 1933 e da lui stesso progettato anche con dispositivi innovativi (un quadro di comando a parte permetteva di mutare o preparare registrazione da parte di un collaboratore anche durante l’esecuzione).

 

Una menzione particolare merita l’attività didattica, esplicata con coscienziosità e dedizione in tutto l’arco della sua vita; come pretendeva serietà nel proprio operare, così esigeva che gli allievi non suonassero «canzonette», che studiassero con metodo e regolarità, convinto che il genio è frutto di lungo e paziente lavoro tecnico ma nello stesso tempo espressivo, non disgiungendo mai i due aspetti nella didattica dell’esecuzione. Il suo approccio fu da subito improntato alla moderna didattica organistica modellata sui classici transalpini, senza più alcun riferimento alle rudimentali tecniche bandistiche o simil-pianistiche del tardo ottocento italiano. Frutto notevolissimo della sua attività didattica, in anticipo sui tempi per cura e attenzione tipografica, fu l’edizione di una scelta di opere bachiane in 5 volumi per le edizioni Ricordi (uscita postuma con la collaborazione del suo allievo Pietro Ferrari). Nel 1942 gli fu conferita la «Stella al merito della Scuola».

 

Tenne 526 concerti, esibendosi normalmente come organista ma occasionalmente anche come pianista, in Italia e in Francia, Belgio, Svizzera, Slovenia, Germania; compì tournée in Argentina nel 1921 e negli Stati Uniti nel 1928.Trentasei concerti furono registrati e trasmessi dalla EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) tra il 1932 e il 1942, ma i nastri andarono perduti durante i bombardamenti della guerra.

 

La composizione fu un’attività cui si dedicò con l’intento di esplicare una propria poetica romantica dell’espressione, sia in ciò che riguarda la musica da camera (composizioni per pianoforte o pianoforte e strumenti ad arco, organo e archi, poche in verità) sia in quelle organistiche; in queste ultime Matthey manifestò la propria nobile visione dell’arte sul modello delle grandi composizioni romantiche, disegnando vasti affreschi e complessi percorsi retorici. Le musiche che componeva entravano regolarmente nei suoi programmi concertistici e rappresentavano l’esito di una riflessione maturata sulla scorta delle forme classiche e sulla reinvenzione dei moderni. I tratti virtuosistici emergono fin da subito, nelle composizioni come la Toccata-Carillon per esempio, ma anche nel maturo e difficilissimo Studio per il pedale, manifestando l’esatto corrispondente del musicista superiore dotato di tecnica spettacolare e di ardimento sinfonico. Al contempo, la dedizione al canto e all’armonia aggiornata alle tensioni tardoromantiche si rivela nelle pagine sottovoce, capaci di abbandoni intimisti come di movenze mistiche. Ma forse è il timbro l’aspetto più originale delle sue musiche organistiche: proprio la tavolozza estremamente ricca di dettagli delicati di cui era dotato l’organo sinfonico tardo romantico italiano, insieme al ricco apparato di possibilità tecniche attraverso combinazioni aggiustabili, comandi elettrici, pistoncini, combinazioni predisposte e quant’altro poteva agevolare la facilità di cambi coloristici, permetteva di creare caleidoscopi sonori variegati e trascoloranti, con uno spettro ampio come lo era quello dell’orchestra dell’epoca, punto focale della sua ispirazione. La produzione musicale comprende composizioni originali per organo, tre composizioni per organo e orchestra d’archi (di cui una, andata perduta, è forse copia con titolo cambiato di un’altra), numerose trascrizioni da altri autori, oltre ad alcuni brani vocali sacri, e brani per pianoforte solo o con strumenti (violino, violoncello). Nel suo testamento espresse la volontà che venissero distrutte le sue composizioni, lasciando agli amici padre Bernardo da Offida e Pietro Ferrari il compito di scegliere quelle «da salvare dal rogo»; tale disposizione fortunatamente non fu rispettata.

 

Le opere originali per organo e harmonium

 

Nel silenzio generale del mondo organistico italiano, così facile ad osannare gli artisti d’oltralpe e così poco incline a riconoscere il valore dei propri, ricordare la figura di Ulisse Matthey sembra opera di ricercato localismo. Non è proprio così: più si entra dentro al cospicuo corpus compositivo di questo musicista superiore e più ci si convince che nel lasso di tempo fra le due guerre del xx secolo è stato certamente l’esponente maggiore e più significativo del mondo organistico italiano; non solo fu richiestissimo collaudatore e progettista di nuovi strumenti in tutta Italia ed acclamato concertista, ma fu l’unico a potersi confrontare, allora come ora, con organisti di livello europeo.

Di più: è probabilmente l’ultimo grande organista nel senso autentico del termine della storia organistica italiana, ossia organista nello stesso tempo compositore, improvvisatore, esecutore, organologo, docente. Erede di un mondo pianistico-organistico in cui non vigeva l’asservimento sterile alla partitura di altri, o l’incapacità conclamata di non avere un mondo estetico autonomo in cui muoversi tramite la composizione e l’improvvisazione, in cui non vi era neppure l’esibizione vacua di uno storicismo facile che lascia perlopiù estraneo il pubblico, Matthey incarnava la grande figura del concertista ottocentesco che emanava ricchezza musicale a tutto tondo; nei suoi programmi vi era la manifestazione di vero concertismo: rapportabili al grande solista pianistico erano le sue esecuzioni a memoria di brani significativamente impegnativi e spettacolari, di grande respiro erano le sue composizioni, iconiche erano le sue trascrizioni da altri autori, vera e propria scelta di buon gusto e di spolvero performativo, appropriate erano le sue improvvisazioni nella liturgia -stando alle testimonianze biografiche sapeva all’occorrenza continuare una fuga bachiana-, costante era la sua volontà di misurarsi con la letteratura coeva europea, con i Ravel, i Debussy, i grandi russi. Come riferiscono alcune cronache, probabilmente non c’era paragone con altri esecutori organisti a lui contemporanei, non solo italiani, quanto a qualità esecutiva, non fosse altro perché, a differenza di altri, egli fu fra i primi ad eseguire musica del passato “secondo verità” ossia rispettando l’autore e la configurazione della musica, principio che avrebbe avuto nei decenni successivi la declinazione assolutistica della ricostruzione storica dimentica del presente, mentre in lui restava nel solco del possibile comunicativo alle orecchie dell’ascoltatore e alle risorse degli strumenti; in Matthey il presente fu ben vivo e si manifestava tutto nella sua produzione compositiva, nel virtuosismo ardito e chiaramente pianistico della Toccata-Carillon, per esempio, o della Giga, o di quel brano da situare fra i culmini di tutto il Novecento organistico italiano che è il Tempo di Sonata; sta nel linguaggio armonico implementato nel tardo romanticismo e nell’impressionismo delle pagine calorosamente cantabili delle elegie e dei canti nostalgici, nell’arditezza del contrappunto aggiornato alla sua epoca del Pensiero fugato o della Giga «piccola» per harmonium, nell’aderenza a un mondo organario che faceva della ricchezza di suoni una tavolozza creativa, della facilità dei comandi una conquista al servizio della nuova musica e del virtuosismo, delle possibilità combinatorie uno stimolo alla complessità del disegno discorsivo.

 

Non è semplice entrare nel mondo di Matthey: non solo le sue partiture sono talvolta delle ostriche musicali -possiamo assicurare il lettore che non una partitura di Matthey si lascia prendere arrendevolmente, non solo le sue campiture sono sovente articolate in lunghi se non lunghissimi discorsi, ma soprattutto le sue musiche esigono le facoltà di un interprete che sia forgiato al calor bianco della sensibilità romantica; molte indicazioni sue indicano «libertà di movimento», «quasi a piacere», «molto espressivo», denotando quella intensità di sintonizzazione che deve indugiare sui dettagli, sulle sfumature, sui particolari di respiro e di agogica che alla fine sono la sostanza di un brano; tutte le musiche, si sa, perdono qualcosa quando sono eseguite con disattenzione ai particolari, ma quelle di Matthey, a volte assai al di là della immediatezza discorsiva, perderebbero molto delle loro confidenze a mezza voce; Matthey è un musicista che parla da dietro una corazza di alta ideazione e di profonda conoscenza tecnica, le sue partiture non sono mai scontate e abbordabili con facilità perché sono sempre su un livello di composizione che mai indulge al semplice o al banale; il suo disegno compositivo non evita la complicazione armonica o la facilità digitale perché nel suo definirsi non segue altri che sé stesso, senza pose né infingimenti o concessioni; l’interprete deve mettere in conto che solo dopo aver padroneggiato gli ardui profili di un suo brano può scoprire l’elevatezza dei suoi sentimenti, l’ardimento delle sue pose retoriche intessute di miti romantici, la delicatezza delle preziosità timbriche, la sovrana padronanza di complessità armoniche non indifferenti. Brani dall’apparenza intricata, come ad esempio In memoriam, opera della prima maturità, a poco a poco rivelano le loro morbidezze e le minute espressività quando si attivino modalità smaliziate di interpretazione e avveduti criteri di analisi, e dunque con i rubati e le duttilità che esige un romantico della più bell’acqua e con il senso attento della forma. Non c’è ombra di dubbio che alcune sue partiture potrebbero essere capisaldi dell’educazione dell’organista sia per i contenuti strettamente musicali, sia per l’approfondimento di un ricco mondo organologico, testimonianze di un alto sapere artigianale e di un momento organario che ha avuto picchi importanti e inediti nell’evoluzione italiana, al di là di comode svalutazione a posteriori che non danno in cambio né musiche di altrettanto spessore né manufatti di qualche novità.

 

Per noi, figli di una storia che sembra declinare, la figura di Ulisse Matthey resta indice di un operare autentico, originale, rivolto al futuro, tutto al contrario del nostro presente che ripropone ormai stancamente un passato del tutto ipotetico e nasconde un vuoto di ideazione e di progettazione con il suo rifugiarsi, per la stragrande maggioranza dei casi, nella conservazione e nella copia; in Matthey la storia organistica andava ancora costruendosi nell’attualità e la grande musica orchestrale e pianistica era il modello per creare il nuovo, per apprendere atteggiamenti da rimandare al presente, per arricchirsi di volta in volta di ritrovati armonici ed estetici contemporanei dentro a un dialogo osmotico cosmopolita.

 

La presente registrazione documenta l’opera originale per organo e harmonium; non vi compaiono le numerose trascrizioni e le opere per organo e orchestra d’archi; gli strumenti impiegati sono strettamente in relazione con l’epoca e la vita di Matthey, alcuni sono stati recentissimamente restaurati e rappresentano momenti di eccellenza della nostra storia organaria per la possibilità che offrono di ospitare la grande musica internazionale, di esibire tecniche superiori, per la complessità  del disegno progettuale, la coerenza della sua realizzazione e per il ventaglio di opzioni creative a tutto campo che ancora prospettano. La sintonia fra la tipologia, i colori, la capacità di rendere le sfumature di questi strumenti fanno tutt’uno con le composizioni, al punto che non c’è da esitare nell’affermare che Matthey è stato il perfetto e non superato cantore dell’organo tardo romantico italiano, capace di essere grandioso negli effetti, nobile negli atteggiamenti, sensibile nell’anima, prossimo al misticismo.

 

Fausto Caporali 

 

 

* * *

 

 

 

Ulisse Matthey was born in Turin on 17 April 1876; at the age of 5, he began to study the piano, performing

as an enfant prodige in aristocratic salons.Then he enrolled in the piano course at the Liceo

Musicale of his city. He became enthusiastic about the organ after hearing the new instrument in the

Chiesa di S. Giovanni Evangelista; encouraged by the composer Don Giovanni Pagella, he studied the

organ under the guidance of Roberto Remondi, teacher at the Liceo Musicale. Later, following the

advice of Giovanni Tebaldini, who had realised how talented he was, he went on with his academic

studies under the guidance of Arnaldo Galliera, who held the chair of organ in the Conservatory of

Parma, and took his diploma there on 4 July 1900.

InTurin he began his activity as an organist by playing in several churches, and became the regular

organist and Kapellmeister of the Chiesa di S.Agostino.During this period he started being active also

as a composer, teacher and concert performer.

In 1901 he took part in the competition for the post of first organist at the Santuario di Loreto,won

the competition and started working there in May of 1902.

In addition to his activity as a liturgical organist, he established an organ and piano school that produced

renowned musicians such as Flavio and Arturo Clementoni, Father Pietro Carlucci, and Father

Caramelli. Feeling the need to improve his knowledge, he travelled to Paris to take lessons fromAlexandre

Guilmant; the certificate he received declared that he “[…] is a highly talented artist. […] he is

an excellent performer and will be able to demonstrate perfectly, through his example, how classical

and modern music should be played”. A few years later he specialised in counterpoint and fugue by

taking lessons in Milan fromVincenzo Ferroni. His renown was increasing, and by then he was a wellknown

concert performer, in demand both in Italy and in other countries; in Loreto his musical activity

was making good progress, and as a teacher he was esteemed and sought-after.His figure was compared

to that of Marco Enrico Bossi, the father of the generation of organists who were committed to

the reformation of the Italian organ.

Precisely thanks to Bossi’s good offices,Matthey was admitted into the ranks of the professors of the

Liceo Musicale ofTurin from 1 September 1923 onwards. Shelving his activity as a liturgical organist,

he devoted himself particularly to teaching – musical personalities such as Giulio Gedda, Sandro Fuga,

Fernando Previtali, Nino Antonellini and Pietro Ferrari were pupils of his – and to his concert activity.

In Turin he went on teaching until 1942, year in which he retired. For the school year 1942-43 he

obtained a post as professor of ensemble music (this chair replaced that of organ, which had been temporarily

abolished by the ministry); but the institute was closed in February of 1943 because of the

constant bombing. Since the atmosphere created by the war had become too oppressive, he took shelter

in Loreto.There he resumed his activity as a liturgical organist and a teacher; after overcoming

some health problems, between 1945 and 1946 he started giving concerts again. But his conditions

gradually worsened, and he died in Loreto on 6 July 1947 as a consequence of a myocardial insufficiency.

On that very day he had married MariaAnconetani, who had been his domestic help for a long

time.

Ulisse Matthey’s artistic activity belongs entirely to the cultural climate of the period in which the

world of Italian organ music broke away from its dependence on the Romantic opera: the stirrings that

had appeared a long time before in Europe and had coalesced in Italy around the figures of Padre Angelo

de Santi, Don Guerrino Amelli and the Cecilian movement from the eighteen-seventies onward

had opened new horizons to church music.Matthey,who was imbued, at the same time,with the ideals

of “great music” and “true religious music”, endeavoured from the start to achieve a technique of composition

and performance that was based on the Cecilian directives without being simplistic or devotional

and was also able to place itself in the wake of the great European literature, the most classically

dignified of all.He was a part of the generation that, in the period straddling the nineteenth and twentieth

centuries, internationalised the world of Italian organ music, taking its cue for its compositions

from the most advanced European currents: his references for composition were Debussy, Skrjabin

and Respighi, and his music often had the breadth of the symphonic poems of the transalpine countries.

The same receptiveness was present also as regards the organological aspects of the organ as an instrument

that now was geared to the European standards both in its logistic aspects and in its sound and

timbre.The level of Matthey's performance technique, like that of the other protagonists of the reformist

transition, Marco Enrico Bossi,Alessandro PietroYon, Raffaele Manari and Arnaldo Bambini,

was very high, if not extraordinary in his case: its aim was to enhance the possibilities of the new type

of console, which was entirely in harmony with the European virtuosity and the possibilities of the

new techniques of organ construction.Alongside an original, creative vein that expressed itself in extremely

high levels of difficulty, Matthey also possessed the awareness of the need to retrieve the ancient

and recent past.The pieces he performed constituted a model of attitudes that enriched the

present: from his beloved Bach to the early Italian composers and to the transcriptions of works by

composers such as Skrjabin and Ravel, his reference was always music characterised by a lofty conception

and a high profile, without any lapse in taste or fall into triviality or flimsiness of style.

He was much in demand for the designing, inauguration and testing of new organs: in this activity

his efforts were directed toward modernity and a logistic renovation of the apparatus at the performer’s

disposal and of the variety of colours and nuances of timbre (in harmony with the sound of

the late-Romantic orchestra), and toward the essential preservation of the Italian tradition. He led the

Liceo Musicale ofTurin to acquire two modern organs.One was for study.The other was for concerts

(four keyboards, sixty-eight stops, used in radio recordings): it was made by the organ-making firm

GiovanniTamburini in 1933, and had been designed by Matthey himself with some innovative devices

(a separate console made it possible for a collaborator to change or prepare the registration even during

the performance).

We should also particularly point out his didactic activity, which he carried out with dedication and

conscientiousness throughout his life: he not only pursued seriousness in his own actions, but was also

equally demanding towards his pupils. He would not allow them to play frivolous music, and urged

them to study with method and regularity, because he felt that genius is the fruit of a long, patient

technical work that however is also expressive: he never separated these two aspects in his teaching.

From the start, his approach was marked by modern organ didactics modelled on the transalpine classics,

without any reference to the rudimentary band-style or piano-style techniques of the late nineteenth

century in Italy. A highly valuable fruit of his didactic activity, ahead of its time for the care and

precision of its printing, was the edition of a five-volume selection of works by Bach for the publisher

Ricordi (which came out posthumously with the collaboration of his pupil Pietro Ferrari). In 1942 he

was awarded the “Stella al merito della Scuola”.

He held 526 concerti, performing usually as an organist, but occasionally as a pianist, in Italy, and

also in France, Belgium, Switzerland, Slovenia and Germany; he carried out tours inArgentina in 1921

and the United States in 1928.Thirty-six concerts of his were recorded and broadcast by eiar (Ente

ItalianoAudizioni Radiofoniche) between 1932 and 1942; but the tapes were lost during the bombings

of the war.

Composing was an activity in which he engaged with the purpose of achieving a Romantic poetics

of expression of his own, both in the field of chamber music (compositions for piano or piano and

strings, and a small number of pieces for organ and strings) and in that of organ music. In the latter,

Matthey expressed his noble view of art following the model of the great Romantic compositions and

creating vast vistas and complex rhetorical routes.The music composed by him was regularly included

in his concert programmes and represented the outcome of a long-thought -out reflection on the classical

forms and on modern re-invention.The virtuoso features emerge from the start, in compositions

such as the Toccata-Carillon, and in the mature and extremely exacting Studio per il pedale, where his

qualities as an outstanding performer endowed with a spectacular technique and symphonic boldness

show up to the same degree. At the same time, his commitment to singing and harmony updated to

the late-Romantic tensions emerges in his sotto voce pieces,where he is capable of intimist abandon and

mystic élan. But perhaps the most original aspect of his organ compositions is their timbre: the extreme

abundance of delicate details of the palette offered by the Italian late-Romantic organ, in addition

to the rich apparatus of technical possibilities through adjustable combinations, electrical

controls, little pistons, pre-set combinations and other devices that facilitated changes in colour,made

it possible to obtain variegated, shimmering kaleidoscopes of sound, with a spectrum as extensive as

that of the contemporary orchestra, which was the focus of his inspiration.Matthey’s musical production

includes original compositions for organ, three pieces for organ and string orchestra (one of them,

which has been lost, perhaps is a copy of another one with its title changed), a great number of tran11

scriptions of works by other composers, some sacred vocal pieces, and some pieces for solo piano and

piano with instruments (violin, cello). In his testament, Matthey expressed his wish for his compositions

to be destroyed, and entrusted his friends Father Bernardo da Offida and Pietro Ferrari with the

task of selecting those to be “saved from the bonfire”; this disposition, luckily, was not respected.

 

The original works for organ and harmonium

 

In the general silence of the world of the Italian organ, which is so inclined to extol foreign musicians

and so reluctant to appreciate its own, commemorating the figure of Ulisse Matthey may appear to be

an operation of refined localism. But this is not true: the more we penetrate into the massive corpus

of compositions of this distinguished musician, the more we feel that in the period between the two

world wars of the twentieth century he undoubtedly was the greatest and most significant exponent

of the Italian organ world. He not only was highly in demand as a tester and designer of new instruments

all over Italy, and acclaimed as a concert performer, but he also was the only musician who could

stand a comparison with European-level organists, both at that time and now.

There is more to it than that. He probably was the last great organist, in the authentic meaning of

the word, in the history of the Italian organ, that is an organist who was at the same time a composer,

an improviser, a performer, an organologist and a teacher. He was an heir of a piano and organ world

in which musicians were not barrenly slaves to other people’s scores or clearly incapable of having an

independent aesthetic world where they could compose and improvise, and in which there did not

even exist the empty exhibition of a facile historicism that in most cases did not involve the public at

all. He embodied the great figure of the nineteenth-century concert performer who exuded an allembracing

musical wealth. In his programmes there was the expression of the true art of holding concerts:

his performances by heart of considerably exacting, spectacular pieces were comparable to those

of great solo pianists; his compositions were wide-ranging; his transcriptions of other composers’

pieces were iconic, being a deliberate choice of good taste and performance mastery; his improvisations

in liturgy – witnesses have told us that, if necessary, he could continue a fugue by Bach – were

appropriate; and his wish to confront the contemporary European literature, with musicians such as

Ravel,Debussy and the great Russians,was constant.As some reports tell us, probably no contempor12

ary organists, both Italian and from other countries, could compare with him in the quality of their

performance, to begin with because, unlike the others, he was among the first to perform music from

the past “according to truth”, that is respecting the composer and the configuration of the music; in the

subsequent decades this principle was to be applied in an uncompromising way through a historical

reconstruction that was oblivious of the present, while Matthey continued to allow both for the possibility

of communicating with the listeners and for the resources of the instruments; in Matthey the

present was quite alive and expressed itself in all his production of compositions, in the bold, clearly

piano-like virtuosity of his Toccata-Carillon, for instance, or of his Giga, or of his Tempo di Sonata, a piece

that deserves to be regarded as one of the climaxes of the Italian organ music of all the twentieth century;

the present expressed itself in the harmonic language introduced during the late Romanticism,

in the Impressionism of the warm, tuneful elegies and nostalgic songs, in the boldness of the up-todate

counterpoint of Pensiero fugato and of the Giga “piccola” for harmonium, and in his closeness to a

world of organ music where the wealth of sounds had become a creative palette, the ease of control

had become a conquest at the service of new music and virtuosity, and the extensive range of combinations

had become a stimulus to complexity in the design of the musical discourse.

It is not simple to get into Matthey’s world: not only his scores are sometimes quite cryptic – and

we can assure the reader that not one of them is easy to tackle – not only his backgrounds are often

formed of long, or extremely long, musical discourses, but also, and above all, his works demand the

capability of an interpreter who has been moulded on the white heat of Romantic sensitivity;many of

his directions indicate “freedom of movement”, “almost at will”, or “very expressive”, denoting an intensity

of attunement that cannot but dwell on the details, nuances, particulars of breathing and agogics

that are ultimately the essence of a piece; it is known that all music loses something when it is

performed without attention to details, but Matthey’s, sometimes far beyond the immediate quality of

the discourse, would lose much of their whispered intimacy; Matthey is a musician who expresses

himself behind a shield of lofty creation and profound technical knowledge; his scores are never predictable

or easily approached, because they are always on a level of composition that never indulges in

simplicity or banality; his composition design does not avoid harmonic complication or finger facility,

because in his self-definition he follows only himself, without any posturing, feigning or concession;

the performer must allow for the fact that only after he has mastered the difficult profiles of a piece

will he be able to discover the loftiness of Matthey’s sentiments, the boldness of his rhetorical poses,

which are imbued with Romantic myths, the delicacy and refinement of his timbres, and his supreme

mastery in dealing with a considerable harmonic complexity. Pieces that look intricate, for instance In

memoriam, a work of his early maturity, gradually reveal softness and minute expressiveness when the

performer activates a knowing approach to interpretation and shrewd criteria of analysis, adopting the

rubatos and pliability required by a genuine Romantic who is also much aware of form. It is absolutely

indubitable that some of Matthey’s scores might be pillars in the training of an organist, both because

of their strictly musical content and because they offer an in-depth outlook on a rich organological

world and a testimony to a high degree of artisanal knowledge and to a period of the organ that gave

rise to important, unprecedented climaxes in the Italian evolution, contradicting a subsequent, facile

disparagement that did not produce any equally valuable music or novel instruments.

For us, who are the children of a history where decline seems to prevail, the figure of UlisseMatthey

remains a landmark of authentic work, a work that is original and addressed to the future, unlike our

present, which lazily reproposes an utterly hypothetic past and hides the absence of creativeness and

projects by turning, in most cases, to conservation and copying; in Matthey the history of organ music

was still growing in the present, and the great orchestra music and piano music were the model for

creating something new, for learning some attitudes to be referred to the present, and for gradually

acquiring a wealth of contemporary harmonic and aesthetic inventions, within a cosmopolitan, osmotic

intercommunication.

This recording documents Matthey’s original work for organ and harmonium; it does not include

his many transcriptions or his pieces for organ and string orchestra; the instruments that are used are

closely related to his period and his life; some have been restored quite recently and represent a high

point in the history of the Italian organ, because of the possibility they offer of performing the great

international music and exhibiting a superior technique, and because of the complexity of their design,

the consistency of its realisation and the vast range of creative options of all sorts they still make available.

The correspondence between the types of instruments, the available colours and the capability to

express their nuances is an integral part of Matthey’s compositions, so much so that we can unhesitatingly

assert that he was the perfect, unsurpassed bard of the Italian late-Romantic organ, capable of

being grand in his effects, noble in his attitudes, and sensitive, bordering on mysticism, in his soul.

 

Fausto Caporali 

 

 

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