
Testimonianze, ricordi, aneddoti di allievi ed estimatori italiani di
(19 giugno 1943 - 23 dicembre 2023)
nel trigesimo della scomparsa del grande organista concertista e didatta, compositore, direttore d'orchestra e musicologo
Il mio ricordo del Radulescu insegnante risale agli anni di studio all’Università per la Musica (allora si chiamava Hochschule) a Vienna, dal 1995 al 2002 – senza esagerazione, il periodo più importante della mia vita. Mi trasferii in Austria appena dopo il diploma a Vicenza; entrai nella sua classe d’organo nel '98, al pensionamento del mio primo professore viennese Herbert Tachezi.
In quel contesto, le lezioni individuali di Raduescu erano molto diverse da quelle dei suoi celeberrimi corsi, dove i suggerimenti esecutivi erano costantemente integrati da preziose digressioni (analitiche, storiche, teologiche…) rivolte a tutti i partecipanti. In Hochschule il focus era assai più concentrato sull’esplorazione “in toto” del repertorio organistico; si capiva subito che, per Radulescu, lo strumento non era che un mezzo per arrivare al fine, ovvero al dominio tecnico e intellettuale di quella impareggiabile musica che per esso nei secoli è stata scritta. Quasi ogni settimana si portava pertanto un pezzo nuovo, prassi che imponeva grande disciplina ma nel contempo infondeva a noi studenti una indefinibile ebrezza, soprattutto in prossimità dei concerti di classe. In tutto questo il Maestro si asteneva da ogni pressione: a spronarci bastava la sua nobile autorevolezza, oltre al privilegio di quell’appuntamento settimanale cui semplicemente non ci si poteva presentare impreparati.
Michael Radulescu aveva il dono innato di immedesimarsi in ogni suo interlocutore: gli bastava un breve scambio di parole per sapere immediatamente chi eri, cosa andava detto e soprattutto non detto. Era altrettanto consapevole che il nostro orizzonte non si limitava alla routine di Hochschule, che leggevamo, andavamo a concerti, frequentavamo corsi... La lezione individuale, spesso, aveva pertanto ben poco di teorico; al contrario, mi è sempre sembrato che il suo strumento didattico più efficace fosse in realtà di natura non verbale, e si concretasse in quel suo continuo dirigerci, perdipiù cantando e dispensando attacchi. Come se, all’abbassarsi del primo tasto, fossimo mutati in un’intera orchestra. Se poi il pezzo era quello giusto, “il Radu” diventava irrefrenabile: praticamente, eravamo una sua estensione! Più tardi appresi come questa attitudine fosse in realtà un lascito di Anton Heiller, poliedrico padre fondatore dell’odierna scuola organistica viennese. Come il suo grande insegnante, anche Radulescu dunque suonava da compositore, dirigeva da pedagogo, insegnava da direttore…
Il debito di riconoscenza è incalcolabile. Certo, senza di lui il mio modo di fare, pensare e vivere la musica – Bach in primis - sarebbe un altro; nel contempo Michael Radulescu ha saputo trasmetterci gli strumenti tecnici, scientifici e spirituali per inoltrarci senza timori anche in territori “altri”, a lui meno congeniali. Ben sapendo che il vero maestro non è colui che perpetua se stesso, ma che premurosamente accompagna l’allievo al tornante successivo.
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Ho avuto modo di conoscere Michael Radulescu durante un concerto presso il Duomo di Cremona nel 1992. Ricordo che rimasi impressionato dalla sua esecuzione, in particolare del Preludio e Fuga in si minore di Bach: una interpretazione che io mai avevo sentito fino a quel momento, talmente ricca di colori e di tensione drammatica. Sono diventato poi i suoi allievo a Vienna, dopo aver frequentato per diversi anni i corsi che egli teneva a Porrentruy in Svizzera. La sua grande conoscenza degli aspetti più intimi della musica e il suo carisma erano veramente incredibili, unitamente ad una affabilità assolutamente fuori dal comune.
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Accolgo volentieri l’invito dell’amico Paolo Bottini a ricordare in questa sede il maestro Michael Radulescu, mentre è ancora viva l’emozione suscitata dalla sua recente scomparsa.
Organista d’eccezione, compositore innovativo, direttore d’orchestra appassionato, Michael è stato per noi prima di tutto un insegnante esemplare, un modello da seguire, un punto di riferimento saldo e incrollabile.
Chi, come me, ha avuto il privilegio di godere delle sue lezioni, ha potuto conoscere da vicino anche la sua grande umanità e umiltà, caratteristiche che hanno costruito tra lui e ciascuno dei suoi “allievi” un legame indissolubile. Il ricordo di Michael che ognuno di noi conserva non può che essere, dunque, assolutamente personale e intriso della propria, unica esperienza.
Entrai a far parte della schiera di allievi di Radulescu nell’ottobre del 1995, dopo aver superato l’esame di ammissione alla “Hochschule für Musik und darstellende Kunst” (ora “Universität”) di Vienna. La presenza di un cospicuo numero di allievi italiani (“la colonia”, come ci definiva lui scherzosamente, quando ci sorprendeva a fare crocchio nei corridoi della scuola) è sempre stata una costante nella sua classe. Michael era spesso in Italia e noi lo conoscevamo già, prima ancora di diventare suoi allievi: i suoi corsi, i suoi concerti, le sue conferenze sono stati per tanti la porta d’ingresso all’apprendistato presso di lui.
Con in tasca il diploma di organo conseguito a Verona e la spavalderia tipica dei ventenni, iniziai a frequentare le lezioni di “Radu”, come tutti affettuosamente lo chiamavamo, pensando di avere gioco facile. Ma dovetti ben presto ricredermi! Andare a lezione da lui significava innanzitutto essere disposti a mettere in discussione tutte le proprie certezze e ad assumersi le proprie responsabilità. Non bastava aver studiato per ore in modo ripetitivo pensando che potesse andare bene, perché prima che lui ascoltasse il pezzo in questione si poteva stare certi di sentirsi porre due domande: “come lo vuoi eseguire?” e “perché?”. Come e perché. La sua instancabile, febbrile ricerca della verità nella Musica era contenuta in queste due domande che lui poneva per primo a se stesso. Ci spronava in questo modo ad andare oltre le note, ad indagare, ad informarci. “Meno sappiamo, più siamo felici”, ci ripeteva ogni tanto, lasciando trasparire il dubbio e la sofferenza di quella ricerca dell’inafferrabile. Sì, perché Michael non ha mai avuto la pretesa della verità, anzi, quante volte, allargando le braccia, ci lasciava nel dubbio, pur fondato su un sapere enciclopedico e disarmante, liberi di prendere la nostra decisione dopo aver debitamente riflettuto. Voleva in questo modo che fossimo indipendenti, consapevole che le lezioni un giorno sarebbero finite e noi ci saremmo ritrovati soli di fronte alla Musica.
Le sue lezioni non erano per noi solo un condensato di Arte e Sapere, ma un banco di prova formidabile. Si accorgeva subito se avevi studiato o meno, non c’era modo di barare. D’altronde, sincerità e schiettezza sono sempre stati valori irrinunciabili per lui. Se non eri preparato, non si scomponeva più di tanto, ma si sentiva chiaramente che l’atmosfera era compromessa e te ne andavi mogio, sinceramente pentito di quell’occasione buttata alle ortiche. Non gli interessava che un pezzo fosse perfetto, non l’ha mai preteso. Voleva vedere il lavoro fatto, la farina del tuo sacco: allora scattava la scintilla che rendeva la lezione un’esperienza catartica. Non posso qui dilungarmi a descrivere l’intensità delle emozioni che caratterizzava, in particolare, i momenti dedicati allo studio della musica di Johann Sebastian Bach: credo che tutti ne abbiano ancora vivo il ricordo dello stupore e della commozione.
I mitici saggi di classe, che si tenevano regolarmente ogni semestre, rappresentavano per noi studenti la possibilità di presentare al pubblico il nostro lavoro e di restituire a Michael un briciolo di tutto quello che lui aveva dato a noi durante la loro preparazione. Chiamarli saggi di classe era riduttivo (non me ne vogliano gli amici colleghi, eccellenti insegnanti nei Conservatori!), erano dei veri e propri “concerti”, come Radulescu stesso dimostrativamente li definiva: una vera e propria “palestra”, in cui lui ci insegnava a comportarci da professionisti, avendo cura di ogni particolare, dall’annotare con scrupolo tutte le registrazioni (benedetti siano i post-it e chi li ha inventati!!), alla concentrazione, alla complicità con i registranti, al ringraziare adeguatamente il pubblico. Durante il concerto, lui restava con noi in cantoria, perché, come lui stesso diceva, non ce la faceva a starsene seduto giù, tra il pubblico. Seduto dietro la panca dell’organo, tratteneva il fiato con noi, per noi, pronto a intervenire se ce ne fosse stato bisogno. Noi sbirciavamo la sua espressione con la coda dell’occhio e lo vedevamo illuminarsi man mano che finivamo di suonare. In quei momenti era uno di noi, lo sentivamo, non era più solo il nostro insegnante ma un nostro collega, sì, un nostro amico più “grande”, desideroso di darci qualche consiglio in più. Alla fine, dopo l’applauso, ci stringeva la mano ad uno ad uno, calorosamente, e ci ringraziava. Lui ringraziava noi! La serata terminava “obbligatoriamente” a tavola e tutta la tensione si scioglieva in squisita convivialità. Adoravamo sentirlo scherzare e raccontare innumerevoli aneddoti, pendevamo letteralmente dalle sue labbra. Sentivamo, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, che Michael ci voleva bene. “Se vuoi insegnare a qualcuno, lo devi amare”, ha affermato una volta. Altrimenti non funziona. “Musica amantis est”, ripeteva spesso. E in questo era assolutamente coerente con la massima di sant'Agostino, che lui aveva eletto a filosofia di vita.
Mi fermo qui. Perché non basterebbe un libro a raccogliere tutti i ricordi, tutti i particolari che, con implacabile ferocia, riemergono dal giorno in cui abbiamo appreso della sua scomparsa.
Te ne sei andato lentamente e silenziosamente, caro maestro, lasciando un vuoto incolmabile. Potremo mai ringraziarti abbastanza?
Mai come ora, sentiamo il peso delle parole che ci hai rivolto un giorno lontano, non so più perché, durante una lezione: “Adesso andate avanti voi…”.
Che tu possa riposare nella Luce!
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Accetto volentieri l’invito a dare il mio modestissimo contributo a riferire ciò che mi è stato possibile apprendere dell’immensità di un uomo e un maestro unico. In tanti lo abbiamo conosciuto e apprezzato per le sue qualità ma, come giustamente facevi notare, ci sono aspetti peculiari del rapporto esclusivo vissuto nelle molteplici lezioni individuali.
Inizio col riferire della sua ospitalità già nell’incontro lungo i corridoi dell’Università di Vienna, città adottiva nella quale si stabilì in tenera età. A tutti gli effetti è stato un cittadino del mondo naturalizzato austriaco. Del resto la storia ci insegna che Vienna è stata da sempre culla adottiva per antonomasia di tanti musicisti. Tra i tanti anche Radulescu che nella città si formò come musicista, organista, compositore e direttore d’orchestra e respirò la cultura mitteleuropea al cospetto dei più autorevoli maestri quali Anton Heiller, Mihail Jora e Hans Swarowsky.
La sua conoscenza della cultura mondiale era tale da permettergli di atteggiarsi e relazionarsi con i vari allievi, provenienti da ogni parte della terra, come fosse un “connazionale”. Dicevo che incontrandoci nei corridoi dell’Università il suo volto si distendeva e sorrideva salutandomi alla “maniera italiana”. Enfatizzando sia il gesto del saluto che il tono della voce cosi come siamo soliti fare noi italiani quando incontriamo gli amici. Ma bastava girare l’angolo e incrociare un allievo tedesco che automaticamente il suo atteggiamento diveniva più serioso oltre al saluto molto più composto. Insomma impersonificava la globalità possedendo una attenta conoscenza delle culture e la sprigionava in ogni occasione con naturalezza non per esibizionismo ma quale segno di rispetto verso l’interlocutore.
Entrando nel merito delle lezioni di organo, ricordo la sua premura nel garantire l’ambiente ideale a creare il giusto clima per gli incontri: la chiesa di S. Ursula annessa all’università. Ricordo come fosse oggi che, varcata la soglia di ingresso dal corridoio dell’università si accedeva in questo “tempio” dall’atmosfera intrisa di fascino e curiosità. Quel luogo “trasudava” della presenza di un uomo, appunto Radulescu, sempre concentrato e pronto a cogliere le minime sfumature. Il suo atteggiamento era quello di chi faceva di tutto per creare la condizione ideale di massima concentrazione prima dell’esecuzione. Al suo “andiamo!”, esclamazione tipica che precedeva l’avvio dell’esecuzione vera e propria, calava un silenzio tombale che decretava in sé già l’inizio del brano. “Non c’e musica che non derivi dal silenzio che la avvolge” - concetto cardine del suo pensiero. Devo dire che dopo aver appreso e successivamente applicato questo principio, le esecuzioni nascevano con una consapevolezza ed un piglio rinnovati. Da quel momento l’esecuzione aleggiava in tutto l’ambiente e, in un atteggiamento di grande rispetto per l’allievo, il maestro la indirizzava quasi dirigendola. Ed è in quei momenti che si realizzava un “connubio mistico” che spiegava e guidava l’interpretazione più che le parole e i commenti stessi. Non so se riesco a renderlo a parole, ma il tutto faceva sì che le esecuzioni diventassero consapevolmente uniche e irripetibili, esprimendo quell’atteggiamento che lo spirito di quegli attimi ne costituiva un aspetto imprescindibile della stessa esecuzione. Insomma una sorta di hic et nunc che era principio fondante del suo essere musicista. Il rammarico per noi tutti è che in virtù di questo lui non prediligesse le registrazioni. Infatti le sole che ci ha lasciato sono esclusivamente dal vivo e senza operazioni di “tagli e cuci”. Forse questo l’unico aspetto che non ha fatto di lui un personaggio “al passo con i tempi” ma, sono certo, che questo aspetto non lo interessasse affatto!
Io son partito dal descrivere le esecuzioni “rifinite” che si svolgevano in sessioni di lezione di opere complete e consapevoli di tutti gli aspetti tecnici, della prassi esecutiva e di ogni sorta di spiegazione che teneva conto della contestualizzazione storica e filosofica di ogni singolo brano che Radulescu curava in ogni aspetto con una conoscenza e padronanza irripetibili. Il suo consiglio e la sua primaria preoccupazione erano di suggerire sempre un approccio di studio che partisse dall’analisi attenta della partitura e che dalla stessa partitura ricevesse le risposte a tutti gli interrogativi. Ovviamente, poi, tutto doveva trovare la massima realizzazione nell’esecuzione concertistica. Quindi per la formazione di un musicista di fondamentale importanza erano lo studio della partitura e l’ascolto della musica dal vivo.
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Accolgo con commozione l’invito dell’amico Paolo Bottini a scrivere un ricordo del caro, indimenticabile maestro Michael Radulescu.
Parlare di lui significa compiangere non solo un musicista e un didatta di eccezionale statura, ma anche una figura quasi paterna che ha accompagnato il mio cammino musicale, un uomo profondamente buono e generoso che aveva tanto da insegnare, col suo esempio, sotto il profilo etico-comportamentale.
Lo conobbi se ben ricordo nel 1979 a Bologna. Mi iscrissi a un suo corso sull’Orgelbüchlein, sollecitata dalla mia insegnante di Organo e composizione organistica al Conservatorio di Milano, Eva Frick Galliera (altra figura fondamentale nel mio percorso artistico che mi è caro qui ricordare). Eva era – tra l’altro – buona amica di Radulescu: i due avevano studiato insieme al Mozarteum di Salisburgo ed erano rimasti in stretto contatto dopo quell’esperienza.
Ripenso all’emozione di suonare davanti al Maestro, sul grande organo Tamburini della Sala Bossi, i corali che avevo preparato: ero una studentessa del corso medio (così si definivano gli anni di studio dal sesto all’ottavo nel vecchio ordinamento del Conservatorio), tecnicamente acerba, poco abituata a suonare in pubblico e per giunta molto emotiva. Radulescu disse poi alla signora Frick che gli erano piaciuti il mio approccio e il fraseggio, perché secondo lui “facevo cantare” lo strumento. In effetti, il canto è sempre stato la mia segreta passione, anche se mi avvicinai tardi, attorno ai quarant’anni, a studiarlo in modo un poco più approfondito: sono fermamente convinta (e in questo confortata dalla trattatistica barocca) che un buon fraseggio della musica strumentale, in particolare quella polifonica, debba sempre poggiare su una concezione vocale. Dopo questa esperienza bolognese, diplomatami in Organo nel 1981, frequentai anche il corso estivo di Radulescu a Vaduz, nel Principato di Lichtenstein, e fui ammessa alla Hochschule für Musik und darstellende Kunst (oggi Universität) di Vienna. Optai per una frequenza episodica, senza abitare nella capitale austriaca ma viaggiando una/due volte al mese dall’Italia: nello stesso tempo, infatti, mi diplomavo in Clavicembalo e studiavo Composizione con Emilia Fadini e Azio Corghi (altri due compianti, grandi insegnanti…); mi stavo laureando in Lettere all’Università di Pavia e avevo anche ottenuto una supplenza annuale di Organo complementare e Canto gregoriano al Conservatorio di Milano, alla quale mi spiaceva rinunciare. Era veramente un po’ troppo, visto col senno di poi!
Ricordo la prima lezione nella chiesa di S. Ursula (annessa all’Università). Mi si aprì letteralmente un mondo sui Concerti di Vivaldi e di Albinoni trascritti da Bach e da Walther che gli portai da sentire. Certo, ammetto di nutrire un grande rimpianto e un senso di colpa nei suoi confronti: stavo rincorrendo troppe attività tutte insieme, e questo mi impediva una buona regolarità nello studio dell’organo. Ma sono sempre stata così, suonare non mi è mai bastato e sentivo che non sarebbe stata la mia unica strada. Ricordo che una volta, oppressa dagli ultimi esami di Università e da tutto il resto, gli portai poco repertorio nuovo a lezione. Le sue parole mi si scolpirono nella mente: «Lei è venuta fino a Vienna per portarmi solo questo?» (Più avanti negli anni passammo, su suo invito, al tu). La volta successiva preparai allora tutti i corali op. 122 di Johannes Brahms: rivivo quella lezione come se fosse ora. Si entusiasmò e mi disse: «Lei deve assolutamente vedere il manoscritto! Vada a mio nome al Musikverein e cerchi il Dr. Biba!». Cosa che naturalmente feci la mattina dopo, e che mi rimane tuttora impressa come una delle pagine più appassionanti del mio percorso artistico: sono infatti una “malata” di Brahms e toccare con mano un suo manoscritto fu per me un sogno!
Finita l’esperienza di studio a Vienna, incontrai spesso il Maestro in Italia e in Austria. Radulescu mi fece suonare a Vienna come solista in varie occasioni. Ogni volta che dirigeva o suonava nel Nord Italia cercavo di essere presente. Venne a casa mia; conobbe i miei genitori e mio fratello Edoardo e visitammo insieme la Certosa di Pavia, che lo colpì profondamente. Lo raggiunsi diverse volte a Cremona, in occasione dei corsi su Bach. Organizzai anche nella mia città, per il Comitato “Pavia Città di S. Agostino”, diverse esecuzioni di Cantate di Bach da lui dirette, con il bel gruppo “Il Teatro Armonico”, fondato dalla collega ed amica vicentina Margherita Dalla Vecchia. Le esecuzioni erano spesso precedute da memorabili presentazioni tenute da Radulescu in un italiano fluente, che catturava l’uditorio. E proprio a proposito di Cantate bachiane non voglio mancare la rievocazione di una delle esperienze che più incisero sul mio animo: mettendo a frutto i miei recenti studi, nel 2008 riuscii a cantare sotto la sua direzione, al teatro Olimpico di Vicenza, le Cantate BWV 21 e 119. Fu per me ancora più coinvolgente che suonare!
Temperamento “vulcanico” e cordiale, il Maestro sapeva infondere in chiunque si avvicinasse al suo insegnamento con serietà e impegno un entusiasmo unico. Come tutti i grandi musicisti era anche molto intransigente, e noi studenti non possiamo che essergliene grati. La sua disciplina non era mai cattedratica, ma anzi accompagnata da un vivissimo sense of humour, da una bonaria ironia che egli sapeva esercitare anzitutto verso se stesso, in uno scintillio di intelligenza e di cultura mai ostentate.
Addio, Maestro. Grazie per tutto quello che ci hai trasmesso. Ti affidiamo alla Vergine madre figlia del tuo Figlio che hai evocato nella tua toccante composizione Versi (da Dante, 1991) per soprano e organo. Ti immaginiamo nella luce di quella Fons bonitatis che è stata lampada ai tuoi passi di musicista e di uomo.
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La notizia della scomparsa del M° Michael Radulescu ha colto tutti di sorpresa durante le feste natalizie, lasciandoci attoniti e addolorati. Un vuoto incalcolabile si profila per il futuro, la prospettiva inesorabile del tempo che passa e quella parte di ciascuno di noi che se ne va con lui. Ma poi, voltando lo sguardo indietro, i ricordi, tantissimi e gioiosi, prendono energicamente il posto dei sentimenti presenti e lui è di nuovo con noi, mai ci lascerà, ne siamo consapevoli.
È stato una presenza importante nella vita di molti ragazzi che amano l'organo, la musica e il grande Johann Sebastian Bach. Un Maestro che ha lasciato in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarlo, un segno indelebile di affetto, passione, senso di responsabilità, serietà e grande competenza. Dotato di notevole carisma, ci ha spronato e sostenuto nello studio e nella vita.
Il mio primo incontro con lui avvenne nel 1980 a Bologna, quando tenne il suo primo seminario italiano presso il Conservatorio "Martini" sull'Orgelbüchlein di Bach.
Il suo discorrere elegante fu di grande ammirazione per tutti anche per l'uso disinvolto ed efficace della lingua italiana, che lui diceva di conoscere meno delle altre, di non averla mai studiata, ma solo dedotta dal francese.
Ricordo i suoi primi attraenti riferimenti alle proporzioni e alla numerologia, le facce dei presenti assunsero colori diversi dallo scetticismo all'estasi. Accennò al numero 8 quale simbolo dell'infinito, del raggiungimento della perfezione, della rigenerazione. Intervenne Oscar Mischiati che entusiasta esclamò: "per questo i battisteri sono a pianta ottagonale!"... e fu l'inizio di una nuova splendida avventura, farcita di "meravigliose coincidenze" come lui amava chiamarle. Ancora oggi osservo la pianta ottagonale dei Battisteri legata a quel ricordo.
Poi nel 1985 tenne un interessante seminario sui 18 corali di Lipsia a Pesaro, dove si inaugurò il nuovo Mascioni della chiesa di San Giovanni. Organisti di tutt'Italia parteciparono convinti e si cominciò a formare quella compagine solidale di suoi ammiratori che gli sarebbero rimasti vicini a lungo.
Qualche anno dopo, la grande e indimenticabile avventura di Cremona: opera omnia di Bach presso la Cattedrale, una volta al mese per due giorni consecutivi nel fine settimana, per due anni. Numerose le presenze da tutta la penisola, si viaggiava volentieri per centinaia di km verso lo stesso ambito appuntamento, io partivo dalle Marche, ma c'erano quelli dalla Puglia, da Roma, da Napoli, e dalla Sicilia, senza contare quelli oltr'alpe, anch'essi numerosi. In una città culturalmente affascinante per i suoi liutai e per altre numerose attrattive, nacquero amicizie destinate a rimanere salde, in un clima gioioso creato ad arte dal Maestro.
Le sue battute umoristiche durante le lezioni, erano perfette ed efficaci per tenere desta l'attenzione, strategia che tutti gli insegnanti dovrebbero conoscere ed affinare. Gli errori linguistici non erano casuali, ma voluti, anch'essi finalizzati a contrastare la nostra stanchezza, producendo liberatori sorrisi e divertenti rievocazioni successive. Infine, dopo una giornata dedicata alla musica del nostro cuore, il momento magico della cena tutti insieme presso lo stesso ristorante, col Maestro a capotavola. La giovanile esuberanza, talvolta giustamente chiassosa, durante il pasto si moderava gradatamente, amalgamandosi a poco a poco al suono della sua voce, calma e suadente, che catturava di nuovo le orecchie di tutti e quando la lunga tavolata taceva, rilassata del tutto, egli iniziava con racconti e aneddoti intercalati da esilaranti battute, seguite da fragorose e rigeneranti risate.
Ma il meglio doveva ancora venire. L'avventura Svizzera negli anni Novanta a Porrentruy avrebbe rinsaldato ogni legame amichevole e artistico, generando risultati impensabili.
L'opera omnia di Bach per organo brillava di luce propria su uno strumento bellissimo, in un'ampia chiesa auditorium acusticamente gradita. Il punto di forza e del tutto nuovo per molti di noi fu il coinvolgimento nello studio delle cantate, degli oratori, delle passioni e della Messa in si minore. Studio che ci permetteva di eseguire con orchestra nel gran concerto, alla fine della decade di lavoro, tali meravigliose opere davanti a un numeroso pubblico di ferventi appassionati, emozionati come noi. Ricordo in proposito con affetto la famiglia che mi ospitava, che assieme ai due bambini, si preparava in anticipo per venirci ad ascoltare e che si firmava "la tua famiglia svizzera" quando poi mi scrivevano, facendomi avere articoli, foto e dépliant successivi.
Il fenomeno Radulescu, contemporaneamente alla Svizzera, negli anni successivi arrivò anche a Vicenza, dove i momenti magici con la musica barocca si ripeterono deliziando il pubblico italiano con eventi di ottimo livello.
Questa esperienza che non finirà mai, destinata a dare ancora buoni frutti, mi invita ora a salutare il nostro grande amico, musicista e Maestro di vita, uomo di cultura e di pace, augurandoci di ritrovarlo in un'altra vita.
Voglio citare qui le parole della scrittrice Karen Blixen in un suo celebre racconto: «siamo sicuri che questa non è la fine, in paradiso egli sarà il grande artista che Dio ha voluto fosse, chissà come allieterà gli angeli!»
Arrivederci, Maestro!
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I due anni di insegnamento del M.° Michael Radulescu, svolti all’Organo della Cattedrale di Cremona, sull’opera di J.S. Bach sono stati per me un periodo di grandissima felicità. Mi sembrava che tutto coincidesse a suggerire quello che sentivamo noi allievi, ed era così meraviglioso da potersi definire quasi trascendente. Vorrei ricordare quelle esperienze indimenticabili che avvenivano continuamente durante il Corso, ma soprattutto alla sera, quando si è forse più disposti alla contemplazione. In varie occasioni, infatti, il Maestro ci regalava, a commento di una lezione, la sua interpretazione dello stesso brano appena eseguito, quasi sempre molto bene, da uno degli allievi partecipanti a questo Corso, che veramente annoverava fra i discenti interpreti di grande livello. L’interpretazione del Maestro, quindi, era rivolta a noi semplicemente per ‘’spiegare’’ il vero affetto del brano, a volte era anche un semplice Corale, aiutandoci così a entrare in un mondo interiore nel quale ‘’l’Umano’’ anela a unirsi a un ‘’livello superiore’’ inondato di spiritualità e di santità. Quello che ci resta dentro non si può descrivere solo con le parole, ma possiamo forse renderlo evidente lasciandoci muovere dal cuore nei nostri atti e nella nostra vita. Potremo così crescere, come desiderava il Maestro, grazie a una pedagogía che non finisce, ma che ogni volta prende nuova energía quando ci troviamo in comunione, vivendo insieme la Musica, con l’Organo e con le persone che amano questo Strumento.
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I corsi tenuti da Michael Radulescu nel Duomo di Cremona hanno offerto a molti giovani organisti della mia generazione la possibilità di confrontarsi con il repertorio più significativo per il loro strumento.
La possibilità di studiare in profondità l'intera opera di Bach era un'opportunità straordinaria; molti di noi venivano da lontano per cogliere questa occasione unica in tempi in cui certe conoscenze ed esperienze in questo campo non erano facilmente "a portata di mano".
L'autorevole insegnante che ci trasmetteva la sua concezione profonda e originale della musica - di Bach (ma non solo) per organo (ma non solo) - sapeva anche trasmetterci il suo entusiasmo e la gioia di suonarla.
Sapeva creare attorno a sé un clima sereno e amichevole; molte amicizie sono nate in quei giorni di incontri intensi e molte durano ancora oggi.
Bello! E' stato molto bello frequentare i corsi di Cremona!
Michael Radulescu ci ha dato molto, ha lasciato una traccia profonda in tutti noi e molti di noi l'hanno seguito anche dopo.
Sapeva e insegnava molte cose, aveva una concezione ampia della musica e del suo rapporto con la vita. Ha cercato di trasmettere un'eredità che è sicuramente rimasta.
Cercavamo da lui conoscenze e certezze ma il ritratto di musicista più vivo che conservo di lui è il commento spontaneo ed entusiasta all'ascolto di un'esecuzione "piena di poesia, di fantasia e di buon gusto".
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Non è facile esprimere con parole l’esperienza che ho vissuto ai Corsi tenuti dal M.° Michael Radulescu a Cremona, dedicati all’opera di Bach. Le sue parole risuonavano nelle volte della grande cattedrale e trovavano eco dentro di me anche nei giorni successivi alle lezioni.
Ho avuto il privilegio di gustare appieno la ricchezza del linguaggio musicale di Johann Sebastian, un Bach che non avevo ancora esplorato con quella profondità. Le parole di Radulescu erano sempre illuminanti e piene di passione. Terminate le lezioni in chiesa, si rimaneva ancora tutti intorno a lui col desiderio di comprendere di più. È stato per me un periodo indimenticabile!
Radulescu negli anni a seguire, sempre nella Cattedrale di Cremona, tenne lezioni dedicate ad altri musicisti: Mendelssohn, Brahms, Reubke, fino ai compositori del ‘900 come Hindemit.
Fu proprio in questi momenti, successivi all’esperienza bachiana, che capii ancor più lo spessore artistico del Maestro, un musicista completo che ho avuto l’onore di conoscere e con il quale ho potuto approfondire il mio percorso organistico. Ancor oggi, nelle lezioni che svolgo in Conservatorio, porto testimonianza della ricchezza ricevuta dal M.° Micheal Radulescu.
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Nel 1983 ero presidente dell'Associazione Organistica Marchigiana (AMO) e su suggerimento della vicepresidente mia collega e amica prof. ssa Simonetta Fraboni andammo a Vienna a conoscere il Maestro Michael Radulescu.
Al tempo ero docente di Organo al Conservatorio "L. D'Annunzio" di Pescara, giovane ed entusiasta. Con i miei numerosi allievi del Conservatorio e alcuni colleghi organisti partimmo per Vienna e ascoltammo alla Hocshule una interessante lezione di Radulescu sulle tre Sonate per Organo di P. Hindemith. Fu un momento entusiasmante e anche il dopo quando il maestro Radulescu accettò il nostro invito di tenere delle masterclass a Pesaro.
Eravamo entusiasti di avere sue lezioni in Italia. Venne a Pesaro per diversi anni sia in Conservatorio sull'Organo meccanico Tamburini, sia nella Chiesa San Giovanni con il Mascioni meccanico e poi una volta a Sant'agostino sul "G. Callido" 1776 op. 118 dove tenne dei seminari indimenticabili, con un numero di partecipanti eccezionalmente alto.
Per i Corali di Lipsia ci furono quasi cento iscritti provenienti da ogni parte d'Italia. Per Muffat a Sant'Agostino la presenza eccezionale di tanti docenti, studenti sia da Pesaro che da Pescara.
Si condivideva un entusiasmo eccezionale, tutti noi eravamo assetati delle sue lezioni. Trattava la musica organistica con una competenza e conoscenza molto approfondita. Eravamo tutti consapevoli della grande occasione che avevamo ascoltando le sue dotte parole su testi religiosi, sulla retorica, sulla storia del compositore, senza dimenticare l'analisi dettagliata del brano, le innovative nozioni di prassi esecutive con accenti ritmici, tocco, registrazione, descrizione degli organi sui quali erano stati pensati i brani organistici. Insomma una linfa vitale che ci elevava ad un grado di conoscenza impensabile per noi in quegli anni.
Ci ha veramente cambiati e migliorati sia come musicisti che come persone.
Ho anche un ricordo personale: in occasione di una sua venuta a Pesaro al termine del seminario, io e la mia famiglia, lo accompagnammo ad Urbino per fargli visitare la città e il Museo a palazzo Ducale. Fu subito affascinato dai torrioni così caratteristici e dopo, entrati nel museo, lui stesso mi descrisse in dettaglio tutte le opere che visitammo. Aveva una cultura eccezionale e con naturalezza dimostrava una conoscenza che spaziava dalla musica alla filosofia, comprendendo l'arte e tanto altro ancora.
Grazie Maestro Radulescu, il suo ricordo è ancora vivo e resterà indelebile nelle nostre menti e nel nostro cuore.
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